paravènto

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sm. [sec. XVI; impt. di parare+vento].

1) Mobile costituito da un'intelaiatura pieghevole a più pannelli in materiali leggeri (legno, carta, seta), con funzione di schermo o di divisione di spazi interni. Fig., schermo, riparo: far da paravento a qualcuno, coprire il suo operato, assecondarlo celatamente. § Come elemento divisorio il paravento ha la sua lontana origine nella Cina del periodo Han, che più tardi lo trasmise al Giappone dove fu usato nell'arredamento di palazzi, templi e monasteri e dove costituì il supporto per un genere di pittura la cui stagione stilistica più famosa è quella del periodo Momoyama (sec. XVI), caratterizzato dalla costruzione di grandi castelli e quindi dalla disponibilità di vasti spazi interni da risolvere mediante l'uso del paravento tsui-tate (a un solo pannello) e di quello a più ante (byōbu). In Cina e poi in Giappone furono di moda anche piccoli paraventi da tavolo, costituiti da uno schermo o da una placca in giada di varia forma, racchiusi entro sostegni ornamentali in metallo o in legno. Oltre che in metallo e in giada ne furono costruiti in porcellana e in avorio (sec. XVI). Nell'arredamento europeo il paravento è presente fin dall'epoca medievale con funzione di schermo, armonizzato con lo stile del mobilio, e assunse grande importanza decorativa a partire dal sec. XVIII, soprattutto in Francia quando i più celebri ebanisti crearono paraventi ricchissimi, laccati o finemente intarsiati e intagliati, talvolta rivestiti con stoffe preziose ricamate e intessute oppure incrostati di madreperla e pietre dure, secondo il gusto derivato dai modelli dell'Estremo Oriente.

2) In etnologia, la più elementare delle “abitazioni” costituita da un traliccio in rami ricoperto di foglie e, talvolta, da fibre intrecciate o da pelli, sorretto da pali o liane così da formare una sorta di tetto inclinato. È ancora usato da qualche gruppo etnico residuale, soprattutto del Chaco brasiliano e della penisola di Malacca.