Il profitto

Il profitto è il reddito dell'impresa. Per ogni impresa è possibile calcolare il profitto nel seguente modo: si moltiplicano le quantità di beni prodotti e venduti (output) per i loro prezzi ottenendo così i ricavi. Da questi si sottraggono i costi ottenuti come il prodotto delle quantità dei beni intermedi e dei servizi produttivi impiegati (input) per i rispettivi prezzi, per ottenere il profitto lordo. Sottraendo da questo il costo del capitale investito nell'impresa (interessi effettivamente pagati sui capitali monetari presi a prestito e/o mancati interessi sui capitali di proprietà investiti nell'impresa) si ottiene il profitto netto o extra-profitto o profitto “puro”.

Se l'impresa opera in mercati perfettamente concorrenziali (caratterizzati da molte imprese, ciascuna delle quali risulta piccola rispetto al mercato; da prodotti omogenei e da libertà di entrata e uscita dal mercato) i prezzi di tutti i suoi output e input sono dati; se invece l'impresa ha un potere di mercato per certi output o input (come quando per esempio è l'unico produttore di un output - monopolista; o l'unico acquirente di un input - monopsonista) i rispettivi prezzi dipenderanno dalle scelte dell'impresa in ordine alle quantità da vendere o da comprare (e, nel fare queste scelte, l'impresa terrebbe ovviamente conto dell'ampiezza del suo mercato di vendita, nel caso di un output; o di acquisto, nel caso di un input). In regime di concorrenza il sistema economico tende sempre, ma senza mai raggiungerlo, a un equilibrio in cui la remunerazione del capitale è uguale in ogni impiego: in tale situazione il profitto netto sarebbe zero, e il tasso di profitto lordo sarebbe uguale al tasso d'interesse. In tal caso il profitto lordo viene chiamato normale.

La massimizzazione del profitto

Se la famiglia proprietaria dell'impresa fosse interessata esclusivamente al suo benessere individuale, in funzione dei beni da essa consumati, allora essa vorrebbe che il suo reddito corrente o, in una prospettiva intertemporale, la sua ricchezza (il valore attuale dei suoi redditi netti futuri) fosse la più alta possibile, e di conseguenza essa chiederebbe all'impresa posseduta o alle imprese di cui detiene quote di proprietà di massimizzare i profitti correnti o, in una prospettiva intertemporale, di massimizzare il valore di mercato (il valore attuale dei flussi di profitti futuri). Si noti qui che se il profitto è massimo per una data quantità di prodotto, allora il costo di produzione di tale quantità è ovviamente minimo; mentre produrre una quantità qualsiasi al minimo costo non garantisce che il profitto sia massimo. In altre parole, la massimizzazione del profitto presuppone la minimizzazione dei costi, ma non è vero il contrario. Quando il profitto dell'impresa è assegnato ai suoi proprietari nel loro esclusivo interesse, si può dire che la massimizzazione del profitto è la concretizzazione del fine di lucro dell'impresa.

Imprese senza fine di lucro

Ma se le famiglie o, per uscire dal nostro precedente schema di economia semplificata, gli enti privati (per esempio, associazioni, fondazioni, cooperative, ecc.) o pubblici (Stato, enti locali, ecc.) proprietari dell'impresa avessero dei fini diversi da quello “egoistico” della massimizzazione del loro benessere individuale o fini che comunque non sarebbero tanto più soddisfatti quanto maggiori fossero le risorse monetarie a disposizione, allora esse potrebbero volere che l'impresa realizzasse piani di produzione che non necessariamente massimizzino i profitti. In tal caso si può dire che ci si troverebbe di fronte a un'impresa senza fini di lucro. Un tale tipo d'impresa costituisce una particolare fattispecie del più ampio genere delle istituzioni senza fine di lucro (istituzioni non-profit). Così, un'impresa municipalizzata che offra uno di quei beni chiamati servizi pubblici (public utilities), come il trasporto pubblico urbano, o la fornitura di acqua, gas o elettricità, potrebbe, in ottemperanza alle direttive dell'ente locale che ne è proprietario, fornire il suo prodotto a prezzi “politici”. Il piano di produzione, ovvero la combinazione di input e output corrispondente alla domanda generata da questi prezzi sarà normalmente un piano che non massimizza i profitti ancorché, nel caso di un'azienda ben gestita, sarà un piano che minimizza i costi.

Nel caso di un'impresa che produca un bene e che sia gestita da una cooperativa (cooperativa di produzione) l'obiettivo potrebbe essere ancora quello della massimizzazione del profitto, anche se questo non sia poi distribuito come un dividendo tra i soci, ma sia utilizzato secondo quanto previsto dallo statuto. O, alternativamente, l'obiettivo di una cooperativa di produzione potrebbe essere quello, come avviene nelle cooperative edilizie, di fornire certe quantità di prodotto a certi prezzi ai soci o, come avveniva nelle imprese autogestite della ex-Iugoslavia, di massimizzare il salario medio per lavoratore (essendo i salari totali la differenza tra i ricavi e i costi dei beni intermedi, al netto della remunerazione normale del capitale investito).

Dagli esempi appena fatti è quindi chiaro che un'impresa senza fine di lucro non è normalmente, anche se potrebbe esserlo, un'impresa che massimizza il profitto; mentre ben difficilmente potrebbe essere un'impresa che non minimizza i costi. Un'impresa senza fine di lucro che non minimizzi i costi sarebbe inefficiente, così come inefficiente sarebbe un'impresa con fine di lucro che non massimizzi i profitti.