Caratteri generali

Con questo termine, che originariamente significa uomini (al singolare muntu) ed è costituito dal determinativo Ba- e dal sostantivo ntu della classe “persone” indicante l'essenza umana, si suole correntemente designare sia la grande famiglia linguistica propria delle genti dell'Africa centrale, orientale e meridionale, sia le genti stesse che parlano le lingue (oltre 600) appartenenti a questa famiglia. Secondo le stime più recenti, le genti che parlano lingue bantu superano i 100 milioni, rappresentando quindi un terzo della popolazione dell'Africa. Questa grande massa d'individui non costituisce, tuttavia, un tutto omogeneo sia dal punto di vista culturale sia da quello antropologico (nonostante sia corrente l'uso dell'espressione “stirpe bantu”): i Bantu, infatti, sono costituiti da tipi fisici diversi, in prevalenza silvestri e cafri (questi ultimi detti anch'essi impropriamente Bantu o Bantuidi) e non di rado meticciati tra loro e con i tipi sudanese, nilotide ed etiopide. Le genti bantu derivano, probabilmente, da meticciamenti e processi metamorfizzanti di antiche popolazioni preistoriche che, secondo la maggior parte degli studiosi, sono originarie delle zone equatoriali del continente africano confinanti con il sahel sahariano; queste genti, in epoca relativamente recente, migrarono a ondate successive verso ovest, est e sud fondendosi con gli elementi autoctoni locali (Paleonegridi, Paleosudanesi e anche Pigmei e Boscimani); successivi furono i meticciamenti con i tipi fisici sudanese e nilotide. Di questa vasta e ripetuta fusione rimane larga traccia sia nella molteplice varietà delle culture, sia nelle strutture sociali sia nei tipi fisici. Ogni suddivisione delle strutture sociali ed economiche dei Bantu ha tuttavia valore indicativo in quanto sono molteplici le forme adottate anche in zone limitrofe. Grosso modo si può dire che nell'Africa centrale, in alcune zone degli altopiani orientali, nell'area dei grandi laghi e nel bacino dello Zambesi prevale l'economia agricola (Bantu agricoltori); qui la caccia e la pesca sono complementari, fatta eccezione per alcune tribù rivierasche del Congo e dei suoi affluenti (per esempio, Yansi, Lolo, Ngala, ecc.); la pratica colturale più seguita è quella orticola alla zappa, ma esistono forme di agricoltura arativa come pure di agricoltura seminomade . Nel sud-est e a sud prevale l'economia agricolo-pastorale (Bantu allevatori), nella quale può avere maggior peso l'allevamento oppure l'agricoltura. I Bantu allevatori risentono di nette influenze niloto-camite: sono infatti portatori di strutture patrilineari, dell'organizzazione in clan gerarchizzati fra i quali prevale quello regale e non di rado di forme totemiche. Fra i Bantu agricoltori sono diffusi invece la famiglia e il clan matrilineari; i capi hanno un potere limitato e vengono di norma eletti dal consiglio degli anziani; pure limitato è il potere degli stregoni, temuti e odiati in quanto praticanti la magia nera e non di rado facenti funzioni di spia dei capi. Grande potere hanno, invece, le società segrete, sia maschili sia femminili. Per influenze camitiche o dei Bantu allevatori, si riscontrano, soprattutto nell'area orientale, strutture sociali miste (per esempio fra i Kikuyu) che comportano clan sia matrilineari sia patrilineari. Qualunque sia la struttura sociale, va sottolineato che la donna, sebbene per istituzione soggetta all'autorità maschile, gode di un grande rispetto: è padrona nella casa e non di rado (per esempio nei grandi regni dell'Africa centro-meridionale) assurge a posizioni di privilegio e di effettivo potere. Notevole il rispetto verso i bambini, difesi e protetti anche dagli estranei alla tribù e considerati uno dei beni fondamentali delle genti bantu.

Linguistica

Le lingue hanno caratteri strutturali comuni che non lasciano dubbi sulla loro parentela genetica, ben dimostrata dalle grammatiche comparate bantu di W. H. I. Bleek e di C. Meinhof. All'interno però di questa fondamentale unità linguistica esistono aree dialettali che ricerche specializzate tendono a definire con sempre maggiore precisione. Recentemente P. L. B. de Boeck ha anche introdotto nello studio delle lingue bantu il metodo della geografia linguistica, ponendo così le prime basi per l'elaborazione di un atlante linguistico delle lingue bantu. Tra queste una delle più diffuse e importanti è il swahili. Lo studio di queste lingue cominciò nel sec. XVII a opera di missionari che si preoccuparono di tradurre nelle lingue indigene catechismi e testi sacri e di comporre grammatiche e dizionari. Nel 1624 P. M. Cardozo pubblicò il primo catechismo in lingua kongo, nel 1651 P. G. de Gheel pubblicò un dizionario kongo-latino-spagnolo e nel 1659 apparve a Roma la prima grammatica bantu a opera di P. G. Brusciotti. Una delle principali caratteristiche di queste lingue africane è la divisione dei sostantivi in classi caratterizzate da determinativi che possono variare per il singolare e per il plurale; il numero delle classi è diverso nelle singole lingue bantu (in totale ne sono state individuate finora 23). Esemplificando con la lingua swahili troveremo per la classe che comprende in special modo le persone il determinativo m- per il singolare cui corrisponde il determinativo wa- per il plurale: quindi M-swahili, il swahili, Wa-swahili, i swahili. Se invece di indicare la gente si vuole indicare la loro lingua, si deve ricorrere al determinativo di un'altra classe e precisamente al determinativo ki-: Ki-swahili, la (lingua) swahili. Questi determinativi si ripetono davanti a tutte le parole che si riferiscono al sostantivo; per esempio l'aggettivo zee (vecchio) prenderà il determinativo m- al singolare e wa- al plurale se riferito a un sostantivo la cui classe comporta questi determinativi: M-swahili m-zee, il swahili vecchio, Wa-swahili wa-zee, i swahili vecchi. Nel sistema verbale della lingua swahili il presente è espresso dal pronome personale seguito da na e dalla radice verbale che resta immutata in tutte le persone: ni-na-penda (io amo), u-na-penda (tu ami), a-na-penda (egli ama), tu-na-penda (noi amiamo), m-na-penda (voi amate), wa-na-penda (essi amano), dove ni-, u-, a-, tu-, m-, wa- sono i pronomi personali. C'è anche una seconda forma di presente che suona: napenda (io amo), wapenda (tu ami), apenda (egli ama), twapenda (noi amiamo), mwapenda (voi amate), wapenda (essi amano); in questo caso il pronome personale si è fuso con la vocale seguente a: quindi napenda < ni-a-penda, wapenda < u-a-penda, apenda < a-a-penda, ecc. Per il passato la lingua swahili dopo il pronome personale inserisce li, quindi: ni-li-penda (io amai), u-li-penda (tu amasti), a-li-penda (egli amò), tu-li-penda (noi amammo), m-li-penda (voi amaste), wa-li-penda (essi amarono). Anche per il passato c'è una seconda forma: nalipenda (io amai), walipenda (tu amasti), alipenda (egli amò), twalipenda (noi amammo), mwalipenda (voi amaste), walipenda (essi amarono). L'indice del futuro è ta, quindi: ni-ta-penda (io amerò), u-ta-penda (tu amerai), a-ta-penda (egli amerà), ecc. Per il passivo basta inserire w prima della vocale finale -a: ninapendwa o napendwa (io sono amato), nilipendwa o nalipendwa (io fui amato). Molto interessante è il sistema di numerazione nelle lingue bantu in cui si possono trovare tracce di un sistema quinario, basato essenzialmente sulle dita della mano (quindi 5 = mano, 10 = due mani, ecc.), che si combina col sistema decimale, ma anche di un sistema quaternario (8 = 4+4, ecc.) e persino di un sistema senario (7 = 6+1).

Le culture dei Bantu

Da un punto di vista storico-artistico il gruppo bantu va considerato in una triplice partizione. In Africa occidentale si possono prendere in esame i due gruppi maggiori. Il primo gruppo (i Bantu occidentali) comprende anche i gruppi semi-bantu (misti con popolazioni sudanesi) che a ovest confinano con l'area delle culture guineane, delle quali hanno risentito qualche influsso specialmente nella metallurgia, e abbraccia le popolazioni propriamente bantu del Camerun, del medio Congo e della Guinea Equatoriale. L'arte bantu si differenzia comunque da quella guineana per quella tendenza al “realismo intellettuale” nella trattazione della figura, che poi è stata assunta come emblematica di tutta la plastica africana: testa voluminosa, assolutamente sproporzionata rispetto al corpo piccolo e tozzo, tratti facciali ben delineati, ma sguardo fisso, staticità dell'espressione e monumentalità anche nelle opere di minuscole proporzioni. In genere tutta la statuaria rappresenta antenati familiari o tribali ed è consacrata al loro culto. Il secondo gruppo (i Bantu centrale), al quale siamo debitori della maggior fioritura artistica del mondo bantu, occupa gran parte della Repubblica Democratica del Congo e l'Angola. I Bantu orientali e meridionali, invece, rappresentano, artisticamente parlando, un'area negativa, in quanto, a parte la pregevole produzione plastica dei gruppi Makonde-Makua del Mozambico, gli altri popoli hanno creato solo un'arte ornamentale che raramente raggiunge originalità e raffinatezza: non a torto gli studiosi attribuiscono questa modestia di livello estetico all'influsso diretto dei popoli pastori che non hanno dato contributi nel campo delle arti figurative. Nell'area semi-bantu emerge la produzione dei Mileke, Bamun, Bikom, in particolare quella dei primi; mentre tra i restanti popoli del gruppo dei Bantu occidentali è da ricordare almeno la statuaria dei Fang. Nella Repubblica Democratica del Congo, che a nord comprende gruppi di razza sudanese, la produzione dei Bantu è stata divisa in otto aree maggiori (F. M. Olbrechts) tra le quali emergono la statuaria regale dei Bushongo (vedi Kuba) e la raffinata arte plastica e ornamentale dei Luba del Kasai, che ha influenzato anche numerosi gruppi vicini. In Angola è notevole la produzione dei Chokwe sia per le maschere, a volte caricaturali, sia per una serie di prodotti di genere, tra cui spiccano le famose sedie di modello europeo, ma la cui decorazione svolge temi prettamente locali. Dei Bantu orientali e meridionali meritano un cenno soprattutto le statuine e le maschere dei Makonde-Makua, che riproducono per lo più immagini femminili adorne del piattello labiale caratteristico di questo gruppo.

Bibliografia

M. Guthrie, The Classification of the Bantu Languages, Londra, 1948; R. P. G. van Bulck, Manuel de linguistique bantoue, Bruxelles, 1949; A. H. J. Prins, The Coastal Tribes of the Northeastern Bantu, Londra, 1952; F. M. Olbrechts, Les arts plastiques du Congo Belge, Bruxelles, 1959; B. Davidson, Madre nera, Torino, 1966; L. Guarnaschelli, Sudafrica, sulla pelle dei Bantu, Milano, 1970.

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