minaréto

sm. [sec. XVII; dal francese minaret, dal turco minare, che risale all'arabo manāra, faro]. Nelle regioni dell'Islam, torre annessa alla moschea e utilizzata sia per l'invito alla preghiera da parte del muezzin, sia come luogo di vedetta e segnalazione. Adottato dagli Omayyadi verso la fine del sec. VII per motivi di rappresentanza e ispirato ai manāra, il minareto assunse presto proporzioni monumentali, pur avendo forme diverse secondo i luoghi per influsso di costruzioni locali. Il tipo più antico, documentato nelle moschee di Bosra, in Siria, e di Sidi Oqba, a Kairouan, è monolitico, di forma quadrangolare, distinto in due parti sovrapposte, con un'arcata-finestra in quella superiore, ed è collocato di preferenza nel lato nord del cortile, oppure in asse col miḥrāb. Più tardi il minareto venne completamente isolato dal complesso architettonico della moschea (per esempio il Quṭb Minār di Delhi). L'ascesa al piano superiore era consentita da una scala interna. Nella Persia selgiuchide il minareto divenne cilindrico e fu collocato in coppia, per motivi di simmetria, ai lati dell'īvān principale. Questo tipo si diffuse nell'India musulmana, dove se ne hanno splendidi esempi, specie di epoca Moghūl (i quattro minareti del Tāj Mahal di Agra) e in Turchia, dove si assottigliò assumendo la caratteristica forma ad ago interrotta da un balcone circolare aggettante e si moltiplicò raggiungendo il numero di quattro o di sei per moschea. In Egitto il tipo più frequente è quello mamelucco, composto da corpi sovrapposti, con una cupoletta finale. Nel Maghreb e in Andalusia si preferirono le torri quadrate o rettangolari, aperte da finestre e ornate di archetti e colonnine.

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