Marina Militare Italiana

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Storia: dalle origini al 1918

Forza armata dello Stato che concorre, con l'Esercito, l'Aeronautica e, dal 2000, l'Arma dei Carabinieri, alla difesa nazionale. La Marina Militare Italiana nacque nel 1861, dalla fusione delle marine di Sardegna, borbonica, toscana e pontificia. Il naviglio (106 unità) era pertanto di eterogenea provenienza e, soprattutto, lo era il personale, formato in istituzioni fino ad allora antagoniste e improntate a criteri organizzativi e operativi differenti. Questa, senza dubbio, la causa prima della scadente prova fatta dalla nuova marina nella guerra del 1866 (Lissa), avvenuta in piena fase di riordinamento amministrativo, tecnico e morale. Nel periodo che seguì la III guerra di indipendenza il lavoro di ricostruzione fu efficace e continuo: le navi furono progressivamente sostituite col criterio di creare una flotta tecnicamente all'avanguardia, per compensare con la qualità la sua relativa inferiorità numerica rispetto alle flotte possibili antagoniste. Si ottennero così, specie nel periodo dal 1876 al principio del Novecento, navi modernissime, prese sovente a modello dalle maggiori marine mondiali. Non altrettanto bene poté invece procedere l'addestramento bellico, tanto che non poche deficienze emersero anche in esercitazioni del tempo di pace. Al momento della guerra italo-turca, il suo andamento positivo fece trascurare le lacune. La vera prova venne perciò nel primo conflitto mondiale, nel corso del quale la Marina Militare Italiana ebbe a soffrire la stessa crisi tecnica e organizzativa che colpì, seppure in varia misura, tutte le marine belligeranti: troppe navi corazzate, scarso naviglio silurante, sottovalutazione del sommergibile, nessuna preparazione a combatterlo. L'organismo navale reagì tuttavia con buona prontezza alla situazione, approntando tra l'altro un efficiente servizio aereo. La flotta da battaglia agì sostanzialmente da potenziale deterrente costringendo il nemico a rinunciare al serio tentativo di contrasto, mentre i mezzi insidiosi diedero ripetute prove del valore e dell'abilità con cui i loro equipaggi erano capaci di penetrare nei porti nemici per portare l'offesa alle navi che rifiutavano l'azione in mare aperto. Di particolare importanza furono inoltre due operazioni che impegnarono a fondo la Marina Militare Italiana: nel 1915 il salvataggio dei resti dell'esercito serbo in ritirata, svoltosi col concorso di forze navali franco-inglesi e, nel 1917, il decisivo appoggio dato all'attestamento del nostro esercito sul basso Piave e alla difesa di Venezia. Né va taciuta l'impresa, realizzata collaborando con gli Alleati entro la prima metà del 1918, consistente nello sbarramento totale del canale di Otranto, per rompere il quale la flotta da battaglia austriaca tentò, il 10 giugno 1918, l'unica uscita in forze (dopo quella delle prime ore del 24 maggio 1915), interrotta però dopo l'affondamento della corazzata Szent Istvan da parte del mas di Luigi Rizzo.

Storia: dal primo dopoguerra alle missioni ONU

Dopo il 1918 intervennero tuttavia fattori economici e politici che si opposero all'accoglimento delle più avanzate teorie di rinnovamento della flotta. Ne conseguirono la rinuncia alle portaerei, il rinnovato impegno nella costruzione di corazzate, lo scarsissimo sviluppo del naviglio antisommergibili, mentre la situazione era resa precaria dall'arretratezza nel campo della ricerca scientifica che portò l'Italia impreparata alla seconda guerra mondiale. L'assunto di dare alla Marina Militare Italiana una generica direttiva di “offensiva su tutta la linea” senza tener conto dell'obiettiva situazione di relatività navale, né fissare i precisi scopi della guerra marittima, si rivelò disastroso, aggravato da deficienze di preparazione e debolezza dell'apparato scientifico e industriale. Evitato dai belligeranti lo scontro fra squadre di corazzate, la lotta si polarizzò attorno alle rotte del Mediterraneo centrale (Italia-Libia, Italia-Albania, Malta-Gibilterra, Malta-Alessandria), sulle quali si combatterono le fasi decisive della guerra, dove l'Italia si trovò sempre costretta a condizionare l'iniziativa strategica al pregiudiziale soddisfacimento del compito logistico dei rifornimenti alla Libia e all'Albania, mentre gli Inglesi dovettero sopportare l'onere di tenere in vita la fortezza di Malta, assediata dal cielo e dal mare, per poter disporre costantemente di una base assai efficace ai fini del contrasto aeronavale ai convogli per la Libia. La parallela azione dei sommergibili dentro e fuori il Mediterraneo, condotta peraltro con concezioni tecniche e tattiche non adeguate ai tempi, diede risultati assai meno incisivi di quanto si fosse sperato sulla base dell'elevatissimo numero di battelli esistenti all'inizio della guerra, pur mettendo in rilievo le doti di comandanti ed equipaggi. Al momento della decisiva inversione delle fortune strategiche nel Mediterraneo (autunno 1942) la capacità bellica della flotta italiana era ormai assai ridotta, anche a causa della gravissima situazione dei rifornimenti di nafta. La cobelligeranza seguita alle vicende armistiziali fu affrontata dalla Marina Militare Italiana con grande spirito di adattamento, in mezzo a difficoltà d'ordine psicologico e materiale. Essa si esplicò essenzialmente in missioni di scorta al traffico, addestramento delle forze alleate alla guerra antisommergibili, trasporto truppe e azioni di commandos. Il trattato di pace del 1947 ridusse alla Marina Militare Italiana numero delle navi e infrastrutture; le fu proibito di possedere portaerei, sommergibili e velivoli, mine e mezzi insidiosi. Le furono lasciate le seguenti unità: corazzate: 2 (antiquate); incrociatori leggeri: 4 (di cui 1 fuori servizio); cacciatorpediniere: 4 (di cui 1 fuori servizio); avvisi scorta: 2; torpediniere: 14 (di cui solo 7 in efficienza); corvette: 19 pronte più 1 in allestimento. Gran parte delle unità aveva necessità di grandi lavori di rimodernamento e manutenzione, resi problematici dalle ristrettezze del bilancio. La situazione, tuttavia, è andata migliorando nel tempo. L'inserimento nella NATO ha consentito l'ammodernamento della flotta, l'addestramento tecnico di ufficiali, specialisti e marinai. Ancora una volta si è cercato di supplire con navi di alta qualità alla modesta consistenza numerica, sviluppando soprattutto l'armamento missilistico, l'artiglieria automatica, la componente elicotteristica imbarcata. Sensibili deficienze permangono tuttavia nel settore delle forze anfibie e della componente aerea ad ala fissa, mentre non si è ancora raggiunto un livello del tutto adeguato nel sostegno logistico mobile. Quanto ai progetti di unità a propulsione nucleare, ragioni politiche ed economiche hanno finora impedito di realizzarli. Con la realizzazione dei piani previsti dalla cosiddetta Legge Navale che avrebbero dovuto esaurirsi nel 1984 ma che in realtà sono arrivati sino ai primi anni Novanta, la Marina Militare Italiana ha cambiato fisionomia riuscendo a realizzare una modesta ma valida componente subacquea, un'adeguata forza di superficie ma soprattutto una componente aerea ad ala fissa imbarcata su un'unità portaeromobili, un moderno gruppo di unità anfibie e da sbarco, una efficace forza cacciamine e un corpo di fucilieri di marina. I numerosi impegni fuori area della Marina Militare Italiana (Mar Rosso, Golfo Persico, Somalia) e quelli prolungati per anni in Adriatico (crisi albanese e della ex Iugoslavia) hanno però portato a un superlavoro, causa di un non previsto quanto inevitabile logoramento dei mezzi.

R. Bernotti, Storia della guerra nel Mediterraneo - 1940-43, Roma, 1960; A. Iachino, Tramonto di una grande Marina, Milano, 1960; A. Fraccaroli, Italian Warships of WW II, Londra, 1968; idem, Italian Warships of WW I, Londra, 1970; R. Bernotti, Cinquant'anni nella Marina Militare, Milano, 1971.

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