pastìglia

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sf. [sec. XVII; dallo spagnolo pastilla, da pasta, pasta].

1) Forma farmaceutica di consistenza gommosa, particolarmente adatta a veicolare farmaci antiacidi, balsamici e antitosse. Le pastiglie si preparano concentrando una soluzione acquosa di zucchero e gomma arabica contenente i farmaci in soluzione o sospensione; la massa così ottenuta viene colata in stampi ricavati in uno strato di amido di mais. Le pastiglie vengono essiccate a 50-70 ºC in ambiente umido per evitare che sulla loro superficie si formi una crosta che ne impedirebbe il completo essiccamento. Infine vengono rivestite con uno strato zuccherino sia per proteggerle sia per renderle brillanti. Il termine pastiglia viene spesso usato per indicare genericamente caramelle o compresse di uso farmaceutico.

2) Specie di stucco ottenuto mediante impasto di gesso, polvere di marmo e colla, applicato a scopo decorativo sulla superficie dei mobili e poi dorato, in uso in Italia fin dal primo Rinascimento. Tale tecnica (descritta nel Libro dell'arte di Cennini) ebbe vasta applicazione per arricchire motivi ornamentali di porte, cornici, mobili (soprattutto i cassoni nuziali del Quattrocento) e perfino nel campo della pittura (lunette, predelle). L'uso della pastiglia fu di moda per tutto il Seicento.

3) Nei freni a disco dei veicoli, elemento di attrito intercambiabile (vedi freno).

4) Negli apparecchi elettrici, specie di piccole dimensioni, elemento cilindrico di piccolo spessore destinato a stabilire un contatto elettrico.

5) Ant., sostanza odorosa usata un tempo per profumare un ambiente.