Freud e la psicoanalisi

Freud iniziò la sua carriera come medico neurologo: dopo la laurea in medicina nel 1881 lavorò nel laboratorio del fisiologo Buercke, poi nell'ospedale generale di Vienna con lo psichiatra Meynert, ottenendo nel 1885 la libera docenza in neuropatologia. Nell'inverno 1885-86 seguì le lezioni di Charcot a Parigi.

Le tappe storiche

Tornato a Vienna, aprì uno studio privato, occupandosi in particolare di malati di nevrosi e collaborando con J. Breuer agli Studi sull'isteria (1892-95). Attraverso la cura della nevrosi, nonché l'analisi di sé e dei propri sogni (che iniziò nel 1897, spinto anche dai turbamenti seguiti alla morte del padre), nell'ultima decade dell'Ottocento pose le basi della psicoanalisi. L'interpretazione dei sogni, uscita nel 1899 ma datata 1900 quasi a voler dare un'impronta al nuovo secolo, lo rese poco per volta noto a un più vasto pubblico. A partire dal 1902 le riunioni del mercoledì in casa sua raccolsero un gruppetto di seguaci viennesi, cui poi si unirono Jung, Jones, Abraham, Ferenczi. Ebbe così inizio il processo di diffusione mondiale della psicoanalisi: nel 1909 con Jung compì un giro di conferenze negli USA; nel 1910 fondò con i discepoli l'Associazione Psicoanalitica Internazionale, che fu presieduta da Jung, “erede” da lui designato. Nel 1913 drammatica fu la rottura con Jung per contrasti teorici e di personalità, dopo quella con Adler nel 1911. Dal canto suo, Freud continuò la ricerca, volta ora a sistemare i concetti fondamentali della disciplina, della quale offrì una sintesi nelle lezioni tenute dal 1915 al 1917 all'università di Vienna. Nel dopoguerra riformulò le basi teoriche della psicoanalisi e, tornando alla sua prima vocazione filosofica, elaborò le linee di una visione psico-cosmica (imperniata sulla lotta tra vita e morte). Nel 1923 apparvero i primi segni del cancro al palato che lo avrebbe portato alla morte. Negli ultimi anni di vita si misurò con i grandi temi della cultura, della società, della religione, confrontandosi in particolare, lui ateo, con le sue origini ebraiche (L'uomo Mosè e la religione monoteista, 1938). Con l'avvento del nazismo le sue opere furono bandite e nel 1938 riparò a Londra, dove morì nel 1939.

L'inconscio

Tra il 1886 e il 1892, dopo l'incontro con J. M. Charcot, Freud maturò un nuovo paradigma esplicativo e una nuova tecnica di cura. Le nevrosi non sono tanto malattie funzionali senza base anatomopatologica, come voleva Charcot, né sono dovute, come riteneva Breuer, all'accumulo di energia non scaricata; sono invece causate da rappresentazioni mentali sentite come inaccettabili: con esse il soggetto è in conflitto e le respinge nell'inconscio, da dove riemergono come sintomi nevrotici. Freud ritenne dapprima che tali rappresentazioni rinviassero ad eventi traumatici reali (seduzioni sessuali subite nell'infanzia), poi pensò fossero mere fantasie. Ai fin della cura pertanto era necessaria la presa di coscienza delle rappresentazioni rimosse, guadagnata attraverso una narrazione condotta con libere associazioni.

Nelle parole di Freud, la scoperta dell'inconscio è la terza ferita inflitta al narcisismo umano: con Copernico l'uomo non è più al centro dell'universo, con Darwin non è creato direttamente da Dio, con la psicoanalisi non è più padrone in casa propria. Si distinguono un inconscio descrittivo, per cui si dicono inconscie le rappresentazioni non disponibili a seguito della rimozione, e un inconscio topico, cioè una sottostruttura della psiche – accanto alla coscienza e al preconscio – definita da certi processi e da certe leggi. L'inconscio studiato da Freud presenta una serie di tratti salienti. È caratterizzato da dinamicità e conflittualità, in quanto è sede di processi causativi quali le pulsioni e i desideri, e insieme effetto di processi difensivi quali le rimozioni. Si pone come alterità rispetto alla coscienza nel senso di essere un'altra scena, un altro soggetto: non è il livello di psichicità meramente preliminare alla coscienza, ma vi si dispiegano processi che interferiscono direttamente sulle attività coscienti (imago, fantasmi, complessi). Un ulteriore tratto saliente è l'autonomia: l'inconscio ha una propria logica, o legalità, quella del processo primario, processo regolato dal principio del piacere: consiste nel fatto che le eccitazioni – pulsioni, desideri – tendono alla scarica immediata, cioè al piacere (tramite l'azione nel mondo esterno, o l'allucinazione, come nel sogno); la pulsione, poi, sposta l'investimento da un contenuto mentale (rappresentazione) all'altro, dando luogo ai fenomeni confusivi della condensazione di più rappresentazioni e dello spostamento da una rappresentazione all'altra. L'inconscio infine è caratterizzato dall'infantile che permane nell'adulto.

La questione della natura dell'inconscio è stata motivo di divaricazione tra le varie tendenze psicoanalitiche: la scuola della Klein lo vede come un contenitore di oggetti (mondo interno) che poi si esprimono simbolicamente nelle varie attività coscienti (mondo esterno); la psicologia dell'Io insiste sugli aspetti energetici e pulsionali dell'inconscio, come nettamente separati e in conflitto con l'Io; la scuola di Lacan ne vede la struttura e il funzionamento in analogia con quelli del linguaggio (l'inconscio è “il discorso dell'Altro”). Per Jung l'inconscio individuale riflette le strutture dell'inconscio collettivo: ben lungi dall'essere il primitivo, difettoso rispetto alla coscienza e alla ragione, l'inconscio è fonte di creatività, di vitalità, collegandosi con gli archetipi e i miti dell'umanità, e l'Io dunque non può non attingere ad esso. In altri indirizzi l'inconscio perde di rilevanza nella misura in cui si insiste sulla funzione di integrazione dell'Io e sull'idea di uno sviluppo lineare, non conflittuale della psiche (psicologia del Sé di Kohut).

La psicoanalisi

Con il termine psicoanalisi Freud volle indicare il metodo di indagine dei processi psichici, la tecnica di cura delle malattie mentali e la teoria della struttura e del funzionamento della mente da lui elaborati in seguito alla scoperta dell'inconscio.

Come si è visto, il campo di indagine entro il quale Freud a partire dall'ultimo decennio dell'Ottocento elaborò la sua disciplina fu la cura di soggetti nevrotici e in particolare di donne affette da isteria: egli le ritenne malate di “reminescenze”, cioè di ricordi legati a desideri per lo più inconsci, che non potevano confessare neanche a sé stesse. Ne derivarono le tesi basilari della psicoanalisi: esiste una vita psichica inconscia; le nevrosi (e poi le psicosi) sono malattie della mente e non del cervello, come invece voleva la psichiatria dominante al tempo; esiste un'articolata sessualità anche in età infantile; lo sviluppo psichico è caratterizzato dal conflitto tra pulsioni e desideri da una parte e censure (specie di origine morale) dall'altra: tale conflitto diventa patologico quando il soggetto, anziché risolvere in qualche modo i desideri inaccettabili, li respinge nell'inconscio. Queste tesi vennero confermate e ampliate nei successivi studi sui sogni, sui lapsus e sui motti di spirito. Nata sul terreno della clinica, la psicoanalisi già con Freud coinvolse presto altri campi, intervenendo nella spiegazione di fenomeni artistici, religiosi, antropologici e sociali, diventando di ausilio in ambito pedagogico.

È carattere peculiare della psicoanalisi l'ampia sovrapposizione tra il metodo di indagine e la terapia: in ambo i casi, distinguendosi dall'ideale positivistico di scienza che riserva all'osservatore una posizione esterna all'oggetto osservato, teorizza apertamente il coinvolgimento emotivo dell'osservatore. Viene pertanto utilizzato proprio il fatto che l'analista sia bersaglio ricorrente di quei desideri e conflitti che stanno alla base dei disturbi del soggetto, riferendosi a tale processo con le espressioni di transfert-controtransfert, coppia di termini che indica le interazioni affettive tra l'analizzando e l'analista, e viceversa. In senso lato il transfert è il processo per il quale si sposta su un'altra persona o cosa un moto affettivo in precedenza rivolto a un certo individuo, specialmente dell'ambito familiare. Esso riguarda qualunque trasposizione ed è quindi assimilabile ai processi per cui l'investimento pulsionale si sposta da un oggetto a un altro più neutro quale mezzo adottato inconsciamente per aggirare la rimozione o lo spostamento – inteso come meccanismo inconscio per il quale il desiderio o la pulsione, anziché mirare direttamente all'oggetto o alla rappresentazione che possono soddisfarlo, mira a un altro oggetto o rappresentazione, collegato al precedente tramite un qualche nesso associativo. Il nesso può consistere nella parte anziché nel tutto, nel contenuto anziché nel contenitore, nell'effetto anziché nella sua causa e così via. Nel senso più stretto e comunemente usato, il transfert qualifica il rapporto affettivo che l'analizzando instaura con l'analista nel corso della cura: riproduce nei suoi confronti i desideri, le paure, le aspettative già proprie del rapporto con i genitori. È detto positivo quando prevalgono sentimenti affettuosi, negativo nel caso di sentimenti ostili. Esso da una parte è una resistenza alla cura, giacché l'analizzando riproduce situazioni patogene, anziché prenderne coscienza con la parola, dall'altra è un mezzo importante di cui l'analista dispone per cogliere il mondo interno del soggetto. Il controtransfert, dal canto suo, è la reazione difensiva che può manifestarsi nell'analista a seguito del transfert su di lui; è dovuto ai limiti dell'analista stesso. Recenti teorizzazioni, specie nella scuola della Klein, usano pure il controtransfert come strumento della cura, in quanto la sua analisi sarebbe un mezzo per cogliere le dinamiche presenti in seduta.

Propriamente la psicoanalisi non è un metodo introspettivo, giacché l'introspezione presuppone un ruolo attivo dell'osservatore: al contrario è richiesto al soggetto di lasciarsi andare al flusso delle idee che gli vengono in mente, libere associazioni, tecnica per la quale si lascia correre il pensiero al fine di lasciar emergere immagini inconsce. Già utilizzata nella psicologia introspezionistica, in psicoanalisi è la regola fondamentale per arrivare ai pensieri inconsci. Al soggetto è richiesto di lasciarsi andare, raccontando tutto ciò che gli viene in mente, comprese le cose che ritiene di poco conto, le immagini spiacevoli o imbarazzanti. L'esposizione può consistere in una libera narrazione, oppure può prendere spunto dalle immagini di un sogno, da un lapsus, da un sintomo nevrotico. All'analista è richiesto invece di prestare un'attenzione fluttuante, non centrata sui particolari, così da riuscire a cogliere nel discorso del soggetto quelle espressioni inconsuete, perturbanti, che sono indizi di un altro discorso, inconscio. Compito dell'analista è dunque l'interpretazione dei vissuti narrati dal soggetto, allargandone la comprensione e mettendo in evidenza quei significati che rivelano desideri e rappresentazioni inconsci. La terapia mira a rendere consapevole il soggetto dei suoi processi inconsci: la presa di coscienza dovrebbe portare allo scioglimento del conflitto inconscio e del sintomo nevrotico che da quello deriva.

Il complesso di Edipo

Una volta guadagnati nella clinica questi tre pilastri della teoria psicoanalitica – la causalità psichica, il carattere conflittuale della psiche (rimozione) e l'esistenza di una parte inconscia – Freud si volse tra il 1897 e il 1905 a spiegare con i nuovi concetti una serie di fenomeni normali. L'interpretazione dei sogni oltre a mostrare che il sogno manifesto esprime desideri censurati, permise di cogliere i meccanismi attraverso cui si deformano le rappresentazioni inconsce, prima di apparire alla coscienza: principalmente la condensazione e lo spostamento. Sono gli stessi meccanismi che Freud mostrò all'opera nella formazione dei lapsus e dei motti di spirito (Psicopatologia della vita quotidiana, 1901; Il motto di spirito, 1905). Infine l'importanza della sessualità sull'eziologia della nevrosi lo portò a studiare metodicamente le tappe di sviluppo a partire dalla prima infanzia, distinguendo le forme di piacere autoerotico e pregenitale dalla sessualità genitale dell'adulto (Tre saggi sulla teoria sessuale,1905), e individuando un “complesso di Edipo”.

In psicoanalisi con il termine complesso si indica un aggregato, totalmente o parzialmente inconscio, di immagini, desideri, sentimenti, che influisce in modo rilevante sulla vita psicoaffettiva del soggetto. Il termine fu introdotto in psicologia non da Freud ma da Jung nel corso degli studi sull'associazione mentale: facendo associare parole a partire da una parola introduttrice, il soggetto allunga il tempo di risposta quando la parola richiama qualche complesso in cui è emotivamente implicato. La nozione di complesso venne quindi accolta da Freud solo con significati specifici, per il complesso di Edipo e quello di castrazione. Il complesso di Edipo (dalla tragedia Edipo re di Sofocle), designa la modalità con cui si organizza, dal punto di vista del bambino, la relazione tra bambino, padre e madre. La forma classica, nel bambino maschio, consiste nell'amore sessuale per la madre e nella rivalità col padre. Il complesso di Edipo assume comunque caratteri specifici in ciascuno, appresi nelle prime relazioni con i genitori, verosimilmente sulla base di schemi innati, e si fissa attorno ai tre-cinque anni. I diversi modi con cui si organizza la relazione bambino-madre-padre sono alla base degli sviluppi rispettivamente normali (per cui il complesso di Edipo fonda l'identità personale e di ruolo sessuale mediante l'identificazione con il genitore del proprio sesso), nevrotici (in cui in rapporto al genitore dell'altro sesso si ha il conflitto tra l'averlo come oggetto d'amore e l'essere come lui) e perversi (omosessualità, in cui prevale l'essere come il genitore dell'altro sesso). Anche nella bambina si afferma un complesso di Edipo, non solo perché nelle fasi precoci la madre è l'oggetto d'amore pressoché esclusivo, ma anche perché l'acquisizione dell'identità sessuale è in rapporto al fallo: in ambo i sessi per Freud è questione di averlo o non averlo (complesso di castrazione). Jung invece ipotizza per la bambina uno specifico complesso di Elettra. Altri complessi appaiono in Freud come articolazioni del complesso di Edipo: il complesso paterno allude all'amore-rivalità verso il padre, il complesso fraterno alla gelosia rispetto all'amore dei genitori, il complesso di castrazione alla punizione temuta a seguito del desiderio incestuoso.

La metapsicologia

Negli anni 1911-1925 Freud lavorò per sistemare le osservazioni e le tesi fin allora elaborate, nel quadro di una visione complessiva dell'apparato mentale, utilizzando per altro taluni concetti meccanicistici tratti dalla neurofisiologia ottocentesca, sulla quale si era formato. Nella elaborazione di questa metapsicologia distinse un'area inconscia, una conscia e una preconscia nella psiche: tra queste aree avvengono i processi dinamici propri delle pulsioni e della rimozione, promossi in prima istanza dalla libido, l'energia della sessualità (Metapsicologia, 1915).

Di conseguenza con L'Io e l'Es (1923) propose una nuova, e definitiva, partizione della mente in Es (sede delle pulsioni), Io (che opera la difesa dalle pulsioni) e Super-io (la sede degli ideali e della censura morale, che aveva isolato studiando la depressione e i processi di identificazione).

L'Es è l'area della psiche sede delle pulsioni e delle rappresentazioni rimosse. Il termine tedesco è intraducibile in italiano, essendo in primo luogo il soggetto grammaticale di verbi impersonali (per esempio es regnet, piove), esso era già stato usato come sostantivo da Nietzsche e adottato in psicologia da G. W. Groddeck per designare una forza da cui l'Io è agito. L'Es equivale parzialmente all'inconscio: tutto l'Es è inconscio, ma non tutto l'inconscio è Es, perché anche l'Io e il Super-io sono in parte inconsci. Oltre ad essere sede delle pulsioni e delle rappresentazioni rimosse, è pure il serbatoio della libido. Geneticamente è la parte arcaica della psiche, dalla quale deriva l'Io in seguito al rapporto con l'ambiente. Il lavoro psicoanalitico si prefigge che l'Io recuperi alla coscienza ciò che prima gli accadeva come estraneo: “dov'era Es deve diventare Io”, dice Freud. Secondo la concezione di Freud a partire dall'Io e l'Es (1923), l'Io è in parte conscio, e come tale è sede della percezione e della coscienza; in parte inconscio, e come tale opera la difesa dalle pulsioni e fa resistenza contro il loro ritorno alla coscienza. Geneticamente derivato dall'Es, la sua funzione è di mediazione tra la psiche e l'ambiente: si trova perciò a dover fronteggiare le richieste delle pulsioni e dell'Es da una parte, gli imperativi morali (o pseudo-morali) del Super-io dall'altra. Queste pressioni inconsce sull'Io si manifestano come angoscia, di cui l'Io è appunto la sede. Va notato che negli scritti anteriori al 1923 Freud insisteva invece sulla genesi dell'Io attraverso gli investimenti narcisistici e i processi di identificazione, oltre che sul suo carattere precario rispetto all'inconscio: polemizzando con Jung, nel 1914 paragonò l'Io al clown Augusto, il pagliaccio che si illude di governare con i propri gesti il circo. L'Io ha un duplice aspetto: struttura stabile e ben differenziata che coordina il rapporto con la realtà, o al contrario servo di più padroni. Questa duplicità ha consentito che i concetti freudiani si sviluppassero tanto nella direzione della psicologia dell'Io, che insiste sulla sua autonomia dalle pulsioni e sul suo essere struttura innata, quanto nella direzione della scuola di Lacan, che insiste sui caratteri narcisistici, illusori dell'Io (o meglio io). In Jung l'Io è solo la parte conscia della persona, mentre il Sé è il soggetto dell'intera psiche, il centro della persona; fissarsi sull'Io è chiudersi alle possibilità di crescita e di individuazione offerte dal nesso col Sé.

Il Super-io è l'area della mente sede degli ideali, dei valori cui si ispira il soggetto, nonché sede della coscienza morale con funzione di censura sui comportamenti. Il Super-io è conscio, ma anche inconscio, come attesta l'ampia gamma di sensi di colpa, affioranti senza un motivo definito o adeguato, presenti in vari quadri patologici. Il Super-io deriva dall'interiorizzazione dei comandi e della figura dei genitori; il che accade al tramonto del complesso di Edipo per Freud, mentre per la scuola della Klein già nel primo anno di vita è presente un Super-io precoce. La figura del Super-io raccoglie sia l'aspetto di modello ideale o ideale dell'Io (ciò che il soggetto vorrebbe essere), sia quello di giudice interno, aspetti che peraltro si richiamano a vicenda.

Le pulsioni

La scoperta di nuovi fenomeni caratterizzati dalla coazione a ripetere situazioni spiacevoli (il che contrasta con l'idea che la psiche sia messa in moto solo dalla libido e dal principio di piacere) indusse Freud dopo il 1920 a formulare una nuova teoria delle pulsioni, basata sul conflitto tra pulsioni di vita e pulsioni di morte (Al di là del principio del piacere, 1920).

Per Freud la pulsione è da intendersi come eccitazione di matrice somatica che promuove i processi psichici, concetto quindi diverso da quello di istinto (con cui le prime traduzioni italiane, seguendo quelle inglesi, l'hanno confusa): la pulsione si esplica in maniera assai plastica, mentre l'istinto ha un rapporto rigido e predefinito con l'oggetto a cui mira. Infatti la pulsione è suscettibile di soddisfarsi attraverso i più disparati oggetti, inoltre può volgersi sulla persona del soggetto e trasformarsi da attiva in passiva (per esempio nel masochismo). La pulsione per eccellenza in questo senso è quella sessuale, della quale Freud mostrò quanto essa possa prescindere nella specie umana dalla finalità riproduttiva e come inoltre ad essa concorrano più pulsioni parziali, in funzione della zona esogena interessata. Freud si riferì alla pulsione sessuale anche con il termine di libido: essa è un concetto centrale nelle considerazioni “economiche” di Freud, quelle cioè concernenti il bilancio delle energie in gioco nei processi psichici e la loro quantificazione (uno dei termini più controversi della psicoanalisi). La libido può risultare desessualizzata come nei processi di sublimazione, in cui si rinuncia alla soddisfazione sessuale, e nel narcisismo, in cui investe la propria persona. Non copre per Freud tutto il campo psichico: alla libido si oppongono le pulsioni di autoconservazione (la cui energia Freud chiama “interesse”) e le pulsioni di morte, dotate di una specifica energia che qualche discepolo chiamò “destrudo”. Nella sua ultima teoria delle pulsioni, nel 1920, Freud indica con il termine eros l'insieme delle pulsioni sessuali (che servono alla specie) e quelle di autoconservazione (che servono all'individuo): questi due tipi di pulsioni, in precedenza contrapposti dallo stesso Freud, sono da lui accomunati perché sono pulsioni che operano per la vita e si oppongono alla pulsione di morte. Jung contestò la connotazione sessuale della libido, che riteneva invece una più generale forma di energia psichica, presente in tutto ciò che è tendenza verso qualcosa: la libido occupa l'intero campo psichico, e la sessualità ne è solo un caso. La divergenza della teoria sulla libido fu tra i motivi di rottura tra Freud e Jung.

Si suole scomporre la pulsione in una fonte, cioè la parte del corpo da cui essa origina; una spinta, cioè l'energia di cui si alimenta (libido nel caso della pulsione sessuale) un oggetto, che è ciò attraverso cui si soddisfa (un oggetto reale, ma anche delle mere rappresentazioni, come nel sogno); e una meta che consiste nel soddisfacimento. La natura psichica o somatica della pulsione è questione controversa, ponendosi essa a cavallo tra le richieste del corpo e la soddisfazione tramite la mente. La soluzione proposta da Freud nel 1915 è di ritenere la pulsione di per sé somatica, in quanto è un'eccitazione proveniente dal corpo, mentre a livello psichico essa trova espressione in un elemento ideativo, la rappresentazione (cioè l'immagine dell'oggetto che la soddisfa): quest'ultima propriamente, e non la pulsione, è soggetta ai vari processi psichici di rimozione, condensazione, spostamento e via di seguito.

L'interpretazione dei sogni

Merito di Freud, che ritenne il sogno la via dell'inconscio, è di porre la questione del significato del sogno nel contesto dell'economia psichica: il sogno è necessario all'equilibrio del soggetto, appagando, sia pure per via di allucinazione, quei desideri inconsci che durante la veglia si ha difficoltà a riconoscere; inoltre serve a difendere il sonno dagli stimoli esterni che lo disturbano (per esempio, il sogno di campane che suonano neutralizza il suono sgradito della sveglia). Infine ricusando il metodo dei libri dei sogni già noti all'antichità (corrispondenza univoca tra un'immagine onirica e un certo significato), Freud avviò la metodica contestualizzazione del senso del sogno alla personalità del sognatore, utilizzando le associazioni libere. Il materiale del sogno è spesso dato da stimoli recenti (specie del giorno precedente), ma disposti in una trama tale da esprimere desideri inconsci che si riallacciano in ultima analisi alla storia infantile. Il più delle volte tuttavia il desiderio non si traduce direttamente nelle immagini oniriche: il sogno manifesto (cioè quello che ciascuno può descrivere) è già il risultato della deformazione inconscia (detta lavoro onirico) di un contenuto latente (cioè il desiderio censurato), attuata per sfuggire alla censura onirica. Proprio tramite il sogno Freud evidenziò i meccanismi con cui in genere avviene la deformazione dei pensieri espressivi del desiderio: la condensazione in una stessa immagine di più significati, lo spostamento da un'immagine ad un'altra più neutra, la raffigurazione in immagini di pensieri astratti, il simbolismo. L'interpretazione del sogno consiste nel processo inverso, di decostruzione di quei meccanismi.

Il fatto che Freud stesso si accorgesse che taluni sogni non realizzano i desideri, ma al contrario ripetono situazioni spiacevoli o traumatiche, non toglie che comunque il sogno esprima assetti affettivi rilevanti della vita mentale inconscia. Lo ribadì anche la Klein, che equiparò il gioco dei bambini al sogno. Nella prospettiva di Jung, il sogno è rivelatore di un ben più ricco mondo archetipico: non rinvia tanto a desideri arcaici infantili, quanto prospetta indicazioni utili al processo di realizzazione della persona.