Lessico

agg. (pl. m. -ci) [sec. XX; anti-2+sismico]. In grado di resistere ai terremoti. In particolare, di costruzioni edificate con particolari accorgimenti che consentono una buona resistenza alle sollecitazioni dovute alle scosse telluriche.

Scienza delle costruzioni: generalità

I sistemi di realizzazione delle costruzioni antisismiche sono essenzialmente due: il primo consiste nell'affidare la resistenza della struttura alla sua rigidezza, il secondo si basa invece sulla realizzazione di strutture molto deformabili, le cui parti, essendo dotate di una certa libertà di movimento l'una rispetto all'altra, possono assorbire le sollecitazioni impresse evitando, o almeno limitando, il danno. Per quel che riguarda le fondazioni, la legislazione italiana prescrive di collegare solidamente, e quindi rigidamente, l'edificio al suolo; tuttavia questo non può essere considerato un criterio di validità assoluta, in quanto studi condotti in altri Paesi (Stati Uniti, Giappone, Cina ecc.) considerano migliore soluzione il creare un collegamento che consenta libertà di movimenti relativi. Qualunque sia il criterio adottato è opportuno, quando possibile, poggiare le fondazioni su roccia viva e compatta; nel caso di terreni poco coerenti occorre realizzare artificialmente una base compatta che può essere, a seconda dei casi, un telaio orizzontale oppure una platea armata come prescrive il regolamento italiano. Le costruzioni, inoltre, devono essere molto compatte, per cui occorre ridurre al minimo la presenza di elementi che interrompano la continuità, quali finestre, camini, archi ecc.; devono essere evitati anche elementi a sbalzo come terrazzi, mensole, strutture spingenti come archi o volte. La struttura dell'edificio antisismico deve poter resistere contemporaneamente a compressione, trazione, flessione e taglio. L'uso di materiali scarsamente resistenti alla trazione (pietre, laterizi ecc.) è sconsigliabile; sono da preferire il cemento armato e, adeguatamente protetti contro gli incendi, l'acciaio e il legno lamellare (non di rado a un terremoto fanno seguito incendi dovuti alla rottura di tubazioni del gas, depositi di materiali infiammabili ecc.). Per ciò che riguarda l'altezza degli edifici si tiene conto della sismicità della zona, della natura del terreno, del tipo di costruzione: la legislazione italiana (la competenza in materia di edilizia in zone sismiche è stata affidata alle Regioni con D.P.R. n. 616 del 1977) divide le regioni sismiche in prima e seconda categoria. Nelle prime l'altezza massima consentita è di 10 m, nelle seconde di 12 m; previa approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici si può giungere rispettivamente a 12 e 15 m e anche più (massimo 21 e 24,50 m). Quando si procede a nuove edificazioni (complessi industriali, centri abitati, opere pubbliche ecc.) si preferisce ubicare le costruzioni antisismiche in terreni pianeggianti (eventualmente provvedendo a terrazzamenti), perché i terreni scoscesi facilitano il crollo della struttura una volta iniziato il movimento sismico, e su terreni quanto più possibile omogenei e compatti perché questi attenuano i negativi effetti sismici. Particolarmente pericolose risultano le zone di confine geologico, o di terreni di natura diversa, ai margini di altopiani e di tagli profondi, naturali o artificiali. Si rende comunque sempre necessaria una trivellazione preliminare del suolo per stabilirne la natura geologica anche in profondità, così da garantire la massima sicurezza possibile. Per il calcolo delle costruzioni antisismiche si ricorre ai normali metodi in uso, tenendo però conto di nuovi “carichi statici equivalenti”, calcolati in base alle possibili scosse sussultorie e ondulatorie ciascuna considerata come una forza agente a sé stante; qualunque sia l'altezza dell'edificio il rapporto tra le forze agenti in senso orizzontale e i pesi delle masse su cui queste agiscono deve essere pari a 0,07, nelle regioni di seconda categoria, e a 0,10 in quelle di prima categoria. Per le zone sismiche, sono stati studiati inoltre sistemi antivibranti i quali entrano in funzione solo in caso di scosse telluriche.

Scienza delle costruzioni: i dispositivi deformabili

Sono strutture capaci di modificare la propria deformabilità in relazione alla all'intensità e al tipo di scossa sismica che le colpisce. Per ottenere ciò, si interpone tra il terreno e la base d'appoggio della struttura un apparato deformabile in senso orizzontale, con deformabilità controllata da opportuni sistemi smorzanti. Questo apparato è, in genere, formato da un sistema reticolare di travi di fondazione appoggiato al terreno e sul quale viene costruito un reticolo simile con l'interposizione dell'apparecchio smorzante, costituito da strati di gomma di elevata capacità portante, alternati a lastre d'acciaio incollate agli strati; questi sono interspaziati da un nucleo di metallo duttile. Quando non è possibile ricorrere all'isolamento delle fondazioni (per esempio, negli edifici molto alti oppure quando il terreno d'appoggio è troppo soffice), si possono progettare strutture aventi una duttilità capace di dissipare plasticamente l'energia conferita alla costruzione dalla scossa sismica attraverso le fondazioni. La dissipazione deve avvenire in punti previsti in fase di progetto tali da poter reggere grandi spostamenti relativi: essa è stata già sperimentata per ponti e viadotti. I dispositivi consistono generalmente in apparecchi di gomma, oleodinamici o d'acciaio che assorbono parte dell'energia sismica.

Bibliografia

O. Belluzzi, Scienza delle costruzioni, Bologna, 1961 e seg.; B. Dante, L'edilizia nelle zone sismiche, Bari, 1966; Autori Vari, Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, vol. I, Roma, 1968; G. Sarà, Ingegneria antisismica, Napoli, 1985.

Trovi questo termine anche in:

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora