Perché Novavax potrebbe diventare il vaccino preferito dagli scettici

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Novavax è l'ultimo vaccino anticovid ad aver ottenuto il via libera dell'Aifa all'utilizzo in Italia. Vediamone caratteristiche e differenze rispetto agli altri vaccini

Da quando è stato sperimentato il primo vaccino contro il vaiolo, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, le vaccinazioni hanno salvato milioni di vite in tutto il Pianeta, facendo letteralmente sparire alcune malattie letali (il vaiolo in primis, ma anche la poliomielite, eradicata in Europa). La pandemia da Covid-19 è capitata in un momento storico in cui le conoscenze e le tecnologie erano giunte a un livello straordinario, a tal punto da permettere di sviluppare svariati vaccini a tempo record. Nonostante ciò, c’è ancora una nutrita quota della cittadinanza che rifiuta la vaccinazione, per paura o per convinzione ideologica. Un nuovo vaccino potrebbe vincere le resistenze di questi – cosiddetti – novax.

Vaccini covid-19: le tipologie

Era la fine del 2019 quando il primo focolaio di coronavirus (SARS-CoV-2) iniziava a circolare nei wet market di Wuhan. Grazie a uno sforzo scientifico ed economico che non ha eguali nella storia umana, a due anni di distanza ben 31 vaccini sono stati approvati in almeno un Paese del mondo, cinque dei quali in Italia. Oltre a quelli che già abbiamo imparato a conoscere, cioè i vaccini a RNA messaggero (BioNTech-Pfizer e Moderna) e quelli a vettore virale (AstraZeneca e Janssen), nei primi 2022 ne debutterà uno che si basa su una tecnologia ancora diversa, le proteine ricombinanti. Si tratta di Novavax.

Novavax, il vaccino a proteine ricombinanti

A voler essere precisi, il vaccino in realtà si chiama Nuvaxovid. Novavax è la società di biotecnologie statunitense che l’ha sviluppato; ha sede a Gaithersburg, nel Maryland, e si dedica anche alla ricerca scientifica contro l’influenza stagionale, il virus respiratorio sinciziale (responsabile della bronchiolite nei bambini), l’ebola e altri due coronavirus, la MERS e la SARS.

Uno degli aspetti più interessanti sta nel fatto che Novavax sfrutta una tecnologia molto diversa da quella degli altri quattro vaccini approvati in Europa, cioè Pfizer e Moderna (a base di mRNA) e AstraZeneca e Johnson&Johnson (a vettore virale). Tecnicamente si chiama vaccino a proteine ricombinanti perché contiene subunità della proteina Spike, che si trova sulla superficie di SARS-CoV-2 e può essere prodotta in laboratorio. Ciò significa che, quando in futuro la persona vaccinata entrerà in contatto con il virus, il suo sistema immunitario sarà già pronto a riconoscerla e combatterla. Tale risposta immunitaria è stimolata anche da un adiuvante ottenuto soprattutto dalla corteccia di Quillaja saponaria, un albero sempreverde che cresce soprattutto in Cile.

Gli altri vantaggi sono di carattere pratico. È infatti molto facile da trasportare, perché per conservarlo basta un normale frigorifero; potrebbe dunque essere cruciale per ampliare la copertura vaccinale nei Paesi in via di sviluppo, ancora molto lacunosa, e per diversificare gli approvvigionamenti. Anche per via di questa facilità logistica, il costo si aggira sui 16 euro per dose: più dei vaccini a vettore virale ma meno rispetto a quelli a mRNA.

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Quante dosi di Novavax servono

Se il meccanismo dunque è peculiare, le modalità di somministrazione sono pressoché le stesse degli altri vaccini. Sono previste infatti due dosi a distanza di tre settimane l’una dall’altra e ci si può ritenere protetti dopo sette giorni dal completamento del ciclo vaccinale.

Efficacia contro malattia e infezioni

Sono due i principali trial clinici che attestano l’efficacia di Novavax: il primo è stato condotto su 45mila persone tra Messico e Stati Uniti, il secondo su 14mila persone nel Regno Unito. Dalla combinazione dei risultati emerge un’efficacia di circa il 90% nell’evitare che si sviluppi la Covid-19 in forma sintomatica. Le varianti prevalenti mentre venivano effettuate queste sperimentazioni erano la alfa (cioè quella originaria) e la beta; alcuni dati più recenti dimostrano una buona risposta immunitaria anche alla variante omicron.

Come per qualsiasi altro vaccino, anche dopo le due somministrazioni è comunque possibile contrarre il virus; per questo rimangono irrinunciabili le precauzioni per evitare il contagio, come lavarsi frequentemente le mani, indossare la mascherina, evitare il contatto fisico e arieggiare di frequente gli ambienti chiusi.

Dove viene utilizzato

Il 20 dicembre l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha dato il semaforo verde a Novavax, che è stato così autorizzato per i maggiorenni prima dalla Commissione europea e poi dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Ciò significa che è consentito in tutti e 27 gli Stati membri dell’Unione e, in più, in Islanda, Liechtenstein, Norvegia. In Italia i primi 1,5 milioni di dosi saranno disponibili fra gennaio e febbraio, per arrivare a un totale di 2,9 milioni nei mesi successivi. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha rilasciato un’autorizzazione per il suo uso di emergenza; per ora è stato adottato in Indonesia e nelle Filippine.

Chi può farlo

Novavax è autorizzato per le persone dai 18 anni in su; per ora la sua sicurezza sui bambini non è stata ancora testata. Come con qualsiasi altro vaccino – per il Covid-19 e non solo – bisogna informare il medico se si soffre di patologie particolari, in particolare problemi di coagulazione, o se le vaccinazioni effettuate in passato hanno scatenato serie reazioni allergiche. È bene rimandare la somministrazione anche se si ha la febbre alta o un’infezione acuta. Per le donne in gravidanza o allattamento, il vaccino anti-Covid non solo è permesso, ma è anche raccomandato: in tal caso sarà il medico al centro vaccinale a stabilire quale sia il più adatto.

Ci sono effetti collaterali?

Gli effetti collaterali di Novavax sono molto lievi, si risolvono nell’arco di un paio di giorni e non lasciano strascichi nel lungo termine. Tra quelli “molto comuni”, riscontrati quindi in una persona su dieci, ci sono mal di testa, dolore al braccio, dolori muscolari e articolari, nausea, vomito e un senso di malessere e affaticamento. Quelli “comuni” (da uno a 10 vaccinati su 100) sono febbre, rossore e gonfiore al sito dell’iniezione, brividi e dolori alle estremità. Ancora meno frequenti (da uno su 100 a uno su 1000) sono l’ingrossamento dei linfonodi, ipertensione, rash cutaneo, eritema, orticaria e prurito, in particolare al sito di iniezione.

Perché potrebbe convincere gli scettici

C’è un altro motivo per cui si guarda con interesse a Novavax. Il fatto che sia elaborato con una tecnologia già ampiamente testata nel corso degli anni (le proteine ricombinanti, appunto) e non con un metodo estremamente innovativo come l’RNA messaggero, può apparire rassicurante anche agli occhi dei più scettici che finora hanno preferito non vaccinarsi. Oltretutto, gli effetti collaterali esistono – come per qualsiasi farmaco – ma sono noti e più lievi; un altro bell’argomento per sconfiggere le paure istintive.

Le altre tipologie di vaccino

Con Novavax, sale a cinque il numero di vaccini contro il Covid-19 disponibili in Italia. Dopo aver descritto nel dettaglio come funziona la tecnologia a proteine ricombinanti, facciamo il punto sulle analogie e differenze con le altre due tipologie in uso: mRNA e vettore virale.

Vaccini a mRNA

Ogni anno, in tutto il mondo, i vaccini salvano milioni di vite. Quelli sviluppati contro il coronavirus da BioNTech-Pfizer e Moderna hanno una peculiarità: sono basati su una tecnologia assolutamente innovativa e molto promettente per il futuro, l’RNA messaggero (abbreviato in mRNA). Si tratta della molecola che trasporta e codifica le informazioni contenute nel DNA, permettendo alle cellule di sintetizzare le proteine che permettono le funzioni vitali di ogni organismo.

Da più di vent’anni gli scienziati di BioNTech e Moderna studiavano le potenzialità di questa molecola. L’esito di questo assiduo lavoro sono i loro due vaccini contro il Covid-19, sviluppati a tempi record grazie a ingenti investimenti. Entrambi i vaccini liberano nell’organismo l’RNA messaggero che contiene le informazioni necessarie per generare la proteina Spike del virus SARS-CoV-2. Questi input vengono recepiti dai ribosomi che quindi producono tante copie della proteina. Il sistema immunitario le riconosce come estranee e quindi le combatte, mantenendo anche una memoria che tornerà poi utile quando in futuro si sarà esposti al virus.

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Quali sono

I vaccini a mRNA sono Comirnaty, prodotto da BioNTech-Pfizer, e Spikevax, prodotto da Moderna. Il funzionamento di base è lo stesso, ma differiscono per alcuni eccipienti impiegati.

Caratteristiche

Entrambi i cicli vaccinali prevedono la somministrazione di due dosi, a distanza di 21 giorni l’una dall’altra nel caso di BioNTech-Pfizer e di 28 giorni nel caso di Moderna. In entrambi i casi, la dose “booster” va fissata ad almeno cinque mesi di distanza. La vaccinazione eterologa, cioè quella che fa un mix di diverse tipologie di vaccino, appare sicura, efficace e ben tollerata. Comirnaty (a dosaggio ridotto) è autorizzato anche per i bambini e adolescenti a partire dai cinque anni, Spikevax a partire dai 12 anni

La corretta conservazione del siero è un aspetto molto delicato a livello logistico e, di conseguenza, costoso. A differenza del DNA, che può sopravvivere per settimane a temperatura ambiente, l’RNA infatti è fragilissimo: svolge la sua funzione e poi si degrada spontaneamente. Ne deriva la necessità di tenere le fiale all’interno di appositi congelatori che, in particolare nel caso di Pfizer, devono mantenere una temperatura compresa fra i -60 e i -90 gradi centigradi.

Efficacia contro malattia e infezioni

Nel dare il via libera a BioNTech-Pfizer, l’EMA si è basata soprattutto sui risultati di un vasto trial clinico internazionale che sono stati pubblicati a dicembre 2020 sul New England Journal of Medicine. Essi dimostravano che Comirnaty previene il 95% dei casi sintomatici di Covid-19 nelle persone dai 16 anni in su, da sette giorni dopo la somministrazione della seconda dose; per gli adolescenti l’efficacia si avvicina al 100%. Allo stesso modo, per verificare la sicurezza e l’efficacia del vaccino di Moderna è stato condotto un trial randomizzato e in doppio cieco a cui hanno partecipato più di 30mila persone maggiorenni; la metà ha ricevuto il siero, l’altra metà è un placebo. È stato dimostrato che l’efficacia nel prevenire l’infezione è pari al 94,1%.

Nel frattempo il virus è mutato più volte e, come logica conseguenza, quest’efficacia va nuovamente testata. Per ora però le evidenze sono incoraggianti. Stando a uno studio condotto dall'università di Colonia insieme ad altri atenei tedeschi, per esempio, la variante omicron elude le prime due dosi del vaccino di Pfizer ma viene neutralizzata dalla terza. La dose booster di Moderna, invece, aumenta i livelli di anticorpi di 83 volte se a pieno dosaggio, di 37 volte se a metà dosaggio. Entrambe le case farmaceutiche si sono dette pronte a elaborare una nuova tipologia di vaccino studiato ad hoc per questa nuova variante.

Dove vengono utilizzati

Il vaccino di BioNTech-Pfizer è approvato in 122 Paesi, quello di Moderna in 83. In Italia la principale differenza tra i due sta nel fatto che il primo viene somministrato a partire dai cinque anni, il secondo a partire dai 12.

Perché sono temuti dagli scettici

Trattandosi di una tecnologia rivoluzionaria, l’mRNA ha innescato parecchi dubbi che talvolta si sono tradotti in vere e proprie fake news.

Una delle più diffuse è quella per cui il vaccino possa modificare il DNA. In realtà non è così: l’mRNA non è in grado di penetrare nel nucleo della cellula, ma si limita a dare istruzioni ai ribosomi (che si trovano nel citoplasma) e, quando non serve più, viene espulso dall’organismo. Oltretutto, anche quando si contrae il coronavirus succede esattamente la stessa cosa, perché il suo RNA vitale penetra nell’organismo. La differenza sta nel fatto che si rischia di sviluppare la malattia in forma grave.

È vero inoltre che l’mRNA è una tecnologia pionieristica; è vero anche che questi vaccini sono stati sviluppati con tempi rapidissimi rispetto alla normalità; ma questo non significa che siano meno sicuri. Il processo di sviluppo, test e approvazione ha seguito esattamente le stesse regole previste per qualsiasi altro vaccino, ma è semplicemente stato svolto più in fretta perché le prove precliniche e di fase 1, 2 e 3 sono state eseguite in parallelo invece che in sequenza. Questo grazie a colossali investimenti economici. Non è nemmeno giusto tecnicamente descriverli come vaccini “sperimentali”, perché questo termine ha un significato ben preciso: un farmaco è sperimentale se non è ancora stato autorizzato all’immissione in commercio. E i vaccini a mRNA invece sono stati autorizzati da tutte le autorità preposte (in Europa, l’EMA).

Vaccino a vettore virale

Un modello molto più tradizionale è quello del vaccino a vettore virale, che utilizza una versione modificata dell’adenovirus come vettore – appunto –  per dare istruzioni alle cellule umane su come sintetizzare la proteina spike di SARS-CoV-2. Non c’è il rischio che l’adenovirus si sviluppi e contagi l’uomo, perché quello che viene iniettato è stato appositamente modificato per renderlo incapace di replicarsi. Quando riconosce la proteina spike, il sistema immunitario la combatte producendo degli anticorpi che in futuro saranno in grado di contrastare anche il coronavirus vero e proprio.

Quali sono

Seguendo lo stesso modello impiegato per il primo vaccino contro ebola, sono stati sviluppati due diversi vaccini a vettore virale: Vaxzevria, prodotto dalla casa farmaceutica AstraZeneca insieme all’università di Oxford, e Janssen, anche noto come Johnson & Johnson dal nome dell’azienda statunitense capogruppo. La differenza fondamentale tra i due sta nel fatto che il primo usa un adenovirus dello scimpanzé, il secondo un adenovirus umano di tipo 26.

Caratteristiche

Come i vaccini a mRNA, anche quello di AstraZeneca prevede due iniezioni; la distanza tra la prima e la seconda però è compresa tra le dieci e le dodici settimane. Janssen invece è l’unico per cui basta una dose singola; resta comunque necessario effettuare il booster a cinque mesi di distanza, usando un’altra tipologia di vaccino. La conservazione è molto più semplice rispetto a quella di Pfizer e Moderna: per AstraZeneca basta un normale frigorifero che mantenga temperature comprese fra i 2 e gli 8 gradi centigradi, Janssen invece va congelato a una temperatura compresa tra i -25 e i -15 gradi e poi conservato in frigorifero per tre mesi, sempre tra i 2 e gli 8 gradi.

Nei giorni successivi alla somministrazione dei vaccini a vettore virale, è molto comune avere i classici sintomi dell’influenza: febbre, dolore nella sede di iniezione, stanchezza, cefalea e dolori muscolari e articolari. Non è una situazione gradevole, ma è assolutamente normale e si risolve nell’arco di un paio di giorni senza alcuna conseguenza. Durante la loro commercializzazione sono stati osservati sporadici casi di trombosi, anche con conseguenze gravi o letali, soprattutto in persone di età inferiore ai sessant’anni. Si tratta di eventualità estremamente rare; in termini statistici, è molto più comune che si verifichino dopo l’assunzione della pillola anticoncezionale o dell’eparina. Sono stati comunque sufficienti per spingere l’AIFA, in via precauzionale, a raccomandare AstraZeneca e Jannsen soltanto per gli over 60. I centri vaccinali italiani hanno poi preferito rifornirsi quasi esclusivamente di vaccini a mRNA.

Efficacia contro malattia e infezioni

L’efficacia di AstraZeneca varia molto a seconda delle tempistiche. Nello studio clinico condotto prima dell’immissione in commercio, 5.258 individui hanno ricevuto le due dosi a distanza di 4-12 settimane l’una dall’altra e altri 5.210 hanno ricevuto un placebo. L’efficacia nel prevenire la malattia sintomatica è stata pari al 59,5%, ma sale fino all’82,4% quando l’intervallo tra la prima e la seconda è pari a 12 settimane. Fattore ancora più importante, già dalla prima dose il tasso di ospedalizzazione risulta letteralmente azzerato (nessun caso su 8.032 contro 14 casi, di cui uno letale, sugli 8.026 membri del gruppo di controllo).

Dai test clinici condotti, Janssen ha un’efficacia pari al 66,9% nel prevenire la malattia in forma sintomatica a quattordici giorni di distanza dall’inoculazione. Considerato che il vaccino serve soprattutto per evitare ospedalizzazione e morte, è rilevante notare come – sempre con le stesse tempistiche – si siano verificati 14 casi gravi tra chi aveva ricevuto il vaccino e 60 nel gruppo di controllo. Tre persone sono decedute a causa del Covid-19, ma avevano tutte ricevuto il placebo.

Dove vengono utilizzati

Il vaccino di AstraZeneca è stato approvato in 134 Paesi, tra cui tutti quelli dell’Unione europea e dell’Africa, avendo ricevuto il semaforo verde rispettivamente da parte dell’EMA e dell’ Africa Regulatory Taskforce. Soprattutto nel Regno Unito è stato la prima scelta per diversi mesi; a settembre 2021 si parlava di 48,9 milioni di dosi somministrate. Per contro, non è mai stato usato negli Stati Uniti, che tuttavia ammettono alle frontiere chi si è vaccinato con questo siero all’estero. Viceversa, Janssen è approvato dai regolatori degli Usa, dei Caraibi, dell’Africa e anche dell’Unione europea, per un totale di 95 Paesi.

Anche in Italia AstraZeneca e Johnson & Johnson restano regolarmente autorizzati per le persone dai 18 anni in su. Inizialmente il primo veniva scelto soprattutto per i più giovani, ma una circolare di aprile dell’Aifa l’ha raccomandato per gli over 60 in seguito ad alcune reazioni avverse (trombosi, nello specifico). Eventualità rarissime, ma ritenute più probabili nelle persone di giovane età. I numeri sono estremamente bassi – a maggio l’Ema riferiva di 316 casi di trombosi su 36 milioni di vaccinati con AstraZeneca – ma sono stati comunque ritenuti sufficienti per ridurre l’uso di questo vaccino a vettore virale, fino quasi a dismetterlo, in Italia come in altri Stati europei (ad esempio Spagna, Francia, Germania, Paesi Bassi e Norvegia). È successo pressoché lo stesso con Johnson & Johnson; in questo caso si parla di un caso di trombosi ogni 2,1 milioni di vaccinati.

Perché sono temuti dagli scettici

Il fatto che i vaccini a vettore virale contengano un virus, seppur depotenziato, ha fatto temere che potessero causare la malattia. In realtà questo non è tecnicamente possibile, perché si tratta di un virus diverso dal SARS-CoV-2, un virus che per giunta non è in grado di replicarsi ed è innocuo per l’uomo. Nessuno inoltre è riuscito a dimostrare che i vaccini contro il Covid-19 inneschino l’ADE (Antibody Dependent Enhancement), cioè una particolare reazione per cui alcuni anticorpi agevolano l’ingresso del virus, invece di bloccarlo.

È vero che si sono verificati dei casi di trombosi in seguito alla somministrazione dei vaccini a vettore virale. Nonostante la loro incidenza fosse molto più bassa rispetto a quella prevista (e chiaramente indicata nel foglietto illustrativo) per trattamenti come la pillola anticoncezionale e l’eparina, le autorità sanitarie di diversi Paesi – Italia inclusa – hanno comunque preferito ripiegare sui vaccini a mRNA.

Analogie e differenze tra i vaccini

Abbiamo quindi visto che i cinque vaccini autorizzati in Italia usano tecnologie diverse, possono essere somministrati a età diverse e con tempistiche e modalità diverse. Una cosa però li accomuna: sono stati tutti studiati, testati e valutati con estrema attenzione dalle autorità sanitarie globali, europee e italiane, le uniche ad avere le competenze per definire se siano sicuri e ben tollerati. Laddove si sono verificate delle criticità, come quelle legate ad AstraZeneca e Janssen, le autorità stesse sono intervenute basandosi sul principio di prudenza. Non c’è dunque motivo per temerli, né per andare alla ricerca di fonti di informazione alternative, incontrollate e scarsamente affidabili.

Il vaccino – lo ribadisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – è attualmente l’unica arma che abbiamo a disposizione per evitare che la malattia da Covid-19 si sviluppi con conseguenze gravi o addirittura letali. Per evitare che il virus continui a circolare, resta comunque necessario seguire le buone pratiche di distanziamento sociale, lavarsi di frequente le mani, indossare la mascherina ed evitare assembramenti, soprattutto in luoghi chiusi scarsamente ventilati.

Valentina Neri

Foto apertura: rimidolove - 123RF