Descrizione generale

sf. [sec. XIX; micro-+-scopia]. Osservazione al microscopio di oggetti, campioni di sostanze, organismi, ecc. Le osservazioni al microscopio ottico vengono effettuate quando non sono richiesti ingrandimenti notevoli, dato che il potere risolutivo di questi strumenti è limitato a ca. 1800 Å; per tale motivo non si hanno apprezzabili vantaggi anche se si ingrandiscono le micrografie ottenibili direttamente da essi. Un aumento del potere risolutivo si ottiene, viceversa, con il microscopio elettronico che consente ingrandimenti delle micrografie fino anche a un milione di volte: da ciò il prevalente impiego di questi strumenti per lo studio delle strutture interne dei materiali, dei composti chimici e della materia vivente. Fondamentale, in ogni caso, è la preparazione del campione da esaminare, che varia secondo il metodo di osservazione: se questo avviene per trasparenza, il campione viene immerso in paraffina (o congelato) e tagliato con microtomi, dopo la solidificazione, ottenendo spessori idonei per la ricerca propostasi; per osservazioni per riflessione occorre solo renderne perfettamente piana la superficie; spesso è necessaria anche una colorazione di contrasto del campione per metterne in evidenza i particolari che si vogliono studiare. Particolari preparazioni si effettuano per i campioni biologici (vedi anche istologia) e metallici, soprattutto quando debbano essere studiati al microscopio elettronico.

Osservazione di campioni metallici

Un campione metallico può essere osservato al microscopio elettronico in due modi diversi: per trasmissione diretta o con il metodo della replica. Con il primo metodo il campione viene assottigliato meccanicamente ed elettrochimicamente fino a uno spessore dell'ordine di 500-5000 Å. In questi spessori il campione viene attraversato dagli elettroni e i difetti reticolari, come le dislocazioni, le vacanze, i precipitati, i contorni dei grani, ecc. sono riconoscibili come indicazioni più scure sullo schermo. Col secondo metodo, usato soprattutto quando non sia possibile ottenere campioni abbastanza sottili, si esamina esclusivamente la superficie del campione come si fa con il microscopio ottico a riflessione, ma in maniera indiretta (metodo della replica detta positiva o a due stadi con ombreggiatura). In tal caso il campione viene prima leggermente attaccato, poi si realizza un “calco” fedele della superficie del campione, appoggiandovi sopra un foglio di un opportuno materiale plastico preventivamente rammollito con adatto solvente. Quando il solvente è evaporato si stacca la lamina di plastica che viene capovolta e quindi ricoperta sotto vuoto prima da un sottile (100-200 Å) strato di carbone e successivamente da un sottile strato di cromo, palladio, ecc., che viene depositato con un angolo di circa 30º rispetto alla superficie del campione (con ombreggiatura delle parti non in ombra della superficie del campione). Quando il fascio elettronico colpisce il campione, le parti metallizzate sono più opache, mentre le altre sono più trasparenti. Si crea così un contrasto tra zona e zona che mette in evidenza la struttura superficiale del campione. Per l'esame diretto di superfici che non emettono elettroni viene usato il microscopio elettronico a scansione. Tra le proprietà peculiari del metodo vanno citate la semplicità di osservazione di superfici irregolari a ingrandimenti variabili da poche decine fino a 105 con grande profondità di campo (per esempio 100 μ a 1000 diametri), la possibilità di determinare la composizione chimica della zona esaminata e la possibilità di ottenere un'immagine complessiva della superficie con passaggio rapido ad alti ingrandimenti. La microscopia di emissione nella quale si usano microscopi a emissione di campo sfrutta l'emissione di elettroni o di ioni: la prima è utile per l'osservazione di sostanze foto- o termoemittenti; la seconda sfrutta la ionizzazione degli atomi di un gas estremamente rarefatto (argo o elio) in prossimità della superficie del campione, costituito da un sottile filo metallico appuntito a una estremità e tenuto polarizzato positivamente con l'applicazione di un'alta tensione elettrica. In tal caso gli atomi del gas si ionizzano positivamente in corrispondenza di certi punti della struttura della punta del filo e si muovono rettilineamente verso uno schermo fluorescente posto a una distanza di poco più di 2 cm dalla punta stessa. Qui forniscono un'immagine del campione ingrandita di circa un milione di volte dando perciò informazioni sulla natura atomica del reticolo cristallino del campione. Questa tecnica si applica allo studio di metalli altofondenti come wolframio o platino.

Osservazione di campioni biologici

Per lo studio dei campioni biologicii metodi più usati sono quelli: a trasmissione diretta, spesso associati all'uso di mezzi di contrasto, a scansione (nel caso di studio delle strutture superficiali e per l'analisi comparativa tra strutture a livello biochimico) o a emissione di elettroni. Queste indagini hanno permesso l'esame dei costituenti subcellulari (per esempio microtubuli, ribosomi, cromosomi, ecc.) permettendo altresì di seguire lo sviluppo di vari fenomeni fisiologici, all'interno delle cellule e dei tessuti, le reazioni e trasformazioni di questi in condizioni patologiche, l'interazione fra costituenti biochimici e microstrutture cellulari sotto stimoli diversi. Nel campo della biochimica e della biologia molecolare, la microscopia elettronica permette di verificare la purezza delle frazioni cellulari, di riconoscere i costituenti delle sottofrazioni che si possono preparare a partire dalle frazioni di organuli, e di definire la forma di molte macromolecole (DNA di origine varia, DNA circolare dei mitocondri o di certi virus, proteine fibrose come la miosina, strutture macromolecolari come le fibre del collagene o i flagelli di certi batteri, complessi plurienzimatici, ecc.), la struttura di varie categorie di virus (per esempio la collocazione dei capsomeri nelle capsidi di particelle virali), la morfogenesi dei virus nel corso di infezioni, soprattutto nelle cellule in coltura, in particolare dei virus oncogeni. Il perfezionamento dei metodi d'indagine e degli strumenti allarga di continuo le possibilità d'indagare la natura e la struttura di quegli elementi al limite tra materia vivente e materia inerte permettendo di risolvere problemi fondamentali per l'uomo sia nel campo medico (per esempio natura degli agenti cancerogeni) sia in quello genetico (per esempio modalità dell'ereditarietà e dell'evoluzione). Soprattutto per quest'ultimo si è rivelato assai significativo lo sviluppo della microscopia digitale, che consiste in dispositivi elettroottici in grado di trasformare il segnale (luminoso nel caso del microscopia ottico) che proviene dal preparato in un segnale elettrico; il segnale viene poi digitalizzato tramite un convertitore analogico-digitale e inviato a un elaboratore.

La microscopia ottica

Lamicroscopia ottica ha avuto negli ultimi anni del sec. XX uno sviluppo notevole e la biologia cellulare ha usufruito di questi sviluppi soprattutto con la microscopia a fluorescenza, i cui principi si basano su una risposta visibile di alcune molecole all'eccitazione luminosa. Sostanze come la rodamina (rosso) o la fluorescina (verde) reagiscono a un'eccitazione luminosa sia visibile sia ultravioletta ed emettono un segnale luminoso visibile di colore diverso. È possibile marcare una particolare struttura cellulare legando a essa un anticorpo che è specifico per le componenti di quella struttura. Gli anticorpi vengono poi messi in evidenza colorandoli con molecole fluorescenti. Questa metodologia permette di colorare, per esempio, strutture come il citoscheletro o il nucleo o altre componenti cellulari; inoltre, usando anticorpi diversi, legati a molecole fluorescenti differenti, è possibile avere un'immagine a più colori, indicante ciascuno una struttura diversa di una cellula o di un tessuto. La cosa importante nella microscopia a fluorescenza è il fatto che per formare l'immagine viene usata solo la luce emessa dalla struttura colorata, mentre la luce che è servita per l'eccitazione della molecola fluorescente viene assorbita da appositi filtri posti tra la lente dell'obiettivo e l'oculare di osservazione. La microscopia a fluorescenza può essere usata per lo studio di cellule in vivo, come nel caso dell'actina, che può essere legata chimicamente a una sostanza colorante e, dopo essere stata iniettata nelle cellule, incorporata nei microtubuli come quella naturale, rivelando la maniera con la quale questi vengono assemblati. Inoltre, con essa è possibile studiare la concentrazione intracellulare di elettroliti come il calcio, che è molto importante nel metabolismo cellulare: il calcio, infatti, si lega in maniera specifica e lineare a una molecola fluorescente, chiamata fura-2, la quale aumenta la sua fluorescenza in funzione di quanto calcio ha legato; in questa maniera è quindi possibile misurare il livello di calcio intracellulare in diverse condizioni fisiologiche. Tuttavia le immagini che si ottengono con la microscopia fluorescente a ottica classica contengono la sovrapposizione di tutti i piani focali dell'oggetto che si osserva e quindi è difficile localizzare strutture che si trovano su piani focali diversi. La microscopia confocale risolve questo problema e permette di avere un'immagine tridimensionale della cellula e delle sue strutture interne. Il principio confocale si basa su due aspetti fondamentali: il primo è che la sorgente deve essere molto intensa e molto piccola e per questo motivo viene usato un laser al posto della lampada fluorescente tradizionale, per creare un fascio luminoso estremamente concentrato e puntiforme; il secondo punto è che i diaframmi che sono all'inizio e alla fine del percorso ottico e la lente obiettivo sono sullo stesso piano focale; questo permette di far passare solo luce emessa da un piano focale preciso e il pennello luminoso che si viene a creare può fare una scansione dell'oggetto su un unico piano e in una zona determinata. L'oggetto da osservare viene diviso in varie sezioni e viene fatta una scansione nei vari piani focali che lo contengono. La luce viene raccolta da un fotomoltiplicatore che invierà a un computer l'immagine digitalizzata e software molto raffinati sono in grado di ricostruire la struttura osservata in tre dimensioni. Questa metodologia, insieme a un uso sempre più raffinato di sistemi di colorazione delle strutture cellulari, ha permesso di comprendere molti aspetti della struttura e delle funzioni della cellula e delle sue componenti.

Bibliografia

L. E. Murr, Electron Optical Applications in Materials Science, New York-Londra, 1970; D. F. Parsons, Some Biological Techniques in Electron Microscopy, New York-Londra, 1970; A. Ruthmann, Methods in Cell Research, Londra, 1970.

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