L'acqua e i suoli

I suoli

La terra si presta a ogni uso, è "nutrice di vita" e "via di trasporto". Di questo secondo aspetto ci occuperemo oltre. Qui consideriamo la terra come risorsa vitale e come fonte di sostentamento per l'uomo.

  • Le terre coltivabili

La terra, ossia l'insieme dei suoli esistenti sul pianeta, può nutrire molte più persone di quante oggi popolano il pianeta. In teoria, però. In realtà le cose vanno diversamente.Intanto i fattori che rendono un terreno produttivo (fertilità del suolo, favorevoli condizioni climatiche, disponibilità d'acqua) sono distribuiti al mondo in modo non necessariamente corrispondente alla distribuzione della popolazione (tanto che alcuni paesi producono cibo in eccesso rispetto al loro fabbisogno, altri lottano per la sopravvivenza).In secondo luogo le possibilità di espandere l'utilizzo della terra e dell'acqua per fini agricoli, così come l'uso dei pascoli e delle zone di pesca, sono limitate. Inoltre, su scala territoriale, le risorse di cui ci siamo già appropriati stanno perdendo di produttività . Secondo uno studio compiuto nei primi anni '90 da parte dell'università californiana di Stanford, la specie umana da sola si è appropriata nel corso della sua evoluzione del 40% dell'intero rifornimento alimentare del pianeta, lasciando a tutte le altre specie vegetali e animali il residuo 60%.

Inoltre, la quota di capacità alimentare di cui l'umanità si è appropriata corrisponde a quella più facile da ottenere, il che significa che siamo assai prossimi al limite massimo di sfruttamento dei suoli del pianeta. Il problema è serio. Se per quanto riguarda le risorse minerarie ed energetiche possiamo pensare a una svolta tecnologica che ci consenta in qualche modo di rimpiazzare le fonti esauribili, quanto alla terra, e all'acqua, non esistono sostituti .

La tecnologia può soltanto aumentare la superficie coltivata a scapito di quella potenzialmente coltivabile, dal momento che le riserve di terreni coltivabili sono molto vaste, ma con gli esiti accennati sopra: vale a dire riducendo il rifornimento alimentare disponibile per le altre specie e, in buona sostanza, trasformando sistemi biologici complessi in altri più semplici ( riducendo cioè la biodiversità).

  • Praterie e pascoli

Nella migliore delle ipotesi l'area agricola può espandersi ancora di un 5%, arrivando a coprire 1,5 miliardi di ettari. Se teniamo conto dell'incremento della popolazione mondiale, previsto per il 2010 intorno al 33%, risulta che per allora avremo una riduzione di un quinto (21%) della quantità di suolo agricolo pro capite. A ciò s'aggiunga la perdita di terreno dovuta allo sviluppo industriale e edilizio.Né la situazione per quanto riguarda i pascoli e le praterie è più confortante. Questi coprono oggi 3,5 miliardi di ettari, più del doppio della superficie destinata alle colture. La funzione dei pascoli nell'alimentazione umana è essenziale, dal momento che i ruminanti (buoi, bufali, capre, pecore, cammelli ecc.) trasformano l'erba, immangiabile dall'uomo, in latte e carne. Inoltre i ruminanti non sono concorrenti alimentari dell'uomo, come pollame, suini e bovini d'allevamento, che consumano cereali. Il fatto è che la maggior parte dei pascoli è pesantemente sfruttata, tanto da non poter continuare a nutrire l'attuale popolazione di bestiame. Ciò porta a sua volta a una perdita di produttività del suolo e al degrado del terreno. Per il 2010 è previsto un aumento del 4% delle aree destinate a pascolo. Sommando questa cifra all'incremento della superficie coltivata sopra riportato, avremo una riduzione effettiva della superficie agricola pro capite pari al 22%.

  • La desertificazione

Un ulteriore problema connesso alla risorsa "suoli" è quello della desertificazione, un fenomeno che investe due terzi dei paesi del mondo e un terzo della superficie terrestre. Al riguardo è stata aperta alla firma, a Bonn, un'apposita Convenzione internazionale (United Nations Convention to Combat Desertification, UNCCD, sito Internet: www.unccd.int). Il processo di desertificazione è dovuto principalmente a fattori climatici, ma al suo diffondersi attuale concorrono anche responsabilità umane dirette. Tra queste si possono annoverare, oltre alle deforestazioni, la tendenza a sfruttare terreni fragili senza adeguati fertilizzanti, l'allevamento intensivo, che porta ad un rapido esaurimento dei suoli, o l'impiego di macchine agricole , che produce gli stessi effetti distruggendo il suolo in profondità, o anche l' irrigazione in prossimità d'acque salate, che portano intrusioni di sale nella terra.Anche una soltanto di tali azioni, in presenza di terre aride o semiaride, può scatenare un rischio di desertificazione a catena. In queste condizioni è già un altro quarto della superficie del pianeta: circa 40 milioni di km2, con un miliardo d'abitanti, distribuiti in un centinaio di paesi. L'"avanzata del deserto" è rilevante non soltanto dal punto di vista dell'impatto ambientale, ma anche per i suoi pesanti costi umani, che tendono a colpire prevalentemente paesi in via di sviluppo, già toccati da acuti problemi economici e sociali.

Secondo i dati forniti dalle ultime due conferenze sulla desertificazione dell'ONU (tenute rispettivamente a Recife, in Brasile, nel 1999, e a Bonn, in Germania, nel 2000), il "nuovo deserto" divora ogni anno circa 150.000 km2 di terreno, corrispondente a un'area più grande della Grecia, provocando l'esodo di 13,5 milioni di "profughi ambientali " e la distruzione di 24 miliardi di suolo coltivabile, con un danno economico valutato intorno a 42 miliardi di dollari USA. Il continente più colpito è l'Africa, con i due terzi della superficie ormai privi di vegetazione e il 40% della popolazione che vive in zone aride e semiaride. La zona africana a maggiore esposizione è il Sahel, la fascia predesertica dove il Sahara continua a estendersi seminando carestie (memorabile quella del 1973-74) e circa 200 mila morti l'anno.Al secondo posto nelle regioni più a rischio è l'America Latina, dove sono considerati aridi 2,5 milioni di km2 di terreno, dal nord di Brasile, Argentina e Venezuela, agli altipiani di Perú e Bolivia, alle zone tropicali del Centroamerica e a quelle aride e semiaride del Messico. A rischio é pure la Cina settentrionale, con un milione di ettari ormai inutilizzabile dal punto di vista agricolo e un danno annuale che supera i 6,5 miliardi di dollari USA.