il rapporto di parità, che stabilisce un'eguaglianza o un'equivalenza tra due elementi, assume un valore specifico nell'ambito del diritto del lavoro, nell'istruzione pubblica e nell'istituto del fallimento.

Diritto pubblico: parità sul lavoro e parità salariale

La legge 10 aprile 1991, n. 125, ha definito alcune azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna al fine di eliminare le disparità di fatto di cui le donne sono oggetto, favorirne la diversificazione delle scelte professionali, l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali oltre a una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi. In aggiunta alla misure di sostegno finanziario alle imprese che adottino azioni in favore della parità, la legge configura la possibilità per il discriminato di agire in giudizio. Qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando anche in via indiretta i lavoratori in ragione del sesso è considerato dalla legge discriminazione. Costituisce invece discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell'uno o dell'altro sesso e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa. Quando il lavoratore ricorrente agendo in giudizio fornisce elementi di fatto idonei a fondare in termini precisi e concordanti la presunzione dell'esistenza di atti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso spetta alla parte chiamata in giudizio l'onere della prova circa l'insussistenza della discriminazione. Il giudice, nella sentenza che accerta la discriminazione e quindi la violazione della parità di trattamento tra uomo e donna, ordina al datore di lavoro di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate e un termine per l'adempimento. La mancata ottemperanza alla sentenza costituisce reato contravvenzionale.Il principio della parità salariale, uguaglianza di retribuzione fra l'uomo e la donna quando attendono allo stesso lavoro, compare già come rivendicazione sindacale fin dalle origini del movimento operaio come norma di giustizia distributiva. Il congresso del Partito Socialista del 1893 lo affermò per la prima volta e il congresso sindacale del 1894 lo precisò nella formula: “A parità di produzione, uguale retribuzione tanto per l'uomo che per la donna”. In campo internazionale questo diritto si accompagnò alla rivendicazione del diritto della donna al lavoro e divenne un tema molto dibattuto nel movimento femminista dagli ultimi decenni del sec. XIX agli albori del XX. L'attuazione di questo ambito traguardo si ebbe in Russia nella Rivoluzione del 1917, quando la presa del potere da parte dei soviet riconobbe l'emancipazione completa della donna con la conquista della parità dei diritti con l'uomo. Nel 1920 il principio veniva affermato anche in Gran Bretagna, ma la sua applicazione effettiva rimase a lungo inattuata; in Francia entrò nella legislazione sociale nel 1946; nel frattempo la parità salariale fu proclamata e divenne effettiva nei nuovi Stati a regime socialista. In Italia il principio della parità salariale rimase una prospettiva teorica per lunghi decenni, e le retribuzioni alle donne oscillavano tra un terzo e la metà di quelle riconosciute agli uomini. Nel 1959 la parità salariale era riconosciuta anche dal Trattato del Mercato Comune Europeo e nel 1960 era sottoscritto in Italia il primo contratto di lavoro (tessili) che riconosceva la parità salariale al 100% e l'anno dopo vi si aggiungevano altri 25 contratti nazionali. Oggi la parità salariale può dirsi ormai un obiettivo raggiunto.

Diritto pubblico: la scuola paritaria

Da molti anni si discuteva sull'opportunità o meno di riconoscere il valore e le caratteristiche delle “scuole private”; da una parte i fautori dell'equiparazione, che miravano, tra l'altro, ad ottenere finanziamenti da parte dello Stato per sopperire ai sempre crescenti costi di mantenimento di una struttura, quale quella scolastica, in continua evoluzione; dall'altra gli intransigenti oppositori che riconoscevano alle “scuole private” soltanto la loro natura elitaria e le ritenevano fruibili esclusivamente da parte di ceti medio alti. Dopo accesi dibattiti parlamentari il tema della parità scolastica è stato inserito nell'ampio disegno di riforma del sistema scolastico. Con l'approvazione della legge 10 marzo 2000, n. 62, sono stati, infatti, stabiliti i requisiti in base ai quali gli istituti privati possono far parte del “sistema nazionale di istruzione”. La legge definisce “scuole paritarie”, a tutti gli effetti, ed in particolare per quanto riguarda l'abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, che, a partire dalla scuola per l'infanzia, «corrispondono agli ordinamenti generali dell'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate dai particolari requisiti di qualità ed efficacia previsti dalla legge». Il sistema nazionale di istruzione è quindi costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. La parità è riconosciuta dalla legge alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che «sono in possesso di requisiti tali da garantire un progetto educativo in armonia con i princìpi della Costituzione ed un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti». Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico. A fronte a tale libertà, però, le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, devono accogliere chiunque richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap. Tali scuole devono poi avere, tra l'altro, la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche conformi alle norme vigenti, organi collegiali improntati alla partecipazione democratica e personale docente fornito del titolo di abilitazione. L'accertamento del possesso e della permanenza dei requisiti è demandato al Ministero della pubblica istruzione. Contro la legge sulla parità scolastica alcuni hanno rilevato come la parità giuridica non sia seguita da quella economica e che tale disparità residua faccia venir meno la libertà di scelta di tutti coloro che non hanno mezzi sufficienti per accedere alle strutture private. Il dibattito, sia in sede politica che tra gli addetti ai lavori, è destinato quindi a proseguire, contrapponendo ancora i diversi schieramenti.

Diritto privato

Il caso più tipico della condizione di uguaglianza in cui vengono a trovarsi due o più soggetti nei confronti del godimento di un diritto è quello prospettato dall'istituto del fallimento, in cui tutti i creditori in linea di principio vengono a trovarsi in condizione di parità di diritto sul patrimonio del fallito. Eccezioni sono date dalla preferenza riconosciuta ai titolari di privilegi, pegni o ipoteche fino a concorrenza del credito garantito. Quando il debitore sia un imprenditore commerciale, la parità di condizione dei creditori è attuata tramite la concorsualità, che consente di ripartire equamente il danno tra tutti i creditori.

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