La tragedia

L'evoluzione della tragedia greca

Al musico e citarista Arione, attivo nella I metà del sec. VI a. C., la tradizione attribuisce ora l'invenzione ora una non meglio identificata riforma del ditirambo, in cui avrebbe introdotto temi mitici diversi da quelli tipicamente dionisiaci. Tespi, del demo attico di Icaria, avrebbe introdotto, per primo, un attore contrapposto al coro con cui dialogava in metri giambici; avrebbe anche partecipato per primo a un concorso tragico. A Pratina di Fliunte (sec.VI) è attribuita la prima composizione di drammi satireschi. Notizie più sicure si hanno di Frinico, che nei suoi drammi introdusse temi storici, precorrendo Eschilo.

La grande triade: Eschilo, Sofocle ed Euripide

Con la triade dei drammaturgi ateniesi, dopo la lunga quanto oscura fase dei primordi, la tragedia raggiunge la sua compiutezza, sia sotto il profilo formale sia, soprattutto, per altezza poetica. L'argomento dei loro drammi è tratto dal repertorio mitico, ben noto allo spettatore antico, a cui il poeta tragico attingeva per esporre la propria visione del mondo e dell'esistenza.

In Eschilo, la concatenazione fatale tra colpa e pena, destinata a protrarsi lungo l'arco di più generazioni, trova uno sbocco di pacificazione nel disegno superiore della divinità.

In Sofocle, l'eroe tragico, paradigma dell'umana sofferenza, si misura, nella solitudine e nella grandezza, con il proprio destino, giungendo al pessimismo radicale, che addita nel “non essere nato” la sorte migliore per l'uomo.

Con Euripide, il dramma si fa contrasto doloroso tra forze opposte che dilaniano il cuore dell'uomo: la divinità sembra incomprensibile o lontana. La sublimità tragica si sfaccetta nel gioco fortuito del caso o si svilisce nell'atmosfera quotidiana degli eventi. Il mito stesso viene sottoposto a revisione, con esiti sovente inaspettati.