Definizione

Termine con cui si indica l'insieme dei Paesi costieri del Mediterraneo orientale (Turchia, Siria, Libano, Israele, Egitto) e inoltre l'Iraq, l'Iran, Cipro, la Giordania e l'Arabia. Nell'accezione più vasta il Medio Oriente comprende anche l'Afghanistan, la Libia e il Sudan. In inglese, Middle East.

Storia: fino alla seconda guerra mondiale

L'insieme dei problemi (questione mediorientale) connessi all'avvenire dell'area, popolata quasi esclusivamente da Arabi, che fino al 1914 era stata il fianco meridionale dell'Impero ottomano, appare la prosecuzione, al di là della scomparsa dell'Impero, di uno dei temi della tradizionale Questione d'Oriente. La fine della prima guerra mondiale suscitò diffuse speranze d'indipendenza e di libertà nel Medio Oriente: in particolar modo quegli Arabi che avevano collaborato con gli Inglesi contro i Turchi confidavano nella possibilità di costituire un grande regno arabo sotto la guida dello sceriffo della Mecca Ḥusayn. Ma nel corso della guerra la Gran Bretagna aveva preso altri impegni: con i sionisti, ai quali era stata promessa la creazione di un “focolare nazionale ebraico” in Palestina, e con i Francesi, ai quali era stata assegnata una vasta zona d'influenza da Beirut a Mosul. Alla conferenza della pace fu la logica imperiale che s'impose nettamente. Di qui una prima fase (1919-20) dall'impronta decisamente repressiva che vide sconfitto dai Francesi l'esercito arabo di Damasco, soffocati i moti nazionalisti egiziani, debellate le tribù ribelli della Mesopotamia. Più avanti prevalse la tendenza a creare dei sistemi imperiali, all'interno dei quali l'egemonia occidentale fosse mitigata, senza però essere messa in dubbio, da concessioni nei riguardi dei nazionalisti locali. La Gran Bretagna promosse la trasformazione dell'Iraq da territorio sotto mandato a Stato indipendente (1930); concesse prima l'indipendenza e poi (1936) un trattato relativamente avanzato all'Egitto; affidò la parte transgiordanica del mandato palestinese ad ʽAbd Allāh ibn al-Ḥusayn, uno dei figli di Ḥusayn (a un altro, Fayṣal, era toccato il regno iracheno); tuttavia in Palestina non fu in grado di trovare una soluzione che soddisfacesse gli Arabi come gli Ebrei. Da parte sua la Francia, potenza mandataria in Siria e Libano, si comportò con maggior rigidità: una breve parentesi di collaborazione con i nazionalisti siriani (1936-38) fu bruscamente chiusa dalla cessione di Alessandretta alla Turchia. La diffusa avversione anticolonialista che predominava nell'area sul finire degli anni Trenta condusse molti nazionalisti arabi a simpatizzare con le potenze dell'Asse: la manifestazione più preoccupante di questa tendenza si ebbe nell'Iraq, dove nel 1941 i militari filogermanici presero il potere. Ma, nonostante questa e altre minacce, il controllo dell'area finì per rimanere nelle mani degli Alleati, che nel luglio strapparono Siria e Libano al regime di Vichy. La Gran Bretagna approfittò della debolezza di De Gaulle per assicurarsi una posizione egemonica anche in Levante: Londra appoggiò i nazionalisti locali e Siria e Libano divennero due Repubbliche indipendenti. Ma questi vantaggi tattici – ai quali si potrebbe aggiungere la creazione, nel 1945, di una Lega Araba sotto la regia inglese – si dissolsero sotto il peso della crisi sopravvenuta nell'immediato dopoguerra. La Gran Bretagna non fu all'altezza della tradizione e delle proprie ambizioni: incapace di rifondare i propri rapporti con l'Egitto e con l'Iraq, vide il proprio prestigio gravemente compromesso dalla nascita di Israele sulle rovine del mandato palestinese.

Storia: dalla I guerra arabo-israeliana al 1956

Lo shock causato dalla sconfitta araba nella I guerra arabo-israeliana (1948-49) parve dapprima esaurirsi in reazioni all'interno dei singoli Paesi arabi: nel 1949 un colpo di Stato portò i militari al potere in Siria, nel 1952 fu la volta dell'Egitto. Anzi sembrò che l'avvento di regimi diretti da una classe politica più “moderna” potesse consolidare la presenza occidentale nell'area: nel 1954 fu sottoscritto un trattato anglo-egiziano che poneva fine a un decennio di travagliati rapporti; nel 1955 il Patto di Baghdad diede un colpo di spugna al contenzioso tra la Gran Bretagna e l'Iraq. Ma la decisione anglo-statunitense di fare dell'Iraq il perno di un'organizzazione di difesa regionale in funzione antisovietica spinse Nasser e la gran maggioranza dei nazionalisti arabi su posizioni ostili all'Occidente. L'Egitto scoprì il neutralismo, acquistò armi dalla Cecoslovacchia. Ma l'anno spartiacque fu il 1956: le pesanti condizioni con le quali Washington e Londra accompagnarono la proposta di finanziare la costruzione della diga di Assuan fecero fallire l'estremo tentativo di recuperare l'Egitto. Nasser decise la nazionalizzazione della Compagnia universale del canale di Suez.

Storia: dalla II guerra arabo-israeliana al 1967

Dopo settimane di inutili trattative, Gran Bretagna e Francia decisero di ricorrere alla forza e organizzarono, assieme a Israele, quella che fu chiamata l'“aggressione tripartita” (ottobre-novembre 1956). L'affare di Suez, militarmente una secca sconfitta, politicamente una vittoria per Nasser, segnò la fine del vecchio colonialismo: Washington e Mosca, ostili alla spedizione franco-britannica, divennero da allora i principali interlocutori nell'area. Nel mondo arabo il nasserismo trovò in Suez un trampolino di lancio: una svolta a sinistra in Giordania fu soffocata nel 1957, ma nel 1958 la Siria decise di fondersi con l'Egitto nella Repubblica Araba Unita (RAU) e l'Iraq conobbe un colpo di stato militare repubblicano e progressista, mentre nel Libano soltanto un diretto intervento statunitense permise di evitare preoccupanti sviluppi. Tuttavia dopo il 1958 la posizione di Nasser conobbe un rapido deterioramento: Kassem (ʽAbd al Karīm Qāsim), il leader della rivoluzione irachena, riprese sotto nuovi paludamenti e con l'appoggio sovietico l'antica politica di Baghdad di rivalità nei confronti della RAU; nel 1961 la Siria, delusa dall'esperienza unitaria, uscì dalla RAU. Una nuova svolta parve profilarsi nel 1962-63: rivoluzione filoegiziana nello Yemen, colpi di stato guidati dal Baʽth, partito filonasseriano, in Siria e Iraq. Ma l'intervento egiziano nello Yemen si rivelò quanto mai controproducente e il Baʽth abbandonò il progetto federale a tre accarezzato nel corso del 1963. Nasser risalì la china nel 1964, quando si riunì al Cairo la prima Conferenza dei capi di Stato arabi: sembrò che la “solidarietà araba” contro “le mire espansionistiche dei sionisti” divenisse, o ridivenisse, un leit-motiv per gli Arabi. La mancata soluzione dell'affare yemenita, che opponeva di fatto Arabia Saudita e RAU, riportò alla luce la tradizionale opposizione tra progressisti e conservatori, due campi alle spalle dei quali esercitavano pressioni sempre più pesanti Stati Uniti e Unione Sovietica.

Storia: dalla III guerra arabo-israeliana al 1972

Fu questo contesto che nel 1967 alimentò il terzo conflitto arabo-israeliano, risoltosi con una rapida vittoria di Israele, che conquistò il Sinai, la Cisgiordania e le Alture di Golan. Il “nuovo 1948” condusse a una riedizione della politica dei vertici, una politica fondata su un'intesa “pratica” tra la RAU, che rinunciava a esportare la rivoluzione, e il blocco conservatore, che in cambio offriva consistenti aiuti finanziari. Inoltre il fallimento dei governi e degli eserciti arabi rilanciò il movimento della guerriglia palestinese, alla ribalta della scena mediorientale tra il 1968 e il 1970. Quest'ultimo anno vide l'avvio di una nuova fase della tormentata questione mediorientale. In Giordania fu schiacciato il movimento palestinese (ma le ultime basi furono espugnate nel 1971), la cui libertà d'azione fu ristretta al Libano, anche qui non senza contrasti e conflitti. In Egitto la scomparsa di Nasser condusse al potere il moderato Anwār as-Sadāt, incline a contenere maggiormente l'influenza sovietica nell'area e quindi disposto a migliorare le relazioni con gli Stati Uniti: del resto lo stesso Nasser aveva accettato quel piano Rogers che prevedeva una soluzione pacifica del conflitto arabo-israeliano. Nel 1971 la nascita, sulla carta, di una Federazione delle repubbliche arabe tra Egitto, Siria e Libia parve consolidare l'evoluzione dei regimi progressisti verso un islamismo riformista e anticomunista.

Storia: dalla IV guerra arabo-israeliana al 1982

Ma il fatto che il sensibile miglioramento dei rapporti tra USA e URSS (1972-73) non portasse ad alcun ammorbidimento delle tesi israeliane convinse Egitto e Siria a lanciare un attacco contro Israele (ottobre 1973). La guerra, conclusasi con limitate acquisizioni territoriali da parte di Israele, costituì un successo politico per Egitto e Siria. Si sviluppò infatti un movimento di solidarietà tra i Paesi arabi che, utilizzando la propria posizionequali esportatori di petrolio, indussero i Paesi della CEE ad assumere posizioni filoarabe, mentre l'Assemblea Generale dell'ONU riconosceva (22 novembre 1974) l'OLP quale rappresentante del popolo palestinese. Dopo gli accordi tra Israele ed Egitto (febbraio 1974) e Israele e Siria (maggio) per il disimpegno militare sui rispettivi fronti, l'Egitto riaprì il canale di Suez (giugno 1975) e firmò un altro accordo con Israele (settembre) che portò a un indebolimento della solidarietà interaraba. Mentre Israele, favorevole ad accordi bilaterali con gli Stati arabi, persisteva nel subordinare il ritiro dai territori occupati alla conclusione di un trattato di pace, i Paesi arabi si dividevano in un gruppo, guidato dall'Egitto, deciso ad affrettare i tempi della distensione e un altro, favorevole a una trattativa globale, che poneva come condizione preliminare a ogni trattativa il ritiro di Israele da tutti i territori occupati e il riconoscimento dei diritti dei Palestinesi. Mentre la mediazione degli USA portava agli accordi di Camp David tra Egitto e Israele (settembre 1978), restava irrisolta la questione palestinese che finì per fare del Libano la sede principale del confronto militare arabo-israeliano; la presenza nel Paese di basi dell'OLP e le rappresaglie israeliane in territorio libanese radicalizzarono la crisi politico-sociale e la conflittualità tra OLP e milizie cristiano-maronite cui pretese di porre fine la Siria invadendo il Paese.

Storia: dall'invasione del Libano al 1990

Mentre si moltiplicavano i fattori di divisione del mondo arabo (tensioni ai confini tra Iraq e Siria e tra Siria e Giordania, differenti posizioni dei singoli Stati di fronte alla guerra tra Iraq e Iran), Israele, nel giugno 1982, invadeva il Libano meridionale, determinando l'allontanamento dell'OLP dal Paese. Successivamente l'invio a Beirut di una forza multinazionale di pace sembrava aprire una fase di tregua; ma già alla fine del 1983 si intensificavano da un lato la lotta tra l'OLP e i gruppi palestinesi sostenuti dalla Siria, dall'altro le offensive tra le forze libanesi arabe e quelle cristiane. Il ritiro (1984) degli uomini della forza multinazionale di pace e quello (1985) degli Israeliani determinavano la ripresa della lotta fra le varie fazioni conclusasi sostanzialmente solo nel 1990 con l'intervento siriano, che metteva fine alla sobillazione del generale maronita M. Aoun contro il presidente, anch'esso maronita, E. Hrawi. Per tutti gli anni Ottanta la situazione di crisi nell'area era stata aggravata da altri conflitti. Nel 1979 l'URSS invadeva l'Afghanistan per sostenervi un regime fedele, ma incontrava una forte resistenza armata che le sue truppe non riuscivano a piegare. Dopo il disimpegno militare sovietico (1989) le formazioni ribelli riuscivano gradualmente a impossessarsi di tutto il territorio conquistando (1992) la capitale, ma per i numerosi contrasti all'interno delle varie fazioni armate la situazione in Afghanistan rimaneva lungi dall'essere normalizzata. Ma probabilmente l'evento più importante di questa fase fu la rivoluzione che in Iran nel 1979 costrinse all'esilio lo scià e trasformò il paese in una repubblica islamica integralista guidata dall'ayatollah Khomeini. Il successivo isolamento internazionale iraniano e i violenti disordini interni furono seguiti da una sanguinosa guerra con l'Irak (1980-1988) che tentò con il proprio esercito di conquistare alcuni territori contesi sfruttando la debolezza avversaria. Dopo aver diviso il mondo arabo, la guerra si concluse con una situazione di stallo, ma rafforzò la leadership religiosa iraniana, che tuttavia proprio dal 1988 cominciò a perdere terreno grazie alla conquista del potere da parte della fazione pragmatica e riformista guidata da Hashemi Ali Hakbar Rafsanjani.

Storia: dalla guerra del Golfo ad oggi

Un'ulteriore iniziativa irachena, questa volta contro il Kuwait invaso nel 1990, faceva salire nuovamente la tensione internazionale e l'ONU autorizzava l'uso della forza per liberare il piccolo regno arabo. La guerra del Golfo, conclusasi con la sconfitta dell'Iraq (1991) favoriva una ridislocazione delle forze dell'area, particolarmente della Siria nell'occasione alleatasi con gli USA. Questo fatto, insieme alla fine del bipolarismo, determinava un diverso scenario in cui, pur rimanendo aperte molte questioni, tra cui quella curda, si rendeva possibile l'avvio di una fase di cauta distensione nell'area. In questo quadro poteva andare in porto l'iniziativa statunitense di avviare una conferenza di pace che mettesse intorno allo stesso tavolo Arabi, Palestinesi e Israeliani per discutere le soluzioni di una duratura sistemazione della regione. La conferenza, che, apertasi a Madrid nel novembre 1991, nel 1992 proseguiva i suoi lavori negli USA, riceveva nuovi impulsi dai risultati delle elezioni politiche in Israele (1992), vinte dai laburisti. Questi si impegnavano con rinnovato vigore nel processo di pace superando le pregiudiziali di una trattativa diretta con l'OLP di ʽArafāt mentre costui riusciva a isolare le posizioni più radicali. Si giungeva, così, a una prima disponibilità sull'autonomia di Gaza e Gerico perfezionata (maggio 1994) al Cairo con l'accordo per il ritiro delle truppe israeliane e l'esercizio di un'autorità palestinese su quei territori. Nonostante l'accentuarsi delle azioni dei fondamentalisti palestinesi di Hamas e le provocazioni dei coloni israeliani estremisti, contrari a ogni concessione territoriale, il dialogo Israele-OLP continuava, seppure più a rilento, sugli altri punti in discussione. Anche i rapporti tra lo Stato ebraico e la Giordania miglioravano con la stipulazione di un importante accordo di pace (1994) che poneva fine ai profondi contrasti che duravano dal 1948. Altri incontri decisivi avvenivano nel 1995, come per esempio quello tra ʽArafāt e Rabin svoltosi in agosto. In questa occasione i due premier sottoscrivevano la Dichiarazione di Taba, pianificando le elezioni dirette del consiglio palestinese, di un segretario e di un presidente e l'organizzazione effettiva del passaggio in mano palestinese di gran parte dell'autorità civile nei territori occupati e i tempi e le modalità del loro abbandono da parte israeliana. Il processo di pace in tutta l'area subiva però un forte colpo nel novembre 1995 con l'assassinio di Rabin da parte di un estremista ebreo. Lo stesso ʽArafāt veniva nel frattempo accusato di debolezza nei confronti di Israele. L'avvicinamento tra Israele e Siria era caratterizzato da una particolare prudenza delle parti. Nel dicembre 1995, comunque, i due Stati riuscivano a trovare un accordo di intenti per il Golan. Difficoltà più sostanziali si determinavano, invece, in occasione della vittoria del Likud alle elezioni politiche israeliane (1996). Tornata al potere, la destra ebraica cercava di frenare il dialogo con ʽArafāt, ma anche il nuovo premier Netanyahu, pur in un quadro di generale deterioramento del processo di pace, doveva piegarsi alla forza delle cose e firmare con il leaderì palestinese un accordo per la città di Hebron (1997), a cui seguiva, nel 1998, un secondo, il “Memorandum di Wye”. In realtà il processo di pace tra Israeliani e Palestinesi rappresentava la chiave di volta per una più generale stabilità della regione. Esso, poi, era venuto assumendo col tempo una sua autonoma forza rendendo difficile ai suoi detrattori politici un troppo brusco irrigidimento delle posizioni. Pesava, in questo quadro, anche un'accresciuta sensibilità internazionale decisa a non accettare passivamente che il problema degli equilibri politici interni di un singolo Stato potesse condizionare l'assetto geopolitico di un'area tanto strategica. L'insieme di tali elementi contribuiva a far sì che il processo di pace israelo-palestinese, per quanto appeso a un esile filo sempre sul punto di spezzarsi, rappresentasse il dato di gran lunga caratterizzante la tormentata storia del Medio Oriente nel passaggio dal Secondo al Terzo millennio. Con l'elezione (maggio 1999) del nuovo premier israeliano, il laburista E. Barak, riprendevano con maggior vigore gli accordi per il processo di pace in Medio Oriente. Veniva prevista l'applicazione del “Memorandum di Wye”, fissando per il settembre 2000 una nuova scadenza per stabilire i criteri generali dell'accordo e la liberazione dei prigionieri palestinesi; inoltre, tra Israele e Siria si raggiungeva un'intesa per la pace con l'impegno da parte di Barak del ritiro delle truppe militari dalle Alture di Golan, in cambio dell'allontanamento delle forze armate siriane dai confini. Allo stesso tempo, nel febbraio 2000, ‘Arafāt, nel corso di una sua visita in Vaticano, siglava una “Dichiarazione di principi” che, in vista della nascita dello Stato palestinese, definiva i rapporti diplomatici con la Santa Sede e confermava la richiesta di uno statuto speciale per Gerusalemme, internazionalmente garantito . Nel luglio 2000, però, i negoziati indetti a Camp David dal presidente degli Stati Uniti Clinton, al fine di elaborare un piano di pace tra Israeliani e Palestinesi avevano un esito negativo per le divergenze emerse tra Barak e ‘Arafāt sulla questione dello statuto da attribuire a Gerusalemme Est. Lo stallo delle trattative finiva per procurare un graduale, ma inesorabile peggioramento della situazione: alla fine di settembre del 2000 nasceva una nuova Intifada nei territori palestinesi e, allo stesso tempo si registrava una ripresa del terrorismo antiebraico. Il nuovo primo ministro israeliano, A. Sharon, non intendeva proseguire i negoziati di pace, isolando e deleggitimando ‘Arafāt, la cui posizione si faceva sempre più debole. Alla fine di marzo del 2002 le truppe israeliane occupavano le città palestinesi della Cisgiordania, ritirandosi poi solo parzialmente e mantenendo una serie di presidi.

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