costume

Indice

Lessico

sm. [sec. XIII; latino volg. costumen, per il classico consuetūdo-ínis, consuetudine].

1) Modo abituale di pensare, di comportarsi: è suo costume essere schietto. Più genericamente, abitudine, consuetudine: aver costume, avere per costume, usare, essere solito.

2) Abito, condotta morale: costumi semplici, onesti, corrotti; mal costume, non conforme ai principi della morale; squadra del buon costume, composta da funzionari di pubblica sicurezza e preposta alla tutela dei principi della moralità pubblica.

3) Atteggiamento di una società di fronte a certi fenomeni della vita sociale: fatti di costume; fenomeni di costume; romanzi di costume. Nel gergo giornalistico, pezzo di costume è un articolo che si propone di illustrare i cambiamenti della società prendendo spunto anche da una notizia che all'apparenza non sembra rivestire un'importanza particolare. Il termine sta anche a indicare un brano di commento inserito in un articolo per alleggerirne il tono o per fornire ulteriori spunti di riflessione.

4) Modello di comportamento ricalcato con elevata regolarità dai membri di una società determinata, che può pertanto essere considerato tipico di questa società. I costumi possono essere analiticamente distinti dalle norme e dalle leggi, anche se quasi sempre vi è un rapporto o una corrispondenza fra gli uni e le altre: i costumi di una tribù; costumi barbari, civili; i costumi dei Romani.

5) Foggia di vestire tipica di un determinato popolo in una precisa epoca storica. Il costume si trasforma relativamente poco nel corso dei secoli, differenziandosi dalla moda internazionale che è in continuo evolversi: costume sardo, nazionale. Nel linguaggio della moda, definisce un tipo di abbigliamento riservato a una particolare funzione od occasione: costume da cavallerizzo, costume per carnevale; costumi teatrali ; costume da bagno. § I primi costumi da bagno risalgono alla fine dell'Ottocento, quando cominciò a diffondersi l'uso dei bagni all'aria aperta nelle località balneari. I costumi femminili erano costituiti da un vero e proprio vestito di cotone che copriva dei lunghi mutandoni stretti sotto al ginocchio. Il costume maschile era in maglia di lana, generalmente a righe. L'evoluzione nel campo della moda e del gusto ha portato a creazioni di modelli sempre più semplici, in maglia o tessuto elasticizzato, fino ad arrivare al costume da bagno odierno, costituito da slip o pantaloncini corti per gli uomini e da un succinto indumento a uno o a due pezzi per le donne.

6) Ant., condizione; qualità, proprietà.

Teatro

Tutto ciò che l'attore indossa in scena per caratterizzare un personaggio: ne fanno perciò parte anche la maschera, la truccatura, la parrucca e ogni altro accessorio. Il teatro greco-romano stilizzò nel costume abiti arcaici o coevi, in connessione col genere drammatico. Gli attori tragici portavano alti zoccoli (coturni), vesti imponenti, parrucche rialzate; quelli comici un farsetto col ventre imbottito e fallo grottesco; il coro satiresco vestiva pelli di animali. Il dramma liturgico medievale utilizzò le vesti talari, trasferendole poi nella sacra rappresentazione a indicare le creature celesti; i demoni portavano costumi animaleschi e i personaggi umani vestivano secondo la foggia corrente. La rappresentazione rinascimentale e poi quella barocca distinsero nuovamente il costume secondo il genere drammatico: usavano abiti alla moda per le commedie e li contraffacevano “all'antica” mediante motivi ornamentali nella tragedia; agli altri generi (intermezzi, mascherate, balletti, opera-torneo) erano invece riservati costumi di fantasia, liberi nel taglio e nell'invenzione. Un posto a sé occupano le maschere della Commedia dell'Arte, Arlecchino, Brighella, Balanzone, Pantalone, Capitano, cristallizzazioni di maschere regionali in connessione con ruoli ricorrenti della commedia. Nel Settecento, l'opera buffa e l'opera seria accolsero costumi contemporanei, vistosamente deformati da tonnelets e paniers. La riforma del costume, teorizzata dal neoclassicismo sulle basi della ricostruzione storica e della verosimiglianza, si attuò sul finire del secolo con F. G. Talma (Comédie-Française). Tali principi, rispettati scrupolosamente dal teatro romantico e realistico-naturalista, restano validi, anche se controbilanciati dalla posizione delle correnti novecentiste d'avanguardia che riaffermano la necessità di un costume-simbolo, a volte addirittura aberrante (espressionismo, surrealismo) o astrattizzante (futurismo, costruttivismo). Nel teatro orientale il costume, strettamente legato all'origine magica o rituale dello spettacolo, ha assunto, come avviene anche per i gesti e le movenze dell'attore, un'accentuata funzione di simbolo. Il fenomeno, ricco di varianti da Paese a Paese, è ampiamente esemplato, nella sua più rigida applicazione, dal teatro cinese tradizionale, nel quale la foggia e i colori delle vesti e persino la varietà del trucco indicano, talvolta con variazioni appena percettibili, grado, qualità e carattere del personaggio.

Cinema

Il costume e l'arte del costumista o del figurinista che lo crea e lo controlla seguono leggi diverse che in teatro, così come diversa è l'“angolazione” dei due linguaggi. In palcoscenico, il costume va goduto nella sua interezza, sullo schermo può esser visto anche parzialmente; comunque il suo legame col personaggio che lo indossa è più stretto, come più vicino è il rapporto tra costumista e scenografo. Inoltre il cinema, per la sua popolarità e diffusione, segue la moda, o ne è stimolo, tanto che non poche furono le attrici a influire su di essa o a segnare un'epoca (A. Nielsen, L. Brooks, G. Garbo, M. Dietrich, Mae West, M. Monroe, B. Bardot, ecc.). Se ai primordi del cinema il divario dal teatro non è eccessivo, appena esso affronta la stilizzazione (futurismo italiano, espressionismo tedesco, costruttivismo russo, impressionismo francese) anche il costume assume un valore espressivo determinante. Così, nel comico, l'abito e il modo di portarlo caratterizzano i personaggi fissi di certi attori. Nel film storico, detto talvolta film “in costume”, è spesso il costume la spia del valore semplicemente ornamentale, oppure psicologico o addirittura ideologico (come in Ejzenštejn) della messinscena.

Danza

Dapprima ispirato alla moda di corte (con il ballo aulico) o alla vita reale, il costume si arricchì poi sempre più di fregi e di ornamenti stravaganti, ricorrendo anche all'uso di maschere, a danno dell'essenzialità e del movimento. Con la riforma di J.-G. Noverre, alla fine del Settecento, vennero abbandonati ricchi e pesanti costumi in favore di vesti più leggere. Agli elaborati abiti a panier e alle scarpe con gli alti tacchi succedettero tuniche modellate e calzari e sandali legati alla caviglia. L'uso di stoffe trasparenti (introdotto da Didelot nel 1791) portò all'adozione di costumi aderenti o calzemaglie, la cui invenzione è attribuita al costumista Maillot dell'Opéra di Parigi. Con il balletto romantico fu introdotto il tutù, che si vuole ideato da Eugène Lami (per la Sylphide di Maria Taglioni, 1832) e che fu in seguito accorciato. Un mutamento radicale fu introdotto al principio del Novecento dai primi pionieri della danza libera: Maude Allan, Isadora Duncan, Loie Fuller, e in seguito Rudolf Laban e Mary Wigman. La Duncan, in particolare, abolì le scarpette, preferendo danzare a piedi nudi, e propagandò le semplici tuniche trasparenti all'uso greco, che sollevarono un certo scandalo nella buona società di quel periodo ma, allo stesso tempo, furoreggiarono e crearono una moda, influenzando anche coreografi classici come Fokin. Tuniche all'uso greco e calzari indossavano gli stessi interpreti del celebre Après-midi d'un faune, coreografato nel 1912 dal giovane Nijinskij per i celebri Ballets Russes di Djagilev. Proprio quest'ultimo promosse a suo modo una rivoluzione anche nel costume, affidandone il disegno a celebri artisti e stilisti e di fatto svincolandolo dalle antiche servitù di genere (balletto romantico: gonna al ginocchio; balletto classico: tutù più corto, ecc.,) che peraltro si mantennero inalterate nei teatri di tradizione, con pochi mutamenti fino ai nostri giorni. Dopo l'esotismo e il decorativismo della grande stagione djagileviana e le sperimentazioni del modernismo centroeuropeo di Laban, Jooss e della Wigman (che andavano dall'assoluta nudità a costumi ispirati al folclore e alle maglie dello sport, fino a elaborate creazioni di artisti visivi), negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo fu Balanchine a influenzare grandemente l'evoluzione del costume nel balletto, presentando di preferenza i suoi interpreti in smilzi costumi e tunichette di maglia elastica, bianchi o neri, in tutto e per tutto simili all'abbigliamento utilizzato dai ballerini per la “classe” quotidiana. Nel campo della modern dance americana si affermavano intanto negli stessi anni le creazioni di Martha Graham (celebri i suoi pigiama-palazzo, di cui è considerata l'inventrice) e le semplici calzemaglie colorate di Merce Cunningham. Fra i due si collocano gli esperimenti tra costumistica e scenotecnica compiuti da Alvin Nikolais che, riprendendo antiche intuizioni di Loie Fuller (divenuta celebre per gli emozionanti giochi di luce che era capace di creare con leggerissime e svolazzanti tuniche di veli), cominciò a proiettare – secondo una tecnica divenuta poi distintiva della sua arte – fasci e macchie di luce sul corpo dei ballerini, mutandoli in figure geometriche o astratte e cancellandone di fatto i tratti somatici, creando un tutt'uno tra costume, interprete e scenografia. Con l'invenzione e l'uso su larga scala delle fibre sintetiche elasticizzate, i costumi per la danza moderna e per il balletto diventavano negli anni Sessanta sempre più simili fra loro. Come reazione a quella che era divenuta ormai una sorta di divisa (la calzamaglia di lycra), negli anni Settanta, la post-modern dance americana aboliva di fatto – con poche eccezioni – l'uso del costume di gusto e ispirazione teatrale, proponendo semplici tute di cotone, magliette, calzoncini e canottiere nonché, al posto dei piedi nudi, scarpette da ginnastica (sneakers) come quelle degli atleti. I primi anni Ottanta vedevano esplodere in Europa la passione per la trouvaille anni Trenta e Quaranta, sulla scia delle memorabili “creazioni” di Marion Cito per Pina Bausch. In Francia si affermava poi anche una raffinata linea di ricerca stilistica, culminata in alcune operazioni congiunte moda-coreografia, di cui ne sono un esempio il balletto Défilé, coreografato da Régine Chopinot con costumi dello stilista Jean-Paul Gaultier, e le ripetute collaborazioni di Maurice Béjart con Gianni Versace. Si assisteva poi a un generale ritorno al costume teatrale, concepito e pensato per l'interprete-ballerino, sia per quanto riguarda la creazione contemporanea che per il grande balletto di repertorio, con accentuazione, nel caso di quest'ultimo, per ricerche che ne documentino filologicamente l'origine storica (per esempio, i costumi di Yolanda Sonnabend per l'edizione del Lago del cigni curata da Antony Dowell per il Royal Ballet di Londra nel 1987).

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