Il movimento dello “Sturm und Drang”

Tra letteratura, mitologia e filosofia: Hamann, Herder e Moritz

Agli inizi del movimento vanno collocati senz'altro i fermenti estetico-filosofici sviluppatisi in particolare per opera di Hamann ed Herder, i quali delinearono la figura creativa e l'originalità spirituale del “genio” in alternativa alla cultura letteraria adagiatasi nelle proprie convenzioni borghesi.

Hamann

Johann Georg Hamann (Königsberg 1730 - Münster 1788) fu scrittore e filosofo. Ebbe una buona formazione umanistica e si recò a Londra per occuparsi di commercio e finanza, senza successo. Nel 1758 iniziò la meditazione sulla Bibbia che lo indusse ad assumere un atteggiamento di cristianesimo radicale, in aperta polemica con l'illuminismo, e scrisse i Pensieri sulla mia vita. Ritornato a Königsberg compose le proprie opere principali: i Memorabili di Socrate (1759) e le Crociate di un filologo (1762) che comprendono l'Aesthetica in nuce e la Rapsodia in prosa cabbalistica (1762) contro la filologia razionalistica. Proprio i Memorabili di Socrate risultarono decisivi per la concezione del genio poetico che vi viene trattata, appunto sul modello del “demone” socratico, e che divenne uno dei temi costitutivi della poetica di tutto lo Sturm und Drang. Nel 1767 Hamann fu redattore della “Königsberg Zeitung”, poi traduttore alla dogana. Sdegnò la speculazione astratta eppure spaziò sulla vita culturale europea in particolare filosofica, tenendo rapporti con I. Kant e F.H. Jacobi, col quale si schierò nella questione dello spinozismo. In polemica con M. Mendelssohn scrisse la Metacritica sui purismi della ragion pura (1784) e Golgota e Scheblimini (1784). Lo stile dei suoi scritti è breve, simbolico, dal tono profetico e spesso quasi oracolare, fitto di intricate citazioni tratte dal mondo classico e cristiano. F. Schlegel lo chiamò “abbreviatore dell'universo”, J.W. Goethe “fauno socratico” e sottolineò l'oscurità degli scritti, chiariti oggi con l'epistolario. Nell'opera di Hamann centrale è il tema della parola di Dio che si rivela nella creazione, nel testo sacro e poetico attraverso l'ispirazione e vive nel linguaggio, manifestazione dello spirito: “La poesia è lingua madre del genere umano”. Emerge l'ideale di una rivelazione tedesca oltre a quella ellenica ed ebraica.

Herder

Formatosi in larga parte nel clima dell'illuminismo, lo scrittore, mitologo e filosofo Johann Gottfried Herder (Mohrungen, Prussia orientale, 1744 - Weimar 1803) se ne distaccò ben presto formulando originali idee estetiche e linguistiche anticipatrici del romanticismo. In particolare propose la tesi della lingua quale espressione dello spirito di un popolo, secondo quanto emerge già dai frammenti Sulla letteratura tedesca più recente (Über die neuere deutsche Literatur, 1766-67) e dai tre volumi delle Selve critiche (Kritische Wälder, 1769). Proprio in quei frammenti Herder rielabora la concezione del “genio” esposta da Hamann nei Memorabili di Socrate (1759), ponendola alla base di una poetica aperta alle istanze provenienti dall'individualità, dalla vita e dalla storia. Se quei frammenti risultarono importanti per la formulazione dell'estetica del genio entro il nascente movimento dello Sturm und Drang, ancor più una sorta di “magna charta” di questo stesso movimento è rappresentato dal Diario del mio viaggio nel 1769 (Journal meiner Reise im Jahre 1769). Questo giornale di bordo, redatto da Herder durante un viaggio per mare da Riga a Nantes, dà voce all'ansia di rinnovamento di una spiritualità insoddisfatta del torpore e delle costrizioni provenienti dalla tradizione.

Nel Saggio sull'origine del linguaggio (Abhandlung über den Ursprung der Sprache, 1771) egli considera il linguaggio come l'elemento principale nella formazione dello spirito umano e della sua storia ma, in polemica con il razionalismo e la visione teologica di Hamann, sostenne che esso è frutto spontaneo della necessità di espressione e rivelazione del divino quale si manifesta nel canto e nella poesia. Enorme influenza sul gusto letterario (anche del giovane Goethe) suscitò la sua raccolta di Canti popolari (Volkslieder, 1778-79). Altrettanto importanti gli scritti di filosofia della storia: Idee per la filosofia della storia dell'umanità (Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, 1784-91) e Lettere per la promozione dell'umanità (Briefe zur Beförderung der Humanität, 1793-97). Oltre che ispiratore teorico di pressoché tutta la stagione preromantica, emergono dalle sue opere temi fondamentali del pieno romanticismo: l'ideale dell'umanità ingenua e sapiente, ispirato da J.-J. Rousseau, la poesia popolare, l'interpretazione del messaggio particolare di ogni epoca, la rivalutazione del Medioevo, nell'unitaria visione della natura e della storia. Dallo Sturm und Drang alla crisi dell'illuminismo, Herder fu testimone dell'ansia di rinnovamento che aprì vasti orizzonti al pensiero successivo, dando rilievo alla fantasia, al sentimento, all'intuizione nella dimensione individuale e popolare-nazionale.

Moritz

Karl Philipp Moritz (Hameln an der Weser 1756 - Berlino 1793) venne cresciuto con un'educazione, soprattutto religiosa, severissima. Per interessamento di Goethe, con cui aveva stretto amicizia nel 1786 in Italia, ottenne nel 1789 la cattedra di “teoria delle belle arti” presso l'Accademia di Berlino, città in cui rimase sino alla morte avvenuta per un'infezione polmonare. Il suo romanzo autobiografico Anton Reiser (1785-90) è uno dei documenti più significativi dell'epoca, soprattutto per la penetrazione psicologica. Scorrendo via via le prefazioni che accompagnano ciascuna delle quattro parti di cui è composta l'opera, si notano non soltanto il disegno autobiografico dell'autore, ma anche gli elementi di una teoria del romanzo. La rappresentazione, sin nelle più piccole sfumature, della vita di un essere umano vuole far prendere coscienza al lettore che, se riflette sulla sua vita, vi scorge immediatamente casualità, confusione, caos, oscurità e insensatezza, ma infine saprà riconoscervi la sequenza di un'armonia. Importanti sono inoltre le concezioni estetiche di Moritz, che furono vicine a quelle di Goethe e molto influirono su Schiller, esposte nel saggio Sull'imitazione formatrice del bello (Über die bildende Nachahmung des Schönen, 1788), nel quale egli sostenne che l'artista è incessantemente spinto a “formare”, cioè a creare e non a riprodurre semplicemente. Gli altri suoi principali saggi critici vertono soprattutto sull'idea del bello come ciò che è “compiuto in se stesso..., qualcosa che costituisce da sé solo un intero e reca piacere per se stesso” (Sul concetto di compiuto in se stesso, 1785), e sulla persuasione che le narrazioni mitologiche parlino il “linguaggio della fantasia”, cioè il linguaggio simbolico capace di rendere presente e generare ciò che nomina (Dottrina degli dei. O poesie mitologiche degli antichi, 1790).