Approfondimenti

Kraus e la Vienna fin de siècle

Il quaderno rosso. In una provincia che era l'ultimo Impero, che non sapeva e non voleva saperne di essere l'una e l'altra cosa, ma era convinta di poter sempre trovare una intransigente intesa fra tutti gli incompatibili “un giorno tutto – ovunque si guardasse – divenne rosso... Sussurri, bisbigli, brividi! Per le strade, sui tram, nel parco, tutti leggono un quaderno rosso”. Era l'aprile 1899 e “là, in Kakania, in questo Stato ormai scomparso, incompreso, che per tanti versi è stato esemplare e come tale non riconosciuto”, Vienna accoglieva con rapace curiosità il primo numero della “Fackel”, interamente scritto da un venticinquenne collaboratore di giornali, Karl Kraus, che nulla prometteva di positivo (“non un sonoro che cosa facciamo, ma un onesto che cosa facciamo fuori”) [...]. Da quell'anno, “già irrigidito di fronte a un tal mutamento” (del secolo), per trentasette anni, la “Fackel” sparse senza tregua “tradimento, terremoto, veleno e incendio dal mundus Intelligibilis”. [...]

Vienna capitale del linguaggio. Latente, incompatibile con la decorazione di cui si era nutrita sino al ribrezzo, cominciava a formarsi in quegli anni un'altra Vienna, là dove avvengono le inavvertite cristallizzazioni del pensiero, dietro la storia. Come Parigi, la città arsenicale [...] è stata, nella prima parte del secolo, il terreno privilegiato per lo sprigionarsi del Doppio; così Vienna, città di zucchero e filtri crudeli, ovunque frisée, suicida dalle maniere impeccabili, ha ruotato negli stessi anni intorno al perno del linguaggio – e da lì si è trasmesso l'inderogabile morbo al resto del mondo. Era quella la Vienna a cui Kraus apparteneva, città che non troveremo nei documenti o nelle rievocazioni, perché esiste soltanto, dietro porte sbarrate, nelle opere di alcuni grandi solitari, guidati dalla stessa ossessione [...]. Freud, Kraus, Wittegenstein, Schoenberg, Loos sono gli astri dominanti di questa costellazione. Per tutti loro il linguaggio si pone come questione vitale, iniziale, onnicomprensiva, con un'urgenza a cui il tempo ha saputo contrapporre soltanto lo zelo dei congressi di semiologia. [...] In epigrafe all'opera di ciascuno di questi esseri diversissimi potrebbero stare le parole di Kraus: “Che uno sia un assassino non prova niente contro il suo stile; ma lo stile può provare che è un assassino”.

Roberto Calasso, Una muraglia cinese, saggio in K. Kraus, Detti e contraddetti, a cura di Roberto Calasso,

Adelphi, Milano 1992, pp. 11-12, 18-19.