Definizione

Nella fisica classica, passaggio di una sostanza dallo stato solido a quello liquido. Nella fisica nucleare, il processo che porta all'unione di nuclei leggeri, con emissione di energia.

Fisica: passaggio di stato

Gli atomi di una sostanza allo stato solido sono ordinati secondo strutture reticolari caratterizzate da gradi di simmetria cui corrispondono determinate forze di legame. Per effetto dell'energia interna che compete a ogni atomo, questi hanno la possibilità di scostarsi, oscillando, dalla posizione di equilibrio imposta dalle forze di legame nella struttura cristallina. Al crescere della temperatura, aumenta l'energia interna di ciascun atomo e quindi aumenta lo scostamento dall'equilibrio e, quando l'energia interna raggiunge valori tali da vincere le forze di legame reticolari, gli atomi sono in condizione di allontanarsi dalla posizione rigida imposta dalla struttura cristallina e di assumere una configurazione disordinata, tipica dello stato liquido. La temperatura alla quale un solido fonde è detta punto (o temperatura) di e si mantiene costante sino a che tutto il corpo non è passato allo stato liquido. La quantità di calore che bisogna fornire all'unità di massa alla temperatura di fusione per la demolizione della struttura cristallina è detta calore latente di . "Per la temperatura e il calore latente di fusione dei principali metalli a pressione atmosferica vedi tabella al lemma del 9° volume." "Per la tabella della temperatura e del calore latente di fusione dei principali metalli a pressione atmosferica vedi pg. 232 del 10° volume." Queste due grandezze variano da solido a solido e sono ben definite per una determinata sostanza in condizioni di pressione costante. La temperatura di una sostanza pura durante il riscaldamento continua ad aumentare sino a raggiungere un valore T, detto temperatura o punto di , quando, al tempo t, il corpo incomincia a fondere. La temperatura resta costante sino al tempo tquando l'ultima parte del corpo ha finito di fondere. "Per la curva di riscaldamento di una sostanza solida vedi il grafico a pg. 233 del 10° volume." . "Per la curva di riscaldamento di una sostanza solida vedi grafico al lemma del 9° volume." L'andamento della temperatura in funzione del tempo è caratterizzato da una curva, detta curva di riscaldamento, o curva di , che presenta un pianerottolo (temperatura costante) tra t e t (tempi di inizio e fine della fusione). Nel caso di sostanze non pure, e in particolare leghe metalliche, le curve di riscaldamento possono presentare andamenti diversi in funzione della composizione chimica; inoltre, come accade per le sostanze amorfe o vetrose, spesso esse non presentano un punto di fusione, bensì un intervallo di temperature in cui la fusione si realizza. "Per l’andamento della curva di riscaldamento di una soluzione vedi il grafico a pg. 233 del 10° volume." . "Per l'andamento della curva di riscaldamento di una soluzione vedi grafico al lemma del 9° volume." "Per approfondire Vedi Gedea Astronomia vol. 1 pp 275-276; vol. 2 pp 286-291" "Per approfondire Vedi Gedea Astronomia vol. 1 pp 275-276; vol. 2 pp 286-291"

Fusione nucleare: generalità

Processo, detto anche di termonucleare, nel quale due nuclei atomici leggeri si fondono per produrre un nucleo più pesante, con emissione di grandi quantità di energia, particolarmente di energia cinetica, da parte dei prodotti della reazione. Se si calcola la massa di un dato nucleo M facendo la somma algebrica delle masse dei suoi costituenti e la si confronta con la massa del nucleo stesso effettivamente misurata, si constata che è minore di M: la massa mancante (difetto di massa) si è trasformata in energia. Questo difetto di massa, che si manifesta, quindi, quando due nuclei si fondono a formarne un terzo, è particolarmente rilevante quando il processo di fusione interessa i nuclei più leggeri (nucleo di idrogeno, di deuterio, di trizio). Dato che il raggio d'azione delle forze nucleari è piccolissimo, affinché avvengano reazioni di fusione occorre che i nuclei si avvicinino moltissimo l'uno all'altro, ma a questo avvicinamento si oppone la repulsione elettrostatica fra cariche dello stesso segno (i nuclei sono carichi positivamente) che, anche se meno intensa delle forze nucleari, ha un raggio d'azione molto grande. Supponendo che uno dei nuclei interessati alla fusione sia quello dell'idrogeno, cioè un protone, la barriera che incontrerà sarà tanto più alta quanto più pesante è l'altro nucleo: bisogna, dunque, comunicare ai protoni l'energia sufficiente a penetrare la barriera. È evidente che le fusioni che si ottengono da combinazioni a due a due dei tre tipi di nuclei idrogenoidi (protone, deuterone, tritone), sono le più interessanti, dal punto di vista pratico, oltre che per la grande quantità di energia liberata, anche perché l'innesco della reazione richiede la minor quantità di energia fra quelle necessarie per le reazioni termonucleari, essendo la barriera coulombiana una delle più basse. L'energia cinetica necessaria per ottenere la fusione può essere fornita ai protoni con l'agitazione termica, anche se è molto elevata: per esempio quella necessaria per innescare i processi di fusione con nuclei di idrogeno è dell'ordine di alcune decine di migliaia di elettronvolt e viene raggiunta se si porta l'idrogeno alla temperatura di alcuni milioni di kelvin. A queste temperature il gas si presenta in uno stato particolare: gli atomi di idrogeno sono completamente nudi, cioè il gas è completamente ionizzato ed è detto plasma.

Fusione nucleare: contenitori

Il combustibile nucleare allo stato di plasma dovrebbe rimanere in tale stato e a tale temperatura almeno per un tempo inversamente proporzionale alla sua densità. Il problema fondamentale per lo sfruttamento della fusione termonucleare a scopi pacifici risulta quindi proprio quello di trovare un contenitore per il plasma: dati gli altissimi valori di temperatura non potrebbe esistere recipiente materiale in grado di contenere, nel senso comune del termine, un plasma. Nel 1950 A. Sacharov e I.E. Tamm nell'URSS, proposero come contenitore un campo magnetico (vedi oltre). Da allora gli sviluppi delle tecniche di contenimento dei plasmi hanno subìto notevoli progressi. Nella bomba all'idrogeno (bomba H), invece, il problema del contenimento del plasma riguarda solo il breve tempo necessario affinché la fusione interessi tutto il plasma, quindi bastano involucri materiali altamente resistenti e refrattari. Per ottenere la temperatura di innesco di un ordigno termonucleare viene usata una bomba atomica (bomba A), cioè una bomba basata sulla fissione nucleare. Il carburante leggero per la bomba H non ha limitazione di massa critica, pertanto la potenza distruttiva è enorme e vincolata solo all'ingombro della bomba stessa. Un'ulteriore limitazione può essere data dalla resistenza da conferire all'involucro in modo che non esploda fino a che la fusione non si è realizzata in tutto il materiale fusibile. Gli effetti della bomba H sono della stessa natura di quelli della bomba A, ma enormemente più grandi.

Fusione nucleare controllata: appararati

Gli apparecchi sperimentali di maggior interesse per l'ottenimento della fusione controllata sono noti come Tokamak. Il Tokamak è una macchina di forma toroidale, all'interno della quale, per mezzo di intensi campi magnetici, viene confinato il plasma combustibile. Sempre per mezzo di campi magnetici, vengono indotte nel plasma delle forti correnti elettriche per riscaldarlo. La caratteristica principale di un Tokamak è il parametro di confinamento del plasma; questo è dato dal prodotto tra il tempo caratteristico di raffreddamento del plasma e la sua densità (nuclei per metro cubo). Più alto è il parametro di confinamento, ovvero più lentamente si raffredda il plasma e più è denso, migliori sono le sue prestazioni. Questo parametro dall'inizio delle ricerche è aumentato molte decine di volte per consentire l'ignizione del plasma, intendendo con questo termine la capacità del plasma di riscaldarsi con il calore che esso stesso produce e quindi, in definitiva, di consentire una produzione continua di energia. La ricerca punta anche allo sviluppo della tecnologia per la realizzazione di un reattore utilizzabile in una centrale di energia elettrica. Sono allo studio, inoltre, metodi per l'innesco della reazione di fusione mediante l'impiego di raggi laser (la cosiddetta inerziale). Sagomando opportunamente l'impulso di un laser di potenza a più fasci, focalizzati su una pasticca di deuterio e trizio, si può produrre su essa una fortissima compressione per cui un modesto, ma estremamente rapido riscaldamento, effettuato con l'energia residua del laser, è sufficiente a innescare la reazione. L'esplosione che ne deriva potrebbe essere contenuta in una modesta cavità metallica da progettare per ripetuti scoppi con piccoli danni.

Fusione nucleare controllata: cenni storici

La storia della fusione termonucleare controllata inizia nel 1929, quando i fisici Atkinson e Houtermans, considerando la relazione di A. Einstein sull'equivalenza tra massa ed energia predissero, che dalla fusione di nuclei leggeri, per esempio di idrogeno, si sarebbe ottenuta una grande quantità di energia. La teoria della fusione termonucleare fu però elaborata quantitativamente dal fisico H.A. Bethe, che per essa vinse il premio Nobel 1968. Il primo fiotto di plasma,di 1 kA, del tutto instabile, fu creato nel 1947 in un recipiente di vetro ad alto vuoto a forma di toro dei laboratori dell'Imperial College di Londra. La prima dichiarazione, e primo falso allarme, di aver prodotto la fusione nucleare calda controllata si ebbe nel 1951, in Argentina. Nel 1952, E. Teller, il padre della bomba all'idrogeno americana, cominciò a studiare la fusione controllata tramite il confinamento inerziale del plasma ottenuto con potenti laser. Nel 1952 fu fatta esplodere la prima bomba all'idrogeno e due anni dopo, in Gran Bretagna, a Harwell, cominciò a funzionare la macchina Zeta, il primo dispositivo toroidale stabilizzato per il confinamento del plasma. Nel 1958 sembrò dapprima che Zeta fosse riuscita a produrre la fusione, ma anche in questo caso si trattò di un falso allarme e le macchine di questo tipo (a strizione del plasma) vennero abbandonate. Il 1968 fu un anno decisivo: la macchina sovietica T-3, proposta nel 1950 dai fisici sovietici I. Tamm e A. Sacharov, dimostrò di essere molto superiore a quanto fosse possibile aspettarsi. La macchina, chiamata Tokamak, fu così scelta come prototipo anche dai fisici occidentali per la maggior parte delle successive esperienze sulla fusione controllata. Nel 1976 cominciò la progettazione del primo grande Tokamak, il JET, Joint European Torus, frutto di un'ampia collaborazione dei paesi europei, da costruire a Culham, a sud-est di Oxford in Gran Bretagna. Completato nel 1983, il JET produsse il suo primo plasma nel 1983. Subito dopo, nel 1985, cominciò a funzionare anche il primo grande Tokamak giapponese, il JT-60. Anche negli Stati Uniti, tra il 1982 e il 1997, al Princeton Plasma Physics Laboratory (PPPL), funzionò una grande macchina per la fusione, il Tokamak Fusion Test Reactor (TFTR). Questo Tokamak segnò numerosi record, tra i quali una temperatura del plasma di 510 milioni di gradi, ben superiore ai 100 milioni richiesti per la fusione. Dai progressi ottenuti da JET, JT-60 e TFTR, nacque l'idea di un grande reattore sperimentale con partecipazione mondiale, l'ITER, International Thermonuclear Experimental Reactor. Mentre i tempi della realizzazione del sogno di energia illimitata a buon mercato si allungavano sempre più, nel 1989, due fisici dello stato dello Utah, Pons e Fleischmann (vedi oltre), annunciano di aver realizzato esperimenti di fusione termonucleare a temperatura ambiente (fusione fredda). Nessuno riuscì però a riprodurre più l'esperimento. Intanto gli esperimenti con TFTR e JET proseguivano e, nel 1993, TFTR, usando 50% di deuterio e 50% di trizio, produsse la potenza di 10 megawatt in una reazione di fusione controllata. Quattro anni dopo JET raggiunse il valore di 16 megawatt; ulteriori esperimenti condotti tra il 2015 e il 2022 hanno permesso di ottenere significativi risultati in termini di stabilità e durata dell’emissione di energia. Anche JT-60, nel 1998, fece un nuovo exploit raggiungendo per il fattore Q (rapporto tra energia spesa ed energia prodotta per fusione) il valore insuperato di 1,25. Mentre, nonostante il ritiro degli Stati Uniti, il progetto ITER continuava a progredire con il contributo di Unione Europea, Federazione Russa, Giappone e Canada, il Giappone propose come sito per l'installazione Rokkasho, in Giappone, e l'Unione Europea Cadarache in Francia. Nel 2004 gli Stati Uniti abbandonarono il proprio progetto di fusione, FIRE, e rientrarono nella collaborazione ITER, quando ancora non era stato deciso il sito del reattore sperimentale. Nel dicembre 2022 ha destato grandi aspettative l’annuncio degli scienziati del Lawrence Livermore National Laboratory (laboratorio di ricerca del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti d'America) di aver innescato una fusione nucleare in grado di produrre per la prima volta più energia di quella necessaria per attivarla. L’esperimento, condotto concentrando 192 fasci laser verso un piccolo cilindro contenente deuterio e trizio, ha consentito di sviluppare una notevole quantità di energia a fronte di un modesto consumo di combustibile. Un passo che potrebbe rivelarsi fondamentale nella produzione di energia abbondante, sicura ed eco-sostenibile.

Fusione nucleare: reazioni

Le reazioni di fusione termonucleare più interessanti, perché da esse può essere tratta vantaggiosamente energia, sono:

Le due ultime reazioni sono di particolare interesse a causa della presenza, fra i prodotti di reazione, del neutrone; questo, infatti, urtando gli atomi che incontra, contribuisce all'agitazione termica del plasma e serve quindi a mantenere la temperatura del miscuglio al valore di innesco, compensando le perdite di energia. Le reazioni termonucleari hanno la loro sede naturale nelle stelle dove sono le responsabili della produzione delle enormi quantità di energia che ne giustificano la brillantezza e il calore. Nelle stelle la fusione di nuclei leggeri si avvale spesso dell'aiuto di catalizzatori, cioè di elementi che partecipano alla sintesi senza subire trasmutazioni definitive. Così nel Sole l'energia è in massima parte prodotta dalla sintesi di quattro protoni in un nucleo di elio, attraverso una serie di processi accompagnati da decadimenti β e γ che sfruttano come catalizzatore il carbonio di massa 12. È questo il ciclo di Bethe o del carbonio.

Fusione nucleare fredda

La fusione nucleare controllata, realizzata con Tokamak e con laser, avviene ad altissima temperatura ed è per questo chiamata calda. In passato, però, sono stati condotti, peraltro senza successo, esperimenti per ottenere la fusione nucleare controllata a temperature molto più basse, la cosiddetta fredda. Per ottenerla, sono stati effettuati due tipi di esperimenti. Nel primo tipo, la fusione fredda era una tecnica basata su catalizzatori costituiti da muoni negativi. Fu ideata alla fine degli anni Cinquanta dai sovietici I.M. Frank e A. Sacharov e sviluppata in seguito da V.P. Dzelepov (1957) e da E.A. Vesman (1967). L'idea alla base di questa tecnica è quella di sostituire un elettrone di un atomo di trizio o deuterio con un muone, che è una particella con la stessa carica elettrica dell'elettrone, ma con una massa 100 volte superiore. A causa del segno della sua carica, il muone dovrebbe facilitare la reazione di fusione. Il grosso handicap risiede nella lentezza del processo di fusione: infatti il muone decade in tempo molto minore di quello richiesto dalla reazione per cui scompare prima di aver innescato la fusione. Il secondo gruppo di esperimenti di fusione fredda fu annunciato il 23 marzo 1989 da due ricercatori del dipartimento di Elettrochimica dell'Università dello Utah, Martin Fleischmann e Stanley Pons. Nel loro esperimento due barrette di metallo, una di palladio e una di platino, erano immerse in una vaschetta contenente acqua pesante e collegate a un generatore di corrente continua così da indurre nel liquido una debole corrente elettrica. Questa corrente avrebbe liberato (per elettrolisi) atomi di deuterio allo stato gassoso che, in un secondo tempo, sarebbero stati assorbiti dall'elettrodo di palladio. All'interno del palladio, i nuclei di deuterio si sarebbero poi disposti (vincendo la repulsione elettrica tra i nuclei) uno vicino all'altro sino a fondersi insieme. La prova dell'avvenuta fusione, secondo Fleischmann e Pons, sarebbe stata il rilascio da parte dell'acqua pesante di una quantità di calore superiore a quella prodotta dal passaggio della corrente nel liquido. Tuttavia, per quanti tentativi siano stati fatti in seguito per riprodurre queste esperienze, nessuno è riuscito a ottenere i risultati descritti.

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