Jung e le teorie neoanalitiche

Prendendo le mosse dalla teoria psicoanalitica di Freud, ma contrapponendosi a essa si sono sviluppate altre teorie delle dinamiche psicologiche del profondo. Le maggiori scuole di pensiero sono quelle che fanno riferimento alla psicologia analitica di Jung, alla psicologia individuale di Adler, alla psicologia dell'Io di Erickson e alle teorie di Melanie Klein.

Jung

Lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961) è considerato il fondatore della psicologia analitica. Laureatosi in medicina nel 1900, entrò come assistente nel prestigioso ospedale psichiatrico di Zurigo, e divenne allievo di J. Bleuler, che aveva individuato nell'ampio genere della demenza i tratti specifici della schizofrenia. Nel 1906 entrò in contatto con Freud e aderì all'Associazione Psicoanalitica Internazionale. Nel 1913 ruppe con Freud, dalle cui teorie psicoanalitiche si discostò nell'interpretazione dell'inconscio e della libido. Anche per contrassegnare il proprio rispetto, comunque mantenuto, nei confronti di Freud, Jung chiamò la propria teoria “psicologia analitica”.

Fedele alle teorie di Bleuler, Jung ritiene che l'inconscio precede la coscienza come una radice, piuttosto che seguirla come conseguenza di una rimozione. Ciò significa che per comprendere lo psichico non bisogna partire dalla costruzione dell'Io (come voleva Freud), ma dall'inconscio da cui l'Io si genera. Per Jung “inconscio” non è un luogo psichico come per Freud, ma un aggettivo che designa un insieme di “complessi” o gruppi di rappresentazioni a tonalità affettiva molto elevata, che l'Io può controllare o non controllare (in questo secondo caso siamo in presenza della schizofrenia quale destrutturazione dei rapporti con la realtà). All'inconscio si accede attraverso approcci metaforici, o figure, quali l'anima, che designa la parte femminile nel maschio; l'animus, che designa la parte maschile nella femmina; l'“ombra”, che è la parte negativa della personalità e che il soggetto tende a nascondere; la “persona”, o maschera, che l'Io assume nelle sue relazioni sociali fino ad identificarvisi quando non è sicuro di sé.

Oltre all'inconscio personale, in cui sedimentano le tracce delle esperienze vissute, dimenticate o rimosse, Jung riconosce anche un inconscio collettivo, in cui resta depositato il patrimonio psicologico dell'umanità. Con questi termini non si deve però intendere un particolare contenuto comune a tutti gli uomini, ma “forme a priori” dell'immaginazione, disposizioni a fare esperienza in un modo piuttosto che in un altro. Tali sono gli archetipi della “grande madre”, o del puer o del senex, per i quali si decide il modo di fare esperienza in maniera materna, o infantile, o senile.

La dinamica psichica è concepita da Jung come relazione tra il Sé e l'Io. Con il termine Jung intese l'unità complessiva della personalità: “Il Sé non è soltanto il centro, ma anche l'intero perimetro che abbraccia coscienza e inconscio, è il centro di questa totalità, così come l'Io è il centro della mente cosciente”. Del Sé Jung parlò in due accezioni: come momento iniziale della vita psichica e come sua realizzazione o meta. Come antecedente dell'Io, il Sé è l'espressione indifferenziata di tutte le possibilità umane: una indifferenziazione mitologicamente espressa dalla divinità rispetto alla quale un giorno l'uomo si era emancipato inaugurando, con la ragione, identità e differenze: questa emancipazione ha consentito all'uomo di uscire dalla notte dell'indifferenziato, dove appunto abita la follia. Come figura ulteriore rispetto all'ambito circoscritto della coscienza razionale, il Sé rappresenta poi il riferimento per una nuova ricerca di senso volta al recupero di motivi esistenziali rimossi per una adeguata costruzione dell'Io. La dinamica psichica in vista dell'autorealizzazione prevede una prima fase di adattamento alla realtà volta alla costruzione dell'Io, e una seconda fase di individuazione che si articola attraverso le due operazioni della differenziazione e dell'integrazione, da considerarsi a livello intrapsichico e interpsichico. Nel primo caso “individuarsi” significa differenziare l'Io dalle istanze psichiche inconsce, per passare successivamente a un'integrazione delle parti rimosse che possono concorrere alla crescita dell'Io ormai consolidato. Nel secondo caso individuarsi significa differenziarsi dall'adesione acritica alle forme collettive d'esistenza, per passare poi all'integrazione critica di forme e modelli culturali esistenti, da sostituire a quelli che hanno presieduto per il passato alla crescita e che ora si rivelano insufficienti. Operatore del processo di individuazione per Jung è il simbolo, che, a differenza di quanto ritiene Freud, non è un segno che rinvia a una cosa nota (campanile = fallo, caverna = contenitore materno ecc.), ma è ciò che rimanda a qualcosa di fondamentalmente sconosciuto e per il quale non c'è espressione razionale adeguata.

Jung scorse nella produzione simbolica individuale e collettiva delle eccedenze di senso rispetto all'insieme dei significati codificati. Da queste eccedenze scaturiscono quelle trasformazioni individuali e collettive in cui si esprime, a livello individuale, il senso di ogni biografia e, a livello collettivo, quello di storia. In tal modo Jung ampliò il concetto di psiche, lo emancipò dallo sfondo naturalistico in cui Freud l'aveva contenuto, identificando la psiche con le pulsioni dell'uomo in quanto organismo biologico, e in definitiva lo integrò con la nozione di storia: la storia come modificabilità della psiche in base alle trasformazioni epocali. Da questa esposizione si deduce che per Jung non esistono contenuti simbolici se non per un inconscio che li instaura; i simboli sono storici, perché non appena partoriscono il loro significato cessano di essere simboli diventando segni; il simbolo non è un significato, ma un'azione che mantiene in tensione gli opposti; nel simbolo c'è un'eccedenza di senso verso cui si orienta il processo di individuazione psichica.

Se l'archetipo fa riferimento alla natura umana indicando ciò che è comune, la tipologia psicologica fa riferimento a ciò che diversifica individuo da individuo, per cui se è ipotizzabile una visione oggettiva della psiche a livello archetipico, questa visione si frantuma a livello tipologico, dove è di volta in volta diverso il modo di essere uomo e di essere sé stesso. Ciò spiega come per la psicologia analitica non si dia una dottrina generale delle nevrosi, perché anche il modo di declinarsi della malattia rispecchia l'individualità.

La psicologia elaborata da Jung viene definita dall'autore stesso con il termine di Psicologia analitica. Staccandosi da una precedente adesione al pensiero psicoanalitico di Freud, nel 1912 con l'opera Simboli della trasformazione Jung prospettò una lettura dell'energia psichica o libido non più limitata alle sole manifestazioni pulsionali come aveva ritenuto Freud, ma estesa anche alle espressioni culturali con finalità creative.

Dopo Jung la psicologia analitica ha percorso due itinerari tipici che si discostano dallo junghismo classico. L'itinerario archetipico, promosso da E. Neumann e J. Hillman, che vuol sostituire al linguaggio concettuale in cui si esprime la psicologia del profondo, il linguaggio immaginale proprio degli archetipi mitologici, perché l'immagine è il modo specifico di narrarsi della psiche, che non può essere distorto dalla sovrapposizione di un linguaggio concettuale ad essa estraneo. Dall'altra parte l'itinerario ermeneutico-epistemologico, promosso in Italia da Trevi, il cui modello ermeneutico, conduce al dialogo dei punti di vista prospettici e perciò stesso delle psicologie, tutte vere purché coerenti con le loro premesse, e tutte relative perché storicamente, psicologicamente ed esistenzialmente condizionate.

Adler

Medico e psicologo austriaco A. Adler fu all'inizio il membro più autorevole del piccolo gruppo che, fin dal 1902, si riuniva il mercoledì nella casa di Freud. Nel 1911 si distaccò polemicamente da esso e fondò la Società per la Psicologia Individuale.

Il termine individuale allude alla considerazione dell'individuo come unità inscindibile sia in sé, sia nei rapporti con la società. Secondo la psicologia individuale la psiche è mossa dalla volontà di potenza, concetto tratto da Nietzsche ma inteso in senso più benevolo: esprime il bisogno di affermarsi ai fini della sopravvivenza e ripara all'originario sentimento di inferiorità del bambino. Alla volontà di potenza fa da contrappunto il sentimento sociale, che si esprime nella capacità di solidarizzare emotivamente con gli altri e dunque di cooperare nella società. Lo squilibrio tra queste due componenti porta alla nevrosi.

Sul piano terapeutico scopo della psicologia individuale è di effettuare una correzione delle impostazioni erronee, derivanti da uno stile di vita inadeguato, aiutando il paziente a vivere secondo una rinnovata progettualità. La psicologia individuale ha avuto seguito specie in Inghilterra e negli USA, anche per la sua sensibilità al sociale, trovando inoltre convergenze con la psicoanalisi dei neofreudiani.

La psicologia dell'Io e Erikson

L'idea centrale della psicologia dell'Io (cui aderì anche Anna Freud) è che esiste una sfera dell'Io autonoma dai conflitti pulsionali: la sfera dell'Io non deriva per differenziazione dall'Es, come voleva Freud, né tanto meno dai processi di identificazione, bensì è innata. Consiste in un'ampia serie di funzioni, quali il controllo della motilità, il linguaggio, la memoria, l'intelligenza, l'esame della realtà: sono funzioni messe in azione non dalla libido, ma da forme di energia neutra, o neutralizzata; all'insistenza sugli aspetti psichici delle funzioni dell'Io, fanno da contrappunto i riferimenti neurofisiologici, al fine di fondare biologicamente l'autonomia dell'Io.

È comunque in forza del suo carattere autonomo che l'Io può opporsi alle pulsioni e regolare i rapporti con l'ambiente: il problema dell'adattamento all'ambiente diventa così centrale nella psicologia dell'Io, che aggiunge un punto di vista adattivo e inoltre uno genetico (per l'attenzione prestata ai processi evolutivi) ai tre punti considerati nella metapsicologia freudiana (topico, dinamico ed economico). Lo scarso peso attribuito invece alla dimensione fantasmatica inconscia fa sì che le relazioni con il mondo esterno vengano lette in un'ottica per lo più realistica.

Con Rapaport si ha inoltre il più importante tentativo di una sistemazione epistemologica della psicoanalisi, secondo i canoni dell'empirismo logico dominanti al tempo; vi prevale una visione meccanicistica e obiettivistica della psiche.

La psicologia dell'Io ha trovato fortuna negli Stai Uniti anche perché si incontrava con due questioni sentite nella cultura locale: il rapporto con l'ambiente e con la società; la scientificità della psicoanalisi e la sua integrazione nella psicologia accademica.

Uno studioso riconducibile per certi versi alla Psicologia dell'Io è E. Erikson, psicoanalista statunitense di origine tedesca. Formatosi con Anna Freud a Vienna (ma è da sottolineare che prima aveva insegnato attività artistiche ai bambini), emigrò negli Stati Uniti nel 1933, dove insegnò in varie università. Si occupò prevalentemente di psicoanalisi dell'età evolutiva, studiando il bambino nel contesto sociologico e antropologico. Nella concezione di Erickson l'acquisizione dell'identità individuale e di quella sociale sono complementari: da una parte è sottolineata la funzione di sintesi e di integrazione svolta dall'Io nel corso dello sviluppo, dall'altra è dimostrata (con una famosa ricerca in cui veniva confrontata l'educazione nelle tribù Sioux, cacciatori, con quella nelle tribù Yurok, pescatori) l'interazione tra la formazione dell'Io e la struttura della società.

Melanie Klein

Psicoanalista inglese, di origine austriaca, si accostò alla psicoanalisi nel 1914 attraverso Ferenczi, allievo di Freud; ma riconobbe come maestro K. Abraham a Berlino, dove si trasferì nel 1921. La morte precoce di Abraham la indusse a stabilirsi definitivamente a Londra nel 1926. Qui fu dapprima accolta con favore, ma dagli anni Quaranta incontrò la vivace opposizione del gruppo ortodosso, capeggiato da Glover e da Anna Freud.

La Klein aveva iniziato la sua pratica come analista di bambini, nella cura dei quali traspose direttamente i principi freudiani. Utilizzando il gioco, lo interpretava al bambino in termini simbolici al pari del sogno negli adulti, vedendovi l'espressione di pulsioni, di conflitti, di angosce inconsce. Ne trasse le prime tesi originali: il complesso di Edipo compare già nei primi anni di vita; il bambino mostra un universo fantasmatico assai ricco, popolato di oggetti dal carattere di quasi-persone, ora crudeli, ora dotate di mirabili qualità.

Il rigido dualismo pulsionale (pulsioni lipidiche e pulsioni aggressive o di morte), la visione della mente come mondo interno (cioè un contenitore di oggetti di volta in volta proiettati all'esterno o introiettati), nonché l'allargamento della cura ad adulti psicotici favorirono l'elaborazione delle nozioni di posizione paranoide-schizoide e posizione depressiva. Le due posizioni compaiono rispettivamente nel primo e nel secondo semestre di vita del bambino. La posizione paranoide-schizoide è qualificata dalla percezione del seno materno da parte del bambino ora come oggetto buono, ora come oggetto cattivo (in quanto il seno è investito di pulsioni sia lipidiche, sia aggressive), dalla presenza di angoscia persecutoria (per una sorta di timore di vendetta al seguito degli immaginari attacchi al seno), o, al contrario, di straordinarie idealizzazioni. La posizione depressiva suppone dal canto suo la riunificazione del seno in un unico oggetto (sentito come buono): il soggetto vive conseguentemente se stesso come cattivo, donde l'angoscia depressiva. Nelle ultime opere la Klein accentuò il peso dei sentimenti, postulando nel bambino un'originaria invidia e una necessità di farvi fronte con atteggiamenti riparatori.