La seconda sofistica

Luciano di Samosata

Nel panorama imperiale della seconda sofistica Luciano si inserisce come personaggio di spicco e figura tra le più versatili: letterato greco dalla grande abilità di scrittura (usò con sapienza il dialetto attico) e dallo spirito caustico e dissacrante, fu senza dubbio il più felice interprete della cultura e delle mode letterarie del suo tempo.

La carriera di retore e sofista

Luciano nacque attorno al 120 d.C. a Samosata, sull'Eufrate, ultimo avamposto orientale dell'Impero, territorio “barbaro” e lontano dalla vita culturale romana. Ancora ragazzo, come egli stesso racconta nel Sogno, fu avviato dal padre, scultore di mestiere, alla sua stessa attività, ma dopo un breve e infelice apprendistato presso la bottega di uno zio materno, fece un sogno in cui gli apparvero due donne, l'Arte Statuaria e la Retorica, che lo contendevano: scelse la retorica. Lasciata la modesta famiglia d'origine, si impadronì della lingua e della cultura greca frequentando le scuole dei sofisti in Asia Minore. Dalla Doppia Accusa apprendiamo che diventò un celebre conferenziere itinerante, secondo la moda del tempo, e viaggiò molto riscuotendo brillanti successi. Passò dalla Grecia all'Italia, alla Gallia, dove ebbe anche una cattedra di eloquenza; fu avvocato ad Antiochia (155-158) e ambasciatore a Roma (159). Avendo conosciuto il filosofo platonico Nigrino proprio a Roma, all'età di quarant'anni convertì i suoi interessi alla filosofia e soggiornò per vent'anni ad Atene. Dal 173 al 176 d.C., per problemi economici, fu costretto ad accettare la carica di funzionario imperiale in Egitto; successivamente riprese i viaggi e l'attività di retore (disse di essere stato deluso anche dalla filosofia), prima di ritornare ad Atene, dove forse morì attorno al 180 d.C.

Il corpus delle opere

Il corpus, comprendente circa ottantatré opere (una decina delle quali considerate spurie) mostra l'estrema varietà di contenuti e forme nella produzione di Luciano. Per tutti questi scritti è improponibile un'esatta datazione, ma si può solo tentare una ricostruzione della loro successione cronologica, distinguendo all'interno dell'ampia attività letteraria dell'autore quattro fasi, corrispondenti a relative tipologie di scritti.

Nella prima fase lo scrittore aderì totalmente al movimento della seconda sofistica occupandosi soprattutto della retorica nelle varie forme delle declamazioni pubbliche, delle esercitazioni sofistiche (il Diseredato, il Tirannicida, i due Falaridi) e degli encomi paradossali (Elogio della mosca e il Giudizio delle vocali).

In un secondo momento si interessò di temi più specificamente letterari legati alla rielaborazione delle opere del passato: la Storia vera (racconto di un viaggio fantastico), Come si deve scrivere la storia (trattato epistolare in cui Luciano critica gli storici contemporanei per poi illustrare criteri di chiarezza e onestà intellettuale cui deve attenersi un vero storico) e i Dialoghi danno voce all'atteggiamento polemico dell'autore ma anche al desiderio di recuperare e rinnovare i generi letterari tradizionali.

Dopo il 159 d.C., anno dell'incontro con il platonico Nigrino, le opere di Luciano testimoniano la sua conversione alla speculazione filosofica: d'argomento etico sono l'Ermotimo, la Nave, le Immagini; interessanti per gli spunti autobiografici il Sogno, il Bisaccusatus, l'Apologia; esprimono la critica ai filosofi contemporanei, la cui vita non si accorda con l'austerità delle concezioni professate, Il pescatore e Vendita di vite all'asta.

Nell'ultima fase della sua attività, Luciano si accostò a tematiche più apertamente religiose: l'Icaromenippo e Gli dei a concilio irridono le superstizioni della religiosità popolare; l'Alessandro satireggia la figura di un celebre santone e taumaturgo, Alessandro di Abonuteico; nella Morte di Peregrino, Luciano condanna con irridente sarcasmo il famoso filosofo stoico (e già cristiano) Peregrino-Proteo, che si era platealmente fatto bruciare vivo ad Olimpia (nel 167) per dimostrare il suo disprezzo per la morte; il Nigrino, dedicato al suo maestro, filosofo platonico, è una radicale condanna della vita e della cultura di Roma.

I dialoghi e i romanzi

La fortuna di Luciano è legata soprattutto ai 26 Dialoghi degli dei, ai 15 Dialoghi marini e ai 30 Dialoghi dei morti e ai due romanzi la Storia Vera e Lucio o l'asino; entrambi i generi (il dialogo e il romanzo) sperimentati dall'autore divennero celebri per il tono leggero e divertito e per lo stile pungente.

Nel primo gruppo di dialoghi (Dialoghi degli dei) l'autore attinge al patrimonio venerabile del mito e della letteratura classica, per fornirne una rappresentazione del tutto originale, quotidiana, ironica e sorridente. Più amaro è il tono del secondo gruppo (Dialoghi dei morti), in cui appare frequentemente il filosofo cinico Menippo: tutte le aspirazioni umane (ricchezza, potere, gloria, bellezza), nella prospettiva della morte, acquistano, la loro dimensione autentica di vane illusioni. A un'atmosfera di commedia, fatta di intrighi e malizia, si ispirano invece i Dialoghi delle cortigiane. In questi componimenti appare una delle più felici innovazioni realizzate da Luciano (sottolineata dall'autore stesso nella Doppia Accusa: “Io osai unire due cose che non accettavano facilmente di stare assieme”): il connubio tra dialogo filosofico e commedia.

Dei due romanzi, sicuramente autentico è la Storia vera (in due libri) nel quale Luciano fa una satira del genere del romanzo di avventure, narrando un improbabile viaggio dall'Oceano fino alla Luna, che prosegue nel ventre di una balena e infine nell'Isola dei Beati: in esso, finzione letteraria e la critica si risolvono poeticamente nel libero gioco dell'invenzione fantastica.

È dubbia, invece, l'attribuzione a Luciano del secondo breve romanzo, Lucio o l'asino, il cui protagonista, trasformatosi in asino anziché in uccello come aveva desiderato, per un errore nell'uso di potenti filtri magici, ridiventa uomo al termine di numerose quanto mirabolanti peripezie. Il soggetto è il medesimo delle Metamorfosi dello scrittore latino Apuleio: sia quest'ultimo sia Luciano attinsero forse a un'altra opera analoga, perduta, di Lucio di Patre.