Schiller tra teatro e riflessione estetica

Il teatro

Gli esordi teatrali di Schiller sono sotto il chiaro segno dello Sturm und Drang e il suo primo dramma, I masnadieri, che lo rese improvvisamente famoso, reca l'eloquente epigrafe “In tyrannos!”. Scritto, al pari dei due lavori successivi, in una prosa aspra e tumultuosa, e sostenuto da una tessitura drammatica di grande efficacia, il dramma sfrutta la vicenda tradizionale dei fratelli nemici per offrire un affresco della società dell'epoca e delle sue ingiustizie, sicché la rivolta del protagonista vi assume quasi valore di simbolo. La congiura del Fiesco a Genova, che si muove ancora nella temperie stürmeriana e che tradisce spesso un gusto per l'orrido e l'eccessivo, affronta in modo diretto il conflitto tra repubblicanesimo e tirannide, vivissimo sul declinare del Settecento. Ancora più esplicito si fa il discorso nella successiva tragedia Intrigo e amore (Kabale und Liebe, 1784), che situa in una corrotta corte tedesca del sec. XVIII l'amara vicenda dell'amore impossibile tra una borghese e il figlio di un onnipotente ministro.

Don Carlos, la prima tragedia in versi di Schiller, ebbe una gestazione lunga e complessa: dopo una prima redazione in prosa (1783) l'autore, su sollecitazione di Wieland, provvide a versificarla in pentametri giambici (1785-87). L'oscura vicenda del principe spagnolo subisce qui una reinterpretazione politica che fa di lui un paladino della libertà delle Fiandre; gli viene affiancato il marchese di Posa, generoso portavoce di una speranza illuministica di conciliazione tra libertà morale e mondo politico, mentre Filippo II giganteggia nella sua solitudine di tiranno.

Un decennio intercorre tra quest'opera e la successiva trilogia di Wallenstein composta da Il campo di Wallenstein (Wallensteins Lager), I Piccolomini (Die Piccolomini) e La morte di Wallenstein (Wallensteins Tod) e ambientata al tempo della guerra dei Trent'anni. L'ambizioso, machiavellico generale dell'imperatore, aperto alla superstizione e preda delle oscillazioni dell'irrazionale, sperimenta le profonde connessioni esistenti fra destino e carattere, libertà dell'immaginazione individuale e peso atroce delle circostanze reali, derubando degli ideali e spingendo indirettamente alla morte anche il puro e fiducioso Max Piccolomini; ma bellezza e moralità, che sono tutt'uno, sulla terra sono destinate a perire.

Il conflitto tra moralità e politica, della cui inconciliabilità Schiller era ormai persuaso, ricompare nella sua opera teatrale forse più felice, la Maria Stuarda. Alla grandiosa scena centrale, in cui si affrontano a viso aperto Maria ed Elisabetta d'Inghilterra, segue la condanna a morte di Maria, che sconfitta sul piano politico vince però su quello morale. La regina di Scozia, colpevole della morte del secondo marito (ma non della congiura contro Elisabetta), accetta l'ingiusta pena di morte che Elisabetta le infligge come punizione per un'altra colpa più complessa, quella di un temperamento ardente e sensuale, e assurge, morendo, alla vera regalità. Meno felici le due opere successive. La “tragedia romantica” La pulzella d'Orléans (Die Jungfrau von Orléans, 1802) è pensata in polemica con Voltaire, denigratore della leggendaria figura e dei suoi miracoli, ma è tanto spettacolare quanto superficiale ed estrinseca nello stile. La sposa di Messina (Die Braut von Messina, 1803) è modellata meccanicamente sulla tragedia sofoclea con l'intervento continuo del coro nell'azione, e costruita su una vicenda che con troppa evidenza risente dell'Edipo re.

L'ultima opera teatrale compiuta di Schiller è il Guglielmo Tell, che con grande senso scenico e con ammirevole semplicità di dizione poetica rappresenta la vicenda del leggendario artefice della libertà svizzera; più nostalgica d'immaginarie trascorse libertà popolari che della rivoluzione moderna, la tragedia stempera la voce del protagonista nella voce della collettività assetata d'indipendenza dallo straniero.

Il teatro di Schiller, tanto quello giovanile quanto quello classico della maturità, è a tutt'oggi ben vivo sulle scene tedesche ed estere: ciò è dovuto non solo alla grande efficacia della struttura drammatica (certo superiore a quella del teatro di Goethe), ma anche alla ricchezza e complessità dei caratteri, dotati di una profondità che essi serbano lungo tutto lo svolgimento dell'azione.