Andersen, Hans Christian

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scrittore danese (Odense 1805-Copenaghen 1875). La sua fama, universalmente riconosciuta, è consacrata dalle sue famose raccolte di fiabe. Dopo un'infanzia e un'adolescenza trascorse fra molti stenti nella natia Odense, si fece conoscere negli ambienti letterari di Copenaghen: nel 1833 ottenne una sovvenzione che gli consentì di compiere un viaggio in Italia. Al ritorno in Danimarca, Andersen esordì con due romanzi L'improvvisatore (1835) e O. T. (1836), quest'ultimo dai molti spunti autobiografici e dalla trama complicata, che si rifaceva a modelli non bene assimilati. Ebbero scarso successo, come pure il romanzo successivo, Solo un suonatore (1837), storia di un povero ragazzo, dotato d'ingegno, ma inesorabilmente osteggiato da una fortuna avversa. Intanto erano apparse le prime raccolte di fiabe, che Andersen aveva scritto esclusivamente per i ragazzi. È del 1835 la prima operetta: Fiabe narrate per i bimbi. Abbandonato ogni modello letterario, si era dato a sviluppare soprattutto motivi tratti da racconti popolari, oppure ricordi di episodi infantili. Qui, veramente, egli ebbe modo di rivelare le doti migliori: immediatezza di esposizione, capacità di penetrare le più complicate situazioni psicologiche, una lingua e una sintassi semplicissime che potevano essere comprese dai lettori più ingenui e meno istruiti. Perciò questa prima raccolta e quelle successive, Nuove fiabe (1843-48), Racconti (1850-55), Nuove fiabe e racconti (1858-72), ebbero subito un enorme successo, soprattutto all'estero, dove le traduzioni si moltiplicarono con rapido ritmo. Piaceva, di Andersen, la sconfinata fiducia nelle risorse dell'uomo e nella vita; non nuoceva l'amaro umorismo, riscattato da soluzioni limpide, umanamente comprensibili. Soprattutto, davano snellezza e grazia al suo racconto la mancanza di un meschino moralismo e l'apertura incondizionata a tutte le manifestazioni della vita, che si risolvevano in altrettante esperienze di valore universale. Eppure, l'artista non si riteneva pago di un successo che sembrava conseguito con strumenti artistici non rispondenti alle sue vere risorse: continuò, quindi, a vagheggiare la conquista del pubblico per mezzo di opere che gli apparivano più dignitose. Fu una fatica vana. Risaltano soltanto i racconti di viaggio, perché Andersen vi ha saputo riversare le sue annotazioni psicologiche e umane: Il bazar di un poeta (1843), dedicato ai lunghi soggiorni in Italia, in Germania e nell'Oriente, In Svezia (1851), In Spagna (1865). Nel 1845 Andersen aveva fatto rappresentare la commedia La nuova stanza della partoriente, ma fu un fiasco. Nel 1848 pubblicò un romanzo storico, alla Walter Scott, Le due baronesse, che ebbe pochi lettori. L'amarezza di questi insuccessi fu esposta nel diario La fiaba della mia vita (1855): l'artista riconosce amaramente di essere rimasto un fanciullo, che può comunicare, per mezzo delle fiabe, con gli altri fanciulli, ma che non riesce a farsi capire dagli adulti. Dopo un'infelice incursione nella sfera filosofica (col trattato Essere o non essere, 1857), Andersen concluse la sua carriera letteraria col racconto Piero il fortunato (1870): è quasi un'esposizione dei suoi ideali mancati, perché vi si immagina che un povero fanciullo riesca dopo molti sforzi a divenire un artista acclamato; ma è destinato a morire improvvisamente, dopo aver ricevuto gli applausi di tutti. Proprio quegli applausi che Andersen – a torto – riteneva di non aver ricevuto in misura sufficiente. § Manoscritti, ritratti e migliaia di piccoli oggetti che lo scrittore aveva collezionato sono raccolti nella sua casa natale, trasformata in museo. Ad Andersen è intitolato un premio internazionale per la letteratura infantile.

Bibliografia

E. Stensgaord, Hans Christian Andersen in Italia, Roma, 1935; C. M. Woel, Hans Christian Andersen Liv og digtning, Copenaghen, 1949-50; A. Cibaldi, Hans Christian Andersen, Brescia, 1955; I. Marchetti, G. Cristiano Andersen, Firenze, 1969.

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