indipendènza italiana, guèrre d'-

Indice

guerre combattute contro l'Austria, per l'indipendenza italiana, dal Regno di Sardegna (1848-49 e 1859) e dal Regno d'Italia (1866).

La prima guerra d'indipendenza

Premesse alla I guerra furono l'insurrezione milanese delle Cinque Giornate (18-22 marzo 1848), che obbligò Radetzky a lasciare la città, e quella veneziana dalla quale era scaturito il governo provvisorio guidato da Manin. Nel Lombardo-Veneto gli Austriaci erano stati costretti a lasciare i centri abitati per stanziarsi nel quadrilatero costituito dalle piazzeforti di Verona, Legnago, Peschiera e Mantova. Il 23 marzo l'esercito piemontese faceva il suo ingresso in Lombardia e il 9 aprile avvenne il primo scontro presso il ponte di Goito. Gli Austriaci si attestarono a Verona. Dopo giorni di incertezze, il 30 aprile i Piemontesi occuparono Pastrengo cacciando gli Austriaci; i primi di maggio tentarono l'attacco a Verona, ma furono sconfitti a Santa Lucia (6 maggio); qualche giorno dopo investirono Peschiera che assediata capitolò in mano ai Sardi il 30 maggio. Frattanto il 27 maggio Radetzky si era portato fuori Verona e il 29 aveva piegato la resistenza degli studenti toscani a Curtatone e a Montanara, ma il 30 venne fermato e sconfitto a Goito dai Sardi. Trascorsero quindi una decina di giorni di inazione finché l'iniziativa sabauda si ridusse a una vittoria senza conseguenze sull'altopiano di Rivoli (10 giugno). Occorre precisare che la strategia dell'esercito piemontese era resa inefficace dalla contraddittoria tendenza di muovere all'attacco e nel frattempo di attestarsi su valide posizioni difensive. Inoltre era venuto meno l'aiuto promesso dai Pontifici e dai Napoletani, e ben pochi furono i volontari che si arruolarono. La rioccupazione austriaca del Veneto permise a Radetzky di ricevere notevoli rinforzi dall'Austria e di prendere in considerazione nuovi piani. Il 23 luglio l'esercito austriaco mosse all'offensiva contro il fronte piemontese che si stendeva dal Garda a Mantova e lo infranse dopo quattro giorni di battaglia che ebbero Custoza come epicentro. L'esercito piemontese, vinto ma ancora in forze, scelse allora di ritirarsi arretrando fino a Milano, sotto le cui mura oppose una vana resistenza (4 agosto). Il 9 agosto il generale Salasco firmò l'armistizio per il quale l'esercito sabaudo era costretto ad abbandonare i territori occupati. Lo stesso armistizio fu denunciato dal Piemonte il 12 marzo 1849 e la guerra riprese, ma durò soltanto dal 20 al 23 marzo per la schiacciante vittoria riportata dagli Austriaci a Novara. Il re Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II che firmò l'armistizio di Vignale al quale seguì la Pace di Milano (6 agosto 1849).

La seconda guerra d'indipendenza

Le ostilità fra il Regno di Sardegna, forte di 60.000 uomini (ai quali si aggiunsero i Cacciatori delle Alpi agli ordini di Garibaldi), e l'Austria ripresero il 26 aprile 1859. A fianco dei Piemontesi si schierarono oltre 120.000 Francesi come previsto dagli accordi verbali di Plombières del 1858 concretizzati in un formale trattato d'alleanza nel gennaio 1859. Le incertezze di cui diede prova il generale Gyulai, capo delle forze austriache, permisero la riunione delle truppe franco-sarde. Sconfitti a Montebello (20 maggio) e a Palestro (31 maggio), gli Austriaci furono ricacciati oltre il Ticino. Il 4 giugno ebbe luogo lo scontro di Magenta: gli Austriaci avevano risposto con estrema decisione all'assalto degli eserciti collegati e l'esito della battaglia fu incerto per diverse ore. Soltanto verso sera Magenta cadde nelle mani dei Franco-Piemontesi, che ebbero 4500 perdite contro 10.000 degli Austriaci; ma i vincitori, probabilmente paghi del risultato ottenuto, non si posero all'inseguimento dell'esercito nemico, in evidente difficoltà e mal diretto da Gyulai, poco dopo destituito dal suo imperatore Francesco Giuseppe. Il successo arrideva anche al Corpo di volontari di Garibaldi che, incorporato nell'esercito sardo, dopo aver occupato Varese batteva a San Fermo il generale Urban. L'8 giugno Vittorio Emanuele II e Napoleone III entravano trionfalmente in Milano. Francesco Giuseppe, che aveva assunto il comando dell'esercito, coadiuvato dal generale Hess, riprese l'offensiva che il 24 giugno si infranse a Solferinoe a San Martino nelle battaglie più combattute e sanguinose del Risorgimento. Le perdite dell'esercito francese e piemontese assommarono a oltre 2000 morti e 12.000 feriti. Gli Austriaci lasciarono sul campo 2000 morti e più di 10.000 feriti, mentre prigionieri e dispersi superarono gli 8000. Dal canto suo Garibaldi aveva occupato Bergamo e Brescia (11 e 13 giugno) e si era aperta la via per il Veneto, mentre la flotta franco-sarda aveva posto il blocco a Venezia. Nonostante la situazione militare più che favorevole, il 5 luglio Napoleone III, preoccupato per gli avvenimenti politici interni e internazionali che sembravano a lui sfavorevoli in Europa, propose l'armistizio, firmato l'8 luglio, a Villafranca, dalle tre potenze. Tra la II e la III guerra del Risorgimento va collocata la spedizione dei Mille condotta da Garibaldi, il quale nel 1860 portò alla liberazione del Mezzogiorno d'Italia. Successivamente intervennero anche i Piemontesi (l'ordine di Cavour è dell'11 settembre) i quali liberarono l'Italia centrale e sconfissero le truppe pontificie per poi dirigersi nel Sud dove sostituirono Garibaldi e completarono la conquista espugnando le fortezze di Gaeta (13 febbraio 1861), di Messina (12 marzo 1861) e di Civitella del Tronto (20 marzo 1861).

La terza guerra d'indipendenza

Alleatosi con la Prussia, il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Austria il 20 giugno 1866. L'esercito italiano, potenzialmente più forte di quello nemico, e che disponeva di 20 divisioni, di un genio efficiente, di una flotta agguerrita e di 40.000 garibaldini, soffriva tuttavia della rivalità dei propri generali La Marmora e Cialdini. La loro mancata collaborazione causò, appena iniziate le ostilità (23 giugno), la sconfitta di Custoza, quando La Marmora, che intendeva marciare su Verona, fu attaccato inaspettatamente dal nemico. Cialdini, fermo con le sue truppe sul basso Po, non solo rifiutò di accorrere in aiuto di La Marmora, ma iniziò la ritirata su Modena. La stessa flotta italiana, agli ordini dell'ammiraglio Persano, trovatasi nelle acque di Lissa (20 luglio) a fronteggiare la modesta flotta austriaca agli ordini dell'ammiraglio Tegetthof dimostrò la propria imperizia (il che avrebbe poi scatenato aspre polemiche) e perse le navi Italia e Palestro. L'unica vittoria italiana fu ottenuta da Garibaldi che il 21 luglio, alla Bezzecca, batteva gli Austriaci (che avevano abbandonato il Veneto per le vittorie riportate dai Prussiani) e si orientava verso la conquista del Trentino. Il sopraggiunto armistizio di Cormons (12 agosto) fermò anche i volontari garibaldini, e la Pace di Vienna (3 ottobre) concluse la guerra e riconobbe all'Italia il Veneto, non il Trentino.

Bibliografia

Per la prima guerra di indipendenza: C. Pisacane, La guerra combattuta in Italia nel 1848-'49, Genova, 1851; C. Fabris, Gli avvenimenti militari italiani del 1848 e del 1849, Torino, 1898-1904; Ministero della Guerra, Ufficio Storico, Relazione sulla campagna del 1848-'49, Roma, 1908-10; P. Pieri, La guerra regia nella pianura padana, in Il 1848 in Italia, Milano, 1948.

Per la seconda guerra di indipendenza: Stato Maggiore Francese, Ufficio Storico, Campagne de l'empereur Napoléon III en Italie, Parigi, 1865; Stato Maggiore dell'Esercito Austriaco, Ufficio Storico, Der krieg in Italien, Vienna, 1872-76; Ministero della Guerra, Ufficio Storico, La guerra del 1859 per l'Indipendenza d'Italia, Roma, 1910.

Per la terza guerra di indipendenza: A. Lamormora, Un po' più di luce sugli eventi politici e militari del 1866, Firenze, 1873; A. Pollio, Custoza, Torino, 1903; P. Silva, L'Italia e la guerra del 1866, Milano, 1915; P. Calza, Nuova luce sugli avvenimenti militari del 1866, Bologna, 1924; E. Scala, La guerra del 1866, Milano, 1928; G. Del Bono, Come arrivammo a Custoza e come ne ritornammo, Milano, 1935; L. Tomeucci, La terza guerra di indipendenza, Bologna, 1965.

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