Petrassi, Goffrédo

compositore italiano (Zagarolo, Roma, 1904-Roma 2003). Dal 1939 ha insegnato composizione al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma; è stato inoltre sovrintendente de La Fenice di Venezia (1937-40) e direttore artistico dell'Accademia filarmonica romana (1947-50), presidente della SIMC, titolare del corso di perfezionamento per compositori all'Accademia di Santa Cecilia (dal 1958). La vasta produzione di Petrassi si colloca lungo l'arco di un percorso stilistico complesso, di cui sono state sottolineate l'organica coerenza e la viva ricchezza problematica, e la cui presenza nella musica italiana del Novecento appare costantemente di primo piano. I suoi esordi compositivi si collocano sotto il segno del neoclassicismo di Casella, e soprattutto di Hindemith e Stravinskij, ma al di fuori da qualsiasi inclinazione a brillanti arguzie intellettualistiche: dopo la Partita (1932), lavori corali come il Salmo IX (1936) e il Magnificat (1940) rivelano compiutamente il gusto per lo splendore fonico, per sonorità massicce e vigorose, per gesti eloquenti e solenni (si è parlato di musicista del barocco romano e della Controriforma), bloccati in una fissità liturgica capace di conferire loro una sorta di “patina metafisica”. Il successivo Coro di morti (1941) su testo di Leopardi segna un momento (mirabile) di pessimistico ripiegamento, cui seguiranno, sempre per la produzione corale, Nonsense (1952-64), Quattro mottetti per la Passione (1965), fino ai Tre cori sacri a cappella (1983). Una ricerca sempre più scarnificata e interiorizzata è presente nei balletti La follia di Orlando (1943) e Ritratto di Don Chisciotte (1945), nella gelida, secca, sofisticata vena ironica del Cordovano (1949), nell'angosciato pessimismo, realizzato con estrema sobrietà, dell'unica altra opera teatrale, Morte dell'aria (1950). Dopo Noche oscura (1950-51), uno degli esiti più alti della maturità di Petrassi, il musicista si rivolge alla musica strumentale: la serie dei Concerti per orchestra, a partire dal terzo (1952-53) fino all'ottavo (1973) segna le tappe di un percorso che fa proprie la lezione dodecafonica, certe suggestioni bartokiane e alcuni aspetti delle esperienze postweberniane, volgendosi poi alla musica da camera, tra l'altro con il Quartetto (1956), la Serenata (1958), il Trio (1959), Estri (1967), Ottetto di ottoni (1968), Orationes Christi (1975), Laudes creaturarum (1982), Inno per ottoni (1984). Nel 1991 ha pubblicato un libro autobiografico dal titolo Autoritratto.