lombardo

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Lessico

agg. e sm. [sec. XIV; dal nome dei Longobardi]. Proprio della Lombardia, anche con riferimento alla regione che tale nome indicava nel passato: arte lombarda; la pianura lombarda, le industrie lombarde; “quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo” (Manzoni). Abitante o nativo della Lombardia; dialetto parlato in Lombardia.

Arte

La grande fioritura dell'arte lombarda, i cui caratteri di qualificazione regionale e soprattutto di costante inclinazione a un'interpretazione naturalistica della realtà sono stati indicati per primo da R. Longhi, può essere datata dalla fine del sec. XIV. Con Giovannino De Grassi, animalista di sapida osservazione, con il raffinato Michelino da Besozzo, con i fratelli Zavattari, con il sontuoso e patetico Belbello da Pavia, essa conobbe uno dei suoi momenti più ricchi e più alti, dove la rappresentazione del mondo cortese, propria del gotico internazionale, si accompagna sempre a una narrazione affabile e all'acuta osservazione del particolare. Fu V. Foppa ad affermare pienamente il gusto per la rappresentazione di una realtà semplice e quotidiana, opponendosi alle razionali intelaiature architettoniche del Rinascimento toscano e alla netta distinzione gerarchica tra uomo e natura. La sua lezione fu seguita dal Bergognone (mentre i trevigliesi B. Butinone e B. Zenale furono piuttosto attratti dalla cultura ferrarese), da B. Bembo, da G. Ferrari. Se la presenza di Leonardo a Milano creò una scuola artistica che non riguarda la linea dell'arte lombarda, la continuità con Foppa si avverte però a Brescia e a Bergamo, con Moretto, con G. G. Savoldo, con L. Lotto, che impostò le scene sacre nella dimensione affettiva della vita quotidiana, con i ritratti di G. B. Moroni. Verso la metà del Cinquecento la linea lombarda rifluì a Milano, con i sorprendenti precorrimenti caravaggeschi dei cremonesi Antonio e Vincenzo Campi, con Figino, con S. Peterzano. Nel Sei-Settecento furono ancora artisti bresciani e bergamaschi a proseguire il discorso del naturalismo: dalla lucidezza di E. Baschenis e di C. Ceresa, fino a Fra' Galgario, acuto fissatore di caratteri, e all'umanissimo G. Ceruti.

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