L'esordio del teatro classico: Corneille

Il teatro della volontà

L'opera di Corneille fiorì sul finire del regno di Luigi XIII, un'epoca in cui gli ideali dell'aristocrazia stavano trasformandosi profondamente, ma aderivano ancora ai valori gloriosi dell'epoca feudale. Gli eroi delle tragedie dunque sono personaggi fuori dal comune per condizione sociale e forza morale, artefici del proprio destino. Il soggetto della tragedia deve essere un'azione illustre, un problema di Stato, un pericolo per la dignità dell'eroe, e solo secondariamente l'amore. Forza delle passioni, tensione della volontà, intelligenza politica, immaginazione visionaria: gli esseri superiori delle tragedie di Corneille obbediscono a un'unica legge interiore, a un unico principio, la propria gloria. "Gloria" (che rima spesso con "vittoria" e con "memoria", nel senso di fama, ricordo) è la parola chiave del teatro corneilliano, accompagnata da virtù, valore, onore, grandezza. Nella polemica sulle passioni, che percorre tutto il Seicento francese, Corneille si schiera risolutamente per la libertà dell'uomo. Affrontando il conflitto tragico, scegliendo la propria gloria, l'eroe di Corneille sceglie anche, dolorosamente, la rinuncia ai valori comuni, a una felicità a portata di mano, e accetta un'ineluttabile solitudine.

La fortuna

Deplorato per quelle "tragedie senza tragicità" in cui l'individuo non affronta mai un reale conflitto, giudicato negativamente per la ferocia dei suoi personaggi e per un certo tono declamatorio e concitato, Corneille ha goduto comunque di una fama duratura. Probabilmente si è sentito un po' costretto nel vestito delle regole classicistiche imposte dalla moda del tempo, che non lasciarono spazio per quella sua vena fantastica e vivace rintracciabile nelle prime commedie, più realistiche e certo non paludate.