Storia

(greco Skýthai; latino Scythae). Antica popolazione che abitava la parte meridionale della Russia costituendo un gruppo unitario. La regione era compresa tra i Carpazi e il Don: la parte orientale (tra Don e Dnepr) era formata da steppe. La regione era esposta alle invasioni ricorrenti di popoli nomadi. Si è supposto che gli Sciti fossero di origine mongola o finnica o ancora che fossero i predecessori degli Slavi. L'analisi dei nomi tramandati mostra che la loro lingua era iranica e quindi possibile indizio dell'origine iranica di questo popolo. termine Sciti, in senso ampio, comprende l'intera popolazione iranica della Russia meridionale; in senso stretto, è inteso quel popolo che ai tempi di Erodoto abitava a occidente del Don ed era considerato fino al sec. II a. C. come un'entità nazionale. L'invasione dei Sarmati portò alla sua rovina, benché il nome Sciti compaia sempre nelle fonti scritte accanto a quello dei Sarmati. Solo i Greci chiamavano Sciti questo popolo; tra di loro si chiamavano Skoloti. 'origine degli Sciti circolavano anticamente varie leggende che adducevano l'origine del popolo sotto la consueta forma di storia di famiglie: Targitaos, il primo uomo, avrebbe avuto tre figli: Leipoxais, Arpoxais e Kolaxais. A quest'ultimo, il più giovane, sarebbe toccato il tesoro caduto dal cielo e il regno. Tutti e tre sarebbero i capostipiti degli Sciti. I Greci collegavano invece l'origine degli Sciti con Ercole. Ambedue le leggende riportate da Erodoto presuppongono gli Sciti come autoctoni. Questo dato contraddice una notizia sempre di Erodoto (ma più credibile), secondo la quale gli Sciti sarebbero degli emigrati: la loro provenienza è incerta. Da Erodoto si può seguire la successione dei loro re per i sec. VII-V a. C. Quando gli Sciti cessarono di svolgere il loro ruolo politico autonomo, il loro nome divenne esclusivamente un'indicazione geografica di tutte quelle tribù nomadiche che abitavano la Sarmazia. Sciti in senso stretto occuparono la Russia meridionale nel sec. VII a. C. Parte degli invasori occupò anche la Mesopotamia superiore e la Siria (ca. 650-620 a. C.). Un'altra schiera attraversò i Carpazi fino al corso medio del Danubio. Ma il nucleo degli Sciti rimase nella Russia meridionale. truppe scitiche erano formate da arcieri a cavallo; il popolo era diviso in numerose tribù, ciascuna con i suoi pascoli separati. Ogni tribù era governata da un re e da capi subordinati sepolti in grandi tumuli (kurgans) insieme con i cavalli e il seguito. Gli Sciti conservarono le loro abitudini nomadi, sfruttando il lavoro delle popolazioni indigene, segnatamente nella zona della terra nera, ricca di grano, che vendevano ai Greci delle colonie del Mar Nero, comprando in cambio ceramica e metalli lavorati greci. Le loro tombe hanno restituito numerosi ornamenti d'oro (probabilmente dagli Urali), con decorazioni di animali e scene di caccia. Sciti, con il loro re Idanthyrsos, respinsero un'invasione del re persiano Dario intorno al 512 a. C.; nel 325 a. C. annientarono un corpo di spedizione condotto contro di loro da Zopirione, generale di Alessandro. Dopo il 300 a. C. vennero espulsi dai Balcani e dall'Europa centrale dai Celti e, a partire dal sec. III a. C., subirono analogo trattamento dai Sarmati a Oriente, nella loro più importante sede, la Russia meridionale. Nel sec. II a. C. Mitridate Eupatore si batté con successo contro gli Sciti che ancora reggevano un forte regno nel Chersoneso tracico (Crimea).

Religione

Gli autori classici, soprattutto Erodoto, ci forniscono sulla religione degli Sciti un elenco di nomi divini e alcune nozioni mitiche e rituali. È un materiale che, seppure integrato da numerosi reperti archeologici (soprattutto funerari), non permette di definire una religione organica. Gli studiosi hanno tentato di colmare la lacuna con costrutti congetturali tendenti, un tempo, a individuare la presenza di un "matriarcato" (espresso dal culto di una grande dea, Tabiti, che sarebbe raffigurata in un gran numero di statuette di terracotta rinvenute nell'area dei fiumi Bug e Donec) e, oggi, per lo più a privilegiare la funzione di uno sciamanesimo ritenuto basilare ai fini di una qualificazione della religione degli Sciti. Le divinità scitiche erano Tabiti, Papaios (Padre?), Api Goitosyros, Artimpasa, Thagimasadas, che Erodoto identifica rispettivamente con gli dei greci Estia, Zeus, Gea, Apollo, Afrodite e Posidone. Papaios e Api sono considerati marito e moglie. Il culto di Thagimasadas è attribuito non a tutti gli Sciti, ma soltanto ai cosiddetti Sciti Regi (o Regali). Inoltre c'è un dio, che Erodoto identifica con il greco Ares senza fornirci il nome scita, al quale venivano eretti simulacri e sacrari, a differenza degli altri dei che ne erano privi. Sulle pratiche rituali le testimonianze forniscono tre elementi sostanziali: sacrificio umano e culto dei crani, uso di stupefacenti, divinazione di tipo cleromantico. Il sacrificio umano, destinato ad Ares (rappresentato da una sciabola), era una pratica complessa eseguita a chiusura di una spedizione bellica: s'immolavano i prigionieri nella misura dell'uno per cento. L'identificazione nemico-vittima rituale è soggiacente anche ad altre pratiche, tra cui l'uso di bere il sangue dei nemici uccisi e quello di conservarne i crani e brani di pelle. Tra gli stupefacenti usati in vari rituali si ricorda il fumo della canapa, aspirato da un fuoco comune.

Arte

L'arte degli Sciti, aspetto particolare della cosiddetta arte delle steppe, è nota soprattutto dai corredi delle grandi tombe a tumulo (kurgans) del territorio che essi occuparono tra i sec. VII e III a. C. tra Danubio e Don, e non è sempre facilmente distinguibile sia dall'arte dei Traci, nota da ritrovamenti in Bulgaria, Romania, Ungheria, sia dall'arte dei Cimmeri, che vivevano prima degli Sciti sulle rive del Mar Nero; si considerano tuttavia scitiche o scitico-siberiane anche le manifestazioni artistiche – anche più tarde – delle popolazioni nomadi o seminomadi di tutte le steppe eurasiatiche sino alla Cina settentrionale. È probabile che l'arte scitica si sia formata alla periferia del regno assiro tra le tribù dell'Iran. Elementi scitici sono presenti, insieme a elementi assiri, nel tesoro di Ziwīyeh nel Kurdistan iranico (sec. VII a. C.?), mentre nei complessi scitici più antichi (inizio sec. VI a. C.), come i tumuli di Kelermes o di Kostromskaja nel Kuban (ricche sepolture di capi tribù con schiavi e cavalli sacrificati) o il tesoro di Melgunov nel bacino del Dnepr, sono presenti forme assire, iraniche, urartiche; tombe scitiche sono anche a Karmir-Blur, città urartea occupata dagli Sciti dopo il 600 a. C. L'arte degli Sciti è limitata essenzialmente alla decorazione di oggetti di uso pratico: le armi, le vesti, i finimenti da cavallo e gli oggetti di arredamento sono ornati da figurazioni zoomorfe singolarmente stilizzate (v. animalistica, arte-). Eccezionali sono le oreficerie in oro e in elettro (oro pallido); l'aggiunta di smalti, piuttosto rara sulle coste del Mar Nero, è invece frequente nell'arte scitico-siberiana. Il repertorio animalistico fondamentale resta per gran parte costante, ma al cervo, animale totemico delle popolazioni scitiche, si aggiungono l'alce e la renna, e la pantera e il leone si confondono in qualche caso col lupo e l'orso; figure del repertorio mitologico greco (grifoni, sfingi) vengono rielaborate localmente, e si creano nuovi esseri fantastici come un rapace con corna di cervo. Le figure appaiono in un primo tempo espressivamente realistiche, mentre dal sec. IV a. C. i motivi ornamentali prevalgono su quelli figurativi, e diventano più comuni le parti isolate (testa, corna, orecchie, zampe, zoccoli, artigli) di animali o mostri non sempre riconoscibili. Notevole è nell'arte scitica l'influenza dell'arte iranica degli Achemenidi, soprattutto nel Kuban (recipienti lignei con rivestimenti aurei di Semibrat), ma ancora maggiore è quella delle città greche delle coste del Mar Nero: nei tumuli del sec. IV a. C. di Soloha, Čertomlyk si trovano anche oggetti fabbricati nelle colonie greche in stile scitico od oggetti di forma locale lavorati in stile greco.

Bibliografia

M. Gibellino-Krascennicowa, Gli Sciti, studio storico-archeologico, Roma, 1942; T. Talbot Rice, The Scythians, Londra, 1957; A. Momigliano, Quinto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, 1975; R. Beecham, Scythian Art, Londra, 1986.

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