Il "Rinascimento americano"

Verso la metà dell'Ottocento si creò nel giro di pochi anni una letteratura autenticamente americana, grazie alla pubblicazione di alcuni capolavori che avviarono una sorta di "Rinascimento".

Del resto, si era verificato un processo di sviluppo economico-sociale dell'America: un'espansione innanzitutto territoriale, con l'acquisizione della Louisiana dalla Francia nel 1803, della Florida dalla Spagna, della California e degli altri territori del Far West tolti al Messico con la guerra del 1846-1848; poi demografica (dai 7-8 milioni di abitanti all'inizio del secolo si passò a più di 30 a metà dell'Ottocento). Parallelamente, l'America acquistò coscienza di avere una propria lingua, una propria letteratura e una propria storia e in letteratura si liberò dalle convenzioni letterarie europee.

Un mondo letterario piccolo

Il mondo letterario americano, nonostante l'estendersi del territorio nazionale, era racchiuso in uno spazio davvero limitato, al punto che la maggior parte degli scrittori si conosceva personalmente. Tale intimità era inevitabile in un paese che contava pochi centri letterari ed editoriali e tutti situati sulla costa atlantica: gli editori e i compratori erano tutti concentrati fra New York, Philadelphia e Boston, piccole città se paragonate alle loro dimensioni attuali. Gli scrittori frequentavano quindi gli stessi luoghi, le stesse case, intrecciando diversi rapporti. Vi erano, poi, alcuni punti d'incontro e ritrovo come il Pfaff's Saloon a Broadway e vari club, tra cui i più famosi erano quattro: The Bread and Cheese Club, organizzato da Cooper a Manhattan nel 1824 e frequentato, fra gli altri, da William Cullen Bryant e Samuel F.B. Morse; The Trascendental Club, fondato nel 1836 a Boston, il cui leader fu Emerson e che comprendeva L. Alcott, G. Ripley, Margaret Fuller; The Saturday Club, fondato nel 1856 a Boston, di cui facevano parte Lowell, Longfellow, Prescott e, talvolta, anche Hawthorne; The Authors Club, con B. Matthews, Stoddard, Stedman e, raramente, H. Melville.

Tradizione europea e vocazione americana

Conseguire un'originalità culturale, che molti collegavano all'esistenza stessa di una nuova nazione oltre che all'affrancamento dalla letteratura inglese, appariva dunque impresa assai ardua. Da una parte vi era il gruppo dei cosiddetti bramini, "casta" di intellettuali colti, aventi Boston, Cambridge e la Harvard University come centri: essi assegnavano alla cultura americana un ruolo di sintesi conclusiva, ma in sostanziale continuità rispetto all'eredità angloeuropea, una "sintesi" in cui trovassero posto tutte le fondamentali "voci" dell'umanità.

Altri polemicamente si ponevano l'obiettivo di forme originali, di un linguaggio che esprimesse le novità dei contenuti e delle esperienze e fosse al tempo stesso realisticamente corposo e agile, allusivo e simbolizzante. Lo spirito del Continente pareva suggerire sensazioni di energia vitalistica, di libertà avventurosa, senza però mai dimenticare le istanze etiche e i rigori introspettivi dell'eredità puritana. Il "Knickerbocker Group", a New York, si atteneva a un eclettico equilibrio fra nitidezza stilistica, di derivazione settecentesca, ed elementi romantici, come andava indicando nella prosa Washington Irving. La poesia risentiva sempre più dell'influenza romantica inglese di Byron, Shelley e Keats.

William Cullen Bryant

William Cullen Bryant (1794-1878), originario del Massachusetts, mostrò nella propria poesia entrambi gli elementi: da un lato il fascino di una natura "nuova" (le grandi praterie "belle e illimitate", "le cose per le quali la parlata d'Inghilterra non offre un nome", flora e fauna americane) e dall'altro la tendenza alle considerazioni di edificazione moralistico-politica (sostenendo che "occorre saper infondere un senso morale negli oggetti naturali"). Affermatosi giovanissimo con il poemetto Thanatopsis (Visione della morte, 1817), lunga meditazione di derivazione romantico-sepolcrale, Bryant, in numerosi volumi di versi (1821-78), offrì l'esempio di una "via poetica americana" nutrita di classici (tradusse l'Iliade nel 1870 e l'Odissea nel 1871-72). Come giornalista, egli si impegnò anche politicamente sull'autorevole "North American Review" e, come direttore, sull'"Evening Post", intervenendo con efficaci articoli contro lo schiavismo.