infinito (matematica)

Indice

espressione simbolica che rappresenta il limite di una funzione o di una successione, qualora queste assumano valori arbitrariamente grandi in modulo. Il concetto compare in vari settori della matematica contrapposto al concetto di finito.

Algebra

In teoria degli insiemi, si dice insieme infinito un insieme che può essere messo in corrispondenza biunivoca con una sua parte propria (equipotenza). Tale proprietà, che definisce e caratterizza, secondo R. Dedekind, gli insiemi infiniti, venne messa in evidenza già da G. Galilei, il quale diede l'esempio dei numeri naturali, che sono tanti quanti i loro quadrati, pur essendo i quadrati solo una parte propria dei naturali. Galilei diede questo esempio, e altri, per mettere in evidenza le “difficoltà che derivano dal discorso che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno agli infiniti, dandogli quegli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate”. In verità, con i nostri intelletti finiti noi possiamo correttamente discorrere di insiemi infiniti; si presentano non difficoltà, ma proprietà degli insiemi infiniti diverse da quelle degli insiemi finiti, che ci stupiscono perché siamo abituati a ragionare sul finito. Sono quelle proprietà “incredibili” che B. Bolzano chiamò i paradossi dell'infinito, primo tra tutti il paradosso scoperto da Galilei, che il tutto può avere la stessa cardinalità di una sua parte, in apparente contraddizione con il principio aristotelico che il tutto è maggiore della parte. Il fatto è che, nel caso finito, una parte non può essere equipotente al tutto, e quindi si può usare il termine maggiore tanto nel senso dell'inclusione quanto in quello della cardinalità; nel caso infinito, invece, i due significati debbono essere rigorosamente distinti. Così, debbono essere tenuti ben distinti i concetti di cardinalità e di dimensione; un quadrato ha dimensione due, un suo lato dimensione uno, eppure i punti del quadrato sono tanti quanti i punti di un suo lato. Con G. Cantor e la sua teoria degli insiemi la matematica ha perciò recuperato e giustificato il concetto di infinito attuale, respinto dai filosofi greci, liberandolo da ogni misticismo. In matematica si accettano ormai generalmente totalità infinite date in atto; si considera però anche l'infinito potenziale, come tendenza all'infinito, precisata nel concetto di limite infinito. Nella teoria assiomatica degli insiemi, c'è bisogno di un apposito assioma che garantisce l'esistenza di almeno un insieme infinito. L'assioma dell'infinito può essere dato come asserzione del fatto che esiste un insieme infinito, gli elementi del quale sono tutti e soli i numeri naturali (definibili singolarmente per via insiemistica).

Analisi matematica

Si dice che una successione an di numeri reali tende all'infinito positivo se essa assume, per n tendente all'infinito, valori arbitrariamente alti; dato cioè un qualsiasi numero K>0, esiste un numero H, dipendente da K, tale che per ogni n>H si ha a>K. In questo caso si dice che il limite di a per n tendente all'infinito è uguale a “più” infinito e si scrive

Analogamente si dice che una successione an di numeri reali tende all'infinito negativo se essa assume, per n tendente all'infinito, valori arbitrariamente bassi; dato cioè un qualsiasi numero K>0, esiste un numero H, dipendente da K, tale che per ogni n>H si ha a<-K. In questo caso si dice che il limite di a per n tendente all'infinito è uguale a “meno” infinito e si scrive

In ambedue i casi si dice che la successione è divergente. Per il calcolo dei limiti è importante confrontare successioni divergenti. Date due successioni divergenti, a e b si consideri il rapporto b/a e se ne calcoli il limite per n tendente all'infinito. Allora: 1) se il limite, per n tendente a infinito, della successione b/a è uguale a infinito (positivo o negativo), si dice che b è infinito di ordine superiore ad a; 2) se il limite, per n tendente a infinito, di b/a è uguale a un numero k≠0, si dice che b è infinito dello stesso ordine di a; 3) se il limite, per n tendente a infinito, di b/a è uguale a 0, si dice che b è infinito di ordine inferiore ad a; 4) se la successione b/a non tende ad alcun limite, si dice che b non è confrontabile con a. Inoltre, se a>0 ed esiste un numero h tale che b è infinito dello stesso ordine di a, si dice che b è infinito di ordine h rispetto ad a preso come infinito campione. Si può dimostrare che, se a e b sono infiniti e e sono infiniti di ordine inferiore rispettivamente ad a e a b, allora

purché questi due limiti esistano. Si dice che una funzione y=f(x) tende all'infinito positivo, per x tendente a x0, quando essa assume, nell'intorno di x0, valori arbitrariamente alti; dato cioè un qualsiasi numero K>0, esiste un numero δ, dipendente da K, tale che per ogni punto x distante da x0 meno di δ si ha f(x)>K. In questo caso si dice che il limite di f(x) per x tendente ad x0 è uguale a “più” infinito e si scrive

Analogamente si dice che una funzione y=f(x) tende all'infinito negativo, per x tendente a x0, quando essa assume, nell'intorno di x0, valori arbitrariamente bassi; dato cioè un qualsiasi numero K>0, esiste un numero δ, dipendente da K, tale che per ogni punto x distante da x0 meno di δ si ha f(x)<-k. In questo caso si dice che il limite di f(x) per x tendente ad x0 è uguale a “meno” infinito e si scrive

In questi casi la retta x=x0 è asintoto verticale del diagramma della funzione.

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