La pedagogia cristiana e sant'Agostino

Un fattore che comportò notevoli cambiamenti anche dal punto di vista educativo nell'impero romano fu l'avvento del cristianesimo, con la sua attenzione alla popolazione ed ebbe maggior presa soprattutto tra i diseredati, gli schiavi, le persone meno fortunate e più ai margini della vita sociale – persone che necessariamente avevano modalità di vita e quindi educative lontane da quelle della società patrizia dominante.

L'educazione cristiana

Noi abbiamo ben poche notizie relativamente alle modalità formative al di fuori di quelle “istituzionalizzate”, ma è certo che il cristianesimo con il suo insistere sull'importanza della famiglia, anche dal punto di vista formativo, e dell'educazione mediante l'esempio e non mediante lo studio teorico di precetti, trasmetteva indirettamente un modello educativo più simile quello della Roma arcaica che a quello della Roma dell'epoca. Inoltre la pedagogia promossa dal cristianesimo non si limitava a proporre modalità di trasmissione di credenze e usanze a livello familiare e “pratico”, ma postulava anche un modello di formazione “trasversale” attuata dagli appartenenti alla stessa comunità religiosa. Questa modalità formativa privata e comunque interna a ristrette comunità era giustificata non solo sulla base dei valori proposti a livello religioso, ma anche dalla necessità di vivere la propria appartenenza religiosa nella segretezza, necessità data dalle persecuzioni cui all'epoca i cristiani erano sottoposti.

Le prime figure ufficiali di formatori all'interno delle comunità cristiane ereditano il nome dai maestri ellenisti (i didáscaloi) e si occupano della formazione di catecumeni, di coloro cioè che chiedevano l'ammissione nella comunità. Questo periodo formativo era considerato fondamentale per gli aspiranti cristiani tanto che molto spesso, specie nel periodo conclusivo di tale formazione, interveniva come figura di riferimento il vescovo stesso (ancora oggi permane, infatti, la tradizione che sia il vescovo a somministrare il sacramento della Cresima, che in un certo senso conclude il cammino di ingresso dei giovani nell'assemblea cristiana). La formazione si poneva come preminentemente religiosa, ma a causa dei più che eterogenei livelli culturali di provenienza dei catecumeni spesso era affiancata da una didattica più di base: non di rado capitava che i primi insegnamenti impartiti agli studenti riguardassero il leggere e lo scrivere. Opera formativa di per sé molto importante, in quanto occupandosi della formazione non solo di bambini ma anche di adulti, questa didattica si occupava di combattere l'analfabetismo, all'epoca largamente diffuso tra le classi inferiori o nella popolazione femminile per lo più esclusa dall'educazione formale.

A livello ideologico la pedagogia del cristianesimo dei primi secoli, come ben espresso nelle opere di Clemente Alessandrino e del suo discepolo Origene, coincide con la formazione a una vita di ricerca della verità, seguendo un cammino di formazione essenzialmente spirituale, essendo considerato il Padre come il pedagogo per eccellenza. Da queste posizioni gnostiche derivò il movimento del monachesimo orientale, tra i cui esponenti si può ricordare san Basilio, che predicò l'isolamento e la vita ascetica in comunità come mezzo per raggiungere il possesso della vera sapienza.

Questa separazione dal mondo portò i teorici dell'educazione cristiana a spingere sempre più verso un ripudio della cultura pagana, sia a livello letterario (si veda per esempio san Gerolamo, coltissimo autore della Vulgata, prima traduzione della Bibbia in latino, che si ritirò come monaco eremita a Betlemme vedendo come colpa la formazione classica che aveva ricevuto in gioventù) che di valori – primi fra tutti quelli legati alla cura e al culto del corpo che erano visti come contrari ai precetti della fede. Pertanto propugnando valori che si discostavano da quelli terreni, i pedagoghi cristiani sconsigliavano ai giovani non solo l'esercizio fisico, ma anche lo studio della musica e della danza.

Questa forte accentuazione dell'importanza della spiritualità e dell'intervento della fede nell'apprendimento della verità portò autori più tardi, come per esempio Tertulliano (169-220), postulare che la fede in sé e non la ragione è l'unico mezzo per raggiungere la verità. Da qui a condannare quanti fanno troppo affidamento nell'intelletto umano il passo è breve, tanto che Tertulliano arrivò a decretare che l'insegnamento scolastico in sé fosse peccato.

Fortunatamente per il destino della pedagogia posizioni tanto estreme non erano condivise da molti e la maggioranza dei formatori delle comunità cristiane si educavano nelle scuole imperiali, dove, poco alla volta cominciavano a inserirsi anche parecchi insegnanti cristiani. Negli ultimi periodi dell'impero, infatti, i cristiani appaiono più integrati nella vita sociale grazie al maggior livello di tolleranza raggiunto dal governo dell'epoca. L'introduzione progressiva di insegnanti cristiani nelle scuole pubbliche a stampo pagano, oltre a riflettere una condizione di coincidenza sempre più evidente tra mondo romano e comunità cristiane (non più composte quindi solamente da appartenenti a classi inferiori), fu terreno fertile, per una nuova cultura, in cui il cristianesimo faceva proprie le categorie di pensiero del mondo greco-ellenistico.

Sant'Agostino

Nel periodo che vedeva opporsi la posizione del monachesimo orientale – legata all'esaltazione della spiritualità a discapito della ragione – e quella più aperta a contaminazioni con la cultura pagana, si può collocare la dottrina di sant'Agostino (354-430) che può considerarsi una via di mezzo tra le due posizioni sopra presentate.

Egli, infatti, riteneva che i modelli culturali e educativi classici fossero pericolosi se utilizzati in sé e per sé, ma contenessero anche preziose risorse che potevano essere sfruttate per il meglio se considerate dalla giusta prospettiva.

Dal punto di vista pedagogico un carattere distintivo dell'ideologia agostiniana è quello che lo porta a vedere l'infanzia non come una condizione di purezza ma come una semplice fase della crescita umana, – segnata quindi dal peccato e dalla tendenza ad allontanarsi dalla via del bene. Pertanto l'educazione deve essere pensata per i bambini come per i giovani e per gli adulti e debba mirare ad insegnare il controllo delle passioni, che in sé non sono male ma possono dare a esso origine.

Nel suo De Magistro, Agostino è più preciso nel dettare linee guida di riferimento per gli insegnanti. Egli sostiene che l'unico vero maestro è Dio, e arriva dunque a porre in secondo piano la funzione didattica e pedagogica dell'insegnante. Infatti, se l'insegnamento è volto a portare al raggiungimento della verità, e se la verità proviene da Dio, la funzione di un buon maestro non sarà quella di imporre dall'esterno l'acquisizione di concetti specifici, quanto di aiutare gli alunni a trovare la verità. Ricerca che si svolge in definitiva all'interno dello studente, – in quanto la verità per Agostino sta dentro l'uomo: la verità non viene quindi consegnata dall'insegnante ma viene riscoperta dall'alunno con la guida del suo formatore.

Questa forte sottolineatura del mondo interiore e spirituale porta Agostino a porre in secondo piano, quando non a disprezzare, le più diffuse questioni sociali e quotidiane, in quanto la stessa esperienza umana era vista unicamente come chiave di perfezionamento non alla vita terrena ma come preparazione per la vita nel regno di Dio.

Interessante l'importanza che Agostino dà all'allievo: egli ritiene, infatti, che qualsiasi nozione per essere effettivamente appresa debba essere trovata e sentita come vera dagli alunni. Solo in questo caso essi attueranno un trasferimento di quanto appreso dal suo ambito iniziale a un altro a esso attinente ma ancora non noto. Questa è per Agostino la prova della validità di un insegnamento.