L'imprenditore

Per gli economisti classici e per Marx, l'attività produttiva nell'economia capitalistica era controllata e gestita da capitalisti che facevano anche gli imprenditori. Questa sottolineatura del ruolo del capitale dell'imprenditore era legata alla concezione classica del capitale come anticipazione nel tempo delle spese necessarie per mettere all'opera il lavoro, che avrebbe generato in un momento successivo i ricavi con cui si sarebbero recuperati i costi e si sarebbe realizzato un profitto (o, per Marx, un plusvalore). La remunerazione del capitalista/imprenditore si risolveva in questo contesto nella remunerazione del capitale impiegato (il profitto), essendo che in equilibrio il tasso di profitto risultava uguale al tasso d'interesse.

Da questa concezione dell'imprenditore gli economisti marginalisti e neoclassici si sono nettamente staccati, facendo emergere dalla loro analisi la figura dell'imprenditore, come il responsabile dell'impresa: una figura economica distinta sia dal capitalista, che prestava i capitali monetari all'impresa; sia dal manager, che svolgeva il lavoro di organizzazione dell'attività produttiva. Per questi autori la remunerazione tipica dell'imprenditore non coincideva né con lo stipendio che egli stesso poteva imputarsi in quanto svolgeva concretamente funzioni organizzative, né con la remunerazione (al tasso corrente d'interesse) dell'eventuale capitale proprio impiegato nell'impresa (cioè, con una quota o al limite tutto quello che sopra si è chiamato il profitto normale). La specifica remunerazione dell'imprenditore non poteva quindi che venire da quello che sopra si è chiamato il profitto puro o extra-profitto: una grandezza che le forze della concorrenza tendono ad eliminare nel lungo periodo ma che di fatto, in ogni dato momento del tempo, è sempre poco o tanto diverso da zero (le imprese sono stimolate a lasciare il settore in cui operano quando gli extra-profitti sono negativi, e a entrare invece nei settori in cui gli extra-profitti sono positivi). Vanno però richiamate le concezioni di due grandi economisti che hanno cercato di dare alla remunerazione dell'imprenditore un contenuto più pregnante di quello, in fondo riduttivo, di reddito residuale e transitorio che essa aveva nella tradizione marginalista.

Il profitto come remunerazione del rischio dell'imprenditore

Il primo dei due autori cui facciamo riferimento, l'americano Frank Knight propose il concetto di imprenditore come soggetto disposto ad assumersi il rischio dell'organizzazione della produzione, derivante dal fatto che di fronte a spese certe per gli input si hanno ricavi incerti per gli output (essendo l'incertezza così forte, da non poter essere misurata con delle probabilità da assegnare agli eventi possibili) e, correlativamente, il concetto di profitto come remunerazione del rischio d'impresa. Joseph Schumpeter propose invece il concetto di imprenditore come innovatore. Questi è colui che realizza innovazioni, introducendo nell'economia nuovi processi produttivi, o nuovi prodotti, o aprendo nuovi mercati e così via e il cui reddito deriva dagli extra-profitti generati dalla posizione di monopolio conseguente alla sua innovazione. A lungo andare questi extra-profitti vengono erosi dall'inevitabile imitazione che di quella fanno altri imprenditori, nel mentre emergono continuamente nuovi extra-profitti per effetto dell'incessante flusso di innovazioni che costituisce invero la caratteristica distintiva del moderno sviluppo economico. Per Schumpeter quindi il profitto d'impresa è continuamente alimentato dal flusso delle innovazioni ovvero dal progresso tecnologico.

Perché l'impresa esiste

Pur nella varietà delle teorie, l'esistenza dell'impresa era sempre stata data per scontata. Il primo economista a domandarsi perché esista l'impresa come un'entità specifica per la gestione del processo produttivo e a trovare una risposta generale fu l'americano Ronald Coase, che in un articolo del 1937 osservò che le transazioni sui mercati erano costose: poteva quindi essere conveniente per i soggetti economici svolgerle all'interno di una struttura gerarchica come appunto l'impresa. Coase spiegava l'impresa applicando un principio generale che egli stesso successivamente esplicitò per primo, e cioè che gli individui tendono a scegliere le istituzioni più efficienti (nel senso paretiano del termine).

L'impresa, in quanto sistema gerarchico, basato su relazioni di autorità, e il mercato, in quanto insieme di relazioni contrattuali basate sul sistema dei prezzi, sono strumenti alternativi per il coordinamento dell'attività economica di una pluralità di agenti.

Il pionieristico contributo di Coase, concentra l'attenzione proprio sulla contrapposizione tra mercato e gerarchia; sulle cause dell'esistenza di quest'ultima e sulla relativa efficienza dei due strumenti di coordinamento dell'attività dei singoli. Un concetto cardine della teoria è quello di costo di transazione, ovvero di costo d'uso del mercato. Le transazioni sul mercato comportano dei costi: di raccolta e comunicazione delle informazioni tra le parti contraenti; di contrattazione; di intermediazione; di definizione, stesura, monitoraggio ed enforcement dei contratti. Questi costi variano secondo il tipo di transazione; in particolare dipendono dalla specificità del capitale fisico e umano coinvolti, dall'incertezza e dalla frequenza con cui si verificano. Il sistema dei prezzi appare uno strumento efficiente se i costi d'uso del mercato sono ridotti; come nel caso di transazioni occasionali, non specifiche e condotte in assenza di elevata incertezza, mentre l'impresa è preferibile nel caso di transazioni complesse, specifiche, coinvolgenti una vasta pluralità di agenti e ripetute nel tempo in condizioni di incertezza. Per esempio, l'approvvigionamento di un input di produzione facilmente reperibile, semplice e non specifico può venire soddisfatto a basso costo con il ricorso al mercato. Al contrario, un input altamente tecnologico, non facilmente reperibile, specifico e soggetto a frequenti modifiche e variazioni di prezzo, può essere profittevolmente prodotto direttamente. In generale, la presenza di relazioni di autorità permette infatti di superare le difficoltà di prevedere in contratto tutti i possibili eventi futuri (incertezza), riduce i costi di contrattazione, di gestione dell'informazione e permette di instaurare relazioni di lungo periodo.

L'economia delle transazioni

Ci vollero molti anni perché il carattere rivoluzionario delle idee di Coase fosse capito dagli altri economisti ma, infine, a partire dagli anni Settanta un numero crescente di autori sviluppò quelle idee fornendo analisi sempre più articolate dei fattori che spiegano l'esistenza dell'impresa. Ma fu in particolare merito di O.Williamson formulare un'analisi dettagliata e sistematica della nozione di costo delle transazioni (Le istituzioni economiche del capitalismo, 1985) e completare così la rivoluzione coasiana, fondando l'economia delle transazioni. In questa costruzione l'unità primaria dell'analisi è la transazione; e l'impresa diventa una particolare configurazione di transazioni (con i suoi specifici costi delle transazioni interne da contrapporre a quelli delle transazioni esterne), dettata dalla convenienza economica degli individui che le effettuano (tra i fattori che fanno pendere la bilancia a costituire o allargare l'impresa, Williamson sottolineò in particolare la specificità alla transazione degli investimenti effettuati dai soggetti che vi partecipano; l'opportunismo – la propensione a violare regole e norme morali quando ciò sia conveniente – degli stessi; l'incertezza degli eventi che possono incidere sull'esecuzione di un contratto e la maggior o minore ripetitività della transazione).

Le nuove teorie dell'impresa hanno contribuito a spiegare molti aspetti della vita delle imprese, riguardanti sia l'evoluzione delle loro strutture interne (per esempio, organizzazione per funzioni con un solo vertice – organizzazione unitaria – piuttosto che organizzazione in divisioni, distinte per prodotto, mercato, ecc., con i propri vertici, coordinati però da un supervertice, che prende solo le decisioni strategiche – organizzazione divisionale – sia le decisioni di integrazione o disintegrazione verticale o orizzontale. La teoria dell'impresa basata sui costi di transazione e, ancor più fondamentalmente, sul principio coasiano che gli individui che contrattano liberamente tendono a creare istituzioni efficienti, è alternativa a teorie, come quella marxiana, secondo la quale l'impresa capitalistica è il riflesso di un rapporto di potere che consente alla classe dei capitalisti di appropriarsi di una parte del valore dei beni prodotti dalla classe dei lavoratori.