apprendiménto

Indice

Lessico

sm. [sec. XIII; da apprendere]. L'apprendere e, più rar., l'apprendersi: apprendimento di nozioni culturali. Per l'apprendimento in etologia, in psicologia e pedagogia e nell'organizzazione aziendale vedi apprendimento (etologia), apprendimento (psicologia e pedagogia), apprendimento (organizzazione aziendale).

Biochimica

Interessanti acquisizioni si sono avute nel campo della biochimica dell'apprendimento, soprattutto per merito del neurofisiologo H. Hydèn. Le teorie e le esperienze di questo autore scaturiscono sostanzialmente dall'osservazione che il contenuto di acido ribonucleico (RNA) delle cellule nervose aumenta durante il processo dell'apprendimento e che vari fattori possono influire negativamente sulla dinamica di tale processo; tra questi l'enzima ribonucleasi, che provoca la distruzione dell'acido ribonucleico; le sostanze che bloccano la sintesi dell'RNA, quali l'antibiotico puromicina; alcuni veleni endogeni di origine intestinale ed epatica, responsabili delle cosiddette “autointossicazioni”, o provenienti dall'usura metabolica propria dell'invecchiamento cellulare. Come è noto, esistono differenti tipi di RNA, ognuno dei quali interviene con funzioni specifiche nei processi di biosintesi delle proteine cellulari. Secondo Hydèn esisterebbe nelle cellule nervose un tipo particolare di RNA avente la specifica veste di “molecola della memorizzazione”. Tale sostanza sarebbe infatti deputata a captare gli stimoli e le esperienze ambientali e a convogliarli nelle loro sedi di immagazzinamento come “informazioni materializzate”; queste sarebbero sostanze proteiche coniate appositamente per rimanere depositarie dell'informazione ricevuta. La capacità di apprendimento è considerata una tipica funzione cerebrale che richiede, nell'ambito dei processi di tipo discriminativo, la diretta partecipazione della corteccia. Va tuttavia rilevato che fenomeni di apprendimento si realizzano, pur in forme non elevate, anche in animali decorticati, in specie animali prive della corteccia cerebrale nonché, probabilmente, in organismi unicellulari. È stato dimostrato che farmaci e agenti chimici di varia natura, somministrati nell'uomo o in animali di laboratorio, possono influenzare i processi dell'apprendimento in senso positivo oppure negativo. In linea generale agiscono in senso facilitatorio le sostanze capaci di acuire l'attenzione, di facilitare le reazione a stimoli diversi o di accrescere le capacità ideative. A tale proposito significativi risultati sono stati ottenuti con vari defaticanti psichici, psicoanalettici e altri farmaci neuro-psicotropi che agiscono sulla cinetica e sul metabolismo dei neuro-mediatori chimici nel sistema nervoso centrale o sul tono dei vasi sanguigni cerebrali, migliorando l'ossigenazione cellulare e l'allontanamento dei cataboliti tossici dalle cellule nervose. Tra i farmaci che sperimentalmente mostrano spiccate proprietà facilitatorie nei processi di apprendimento vi sono la caffeina, la stricnina, gli antiamminossidasici, gli anticolinesterasici, l'amfetamina, la nicotina. Va inoltre ricordata la pemolina di magnesio o Deltamina®, la quale, accanto all'azione facilitatoria sull'apprendimento, possiede effetti attivanti sull'enzima RNA-polimerasi, che determinano un aumento della sintesi di RNA nelle cellule nervose. Effetti analoghi a quelli della pemolina possiedono altri composti, quali il tricianoamminopropene e il malononitrile. Numerosi farmaci tranquillizzanti, antiansiosi, ipnotici, antistaminici a opportune dosi e in determinate condizioni sperimentali deprimono le capacità di apprendimento con meccanismi ritenuti aspecifici, legati, cioè, alle proprietà neurodeprimenti di tali composti. Effetti dello stesso tipo possiedono alcuni inibitori della sintesi proteica (puromicina, actinomicina, cloramfenicolo). Queste ultime osservazioni hanno suscitato grande interesse; tuttavia vari elementi suggeriscono che l'effetto negativo sull'apprendimento della puromicina e simili non sia legato tanto all'inibizione della sintesi di proteine cerebrali quanto a un'azione aspecifica neurotossica che determina la parziale compromissione di meccanismi coordinativi e associativi.

Cibernetica

Una macchina, per esempio un calcolatore o un robot, può essere in grado di apprendere, nel senso che l'ambiente esterno può esercitare su di essa un'influenza che ne modifica il comportamento in maniera anche non contingente, cioè in modo tale che la modifica nel comportamento si mantiene anche dopo che è cessato lo stimolo esterno che l'ha prodotta. In un senso più rigoroso, si può dire che una macchina apprende soltanto quando in essa è presente un programma che le impone di servirsi dell'esperienza in un dato modo. I programmi di apprendimento sono stati sviluppati fondamentalmente nell'ambito del riconoscimento di forme, per esempio per mezzo di reti neuronali. Si parla di apprendimento supervisionato nel caso in cui un controllore del processo conosce le soluzioni corrette o desiderate e può intervenire a correggere o confermare il risultato prodotto dal programma, cioè la classificazione di un insieme di dati sotto una certa categoria. In base al feedback dell'utente il programma modifica i valori dei propri parametri interni, in modo da rafforzare le soluzioni corrette a scapito di quelle indesiderate. Nell'apprendimento senza supervisione il programma possiede un limite sul numero di categorie in cui possono essere classificati i dati, e adatta i propri parametri in modo da minimizzare una qualche funzione obiettivo in modo che insiemi di dati simili vengano classificati nello stesso modo. I dati in ingresso all'algoritmo di apprendimento possono essere i dati originali, oppure vettori di descrittori, numerici o simbolici. Meccanismi di apprendimento possono anche essere realizzati nei cosiddetti sistemi embedded, cioè montati su dispositivi destinati a svolgere attività nel mondo fisico e attività autonome in assenza di operatori umani. Un esempio tipico è l'apprendimento di percorsi da parte di robot semoventi.

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