Lessico

sm. [sec. XIV; dal greco átomos, propr. inscindibile (agg.), quindi atomo].

1) Ciascuna delle particelle indivisibili, dalla cui aggregazione si supponeva in passato che fosse costituita la realtà fisica.

2) In fisica, costituente fondamentale della materia negli stati solido, liquido e gassoso; è la più piccola frazione di sostanza semplice suscettibile di partecipare a combinazioni chimiche (vedi oltre). Per gli atomi di antimateria e gli atomi esotici, vedi oltre. In fisica dei solidi, interstiziale "Il disegno schematico dell’atomo interstiziale nel reticolo cristallino è a pag. 94 del 3° volume." , ogni atomo presente nel reticolo cristallino di un materiale (metallo, lega o semiconduttore) in una posizione diversa da quella propria dei nodi del reticolo stesso. "Per l'atomo interstiziale nel reticolo cristallino vedi il lemma del 3° volume."

3) In astronomia, primigenio o primevale, termine usato, nelle prime teorie cosmologiche dell'Universo in espansione, per indicare il nucleo di materia estremamente densa nel quale si riteneva fossero condensate tutta la massa e l'energia attualmente distribuite nell'Universo (vedi cosmologia, Universo).

4) In matematica, elemento di un insieme parzialmente ordinato che non è preceduto da nessun altro tranne che da quello che precede tutti. In particolare ogni insieme totalmente ordinato è dotato di un solo atomo. Per esempio, l'insieme dei numeri naturali 0, 1, 2, 3, ... dotato dell'usuale ordinamento ha il numero 1 come unico atomo.

Fisica: caratteri generali

Gli elementi presenti in natura che compongono la materia ordinaria (in numero di 92, uranio compreso) sono formati da atomi con caratteristiche ben determinate, specifiche di ogni elemento, quali per esempio la massa e il numero atomico. Pur essendo dal punto di vista chimico la più piccola struttura materiale esistente, l'atomo non rappresenta però il costituente ultimo della materia. Globalmente neutro e di dimensioni dell'ordine di 10-10 m, l'atomo è infatti sostanzialmente formato da tre tipi di particelle: elettroni di massa m=9,108×10-31 kg e con carica elettrica negativa e=-1,602×10-19 C; protoni di massa M=1,672×10-27 kg con carica elettrica positiva, uguale in valore assoluto a quella dell'elettrone; neutroni di massa leggermente superiore a quella del protone ed elettricamente neutri. I protoni e i neutroni occupano la parte centrale dell'atomo, il nucleo, il cui raggio è dell'ordine di 10-15 m e nel quale è quindi concentrata la quasi totalità della massa atomica. L'ipotesi atomica, l'ipotesi cioè dell'indivisibilità della materia, fu introdotta quale argomento di speculazione filosofica fin dal sec. V a.C. da Democrito e dalla sua scuola (vedi atomismo). Ripresa nel sec. XVIII per interpretare alcuni risultati della teoria cinetica dei gas, la sua validità venne confermata durante il sec. XIX con l'impetuoso sviluppo della chimica. Gli ulteriori progressi della fisica sperimentale (scoperta dei raggi catodici e dei raggi canale, dei raggi X, degli spettri atomici, della radioattività) misero in piena luce, alla fine del secolo scorso, la complessità della struttura dell'atomo e invalidarono il concetto di atomo inteso come particella ultima della materia. Il lavoro teorico che ne seguì, volto a interpretare i numerosi dati sperimentali, portò allo sviluppo di nuovi settori della fisica quali la meccanica quantistica, la fisica atomica e la fisica nucleare, dando così inizio a una nuova era scientifica, l'era atomica.

L'elaborazione dell'ipotesi atomica

L'introduzione su basi scientifiche della teoria atomica è dovuta a D. Bernoulli. Partendo dalla considerazione che la materia fosse costituita dall'unione di unità elementari di dimensioni molto piccole e poste a grande distanza tra loro, Bernoulli dimostrò nella sua Hydrodynamica (1738) che la pressionep di un gas è inversamente proporzionale al volumeV da esso occupato, dando così un fondamento teorico alla legge sperimentale di R. Boyle: pV=costante. Nel 1803 il fisico e chimico inglese J. Dalton usò il termine atomo per indicare nei gas le particelle ultime della materia e successivamente postulò che a ogni elemento chimico corrispondesse un atomo specifico, ipotesi teorica che si impose all'attenzione degli scienziati per le conferme sperimentali di C.L. Berthollet, di J.L. Proust e di L.J. Gay-Lussac suoi contemporanei. L'analisi delle miscele, condotta nel 1808 dal chimico francese Proust, mise in evidenza la struttura discontinua delle sostanze chimiche: in base a questi risultati la materia appariva non più come un tutto continuo e omogeneo, ma come un'unione di sostanze differenti, unione che implicava una sua struttura granulare. Nasceva così l'ipotesi molecolare, fondata sul presupposto che ogni sostanza chimica distinta, o sostanza pura (non frazionabile mediante congelamento o distillazione), fosse formata, a sua volta, da particelle identiche tra loro ovvero da molecole. E poiché le sostanze pure risultavano composte da sostanze semplici in proporzioni esattamente definite (legge di Proust) se ne poté dedurre che le molecole erano formate da atomi di elementi chimici diversi. La classificazione degli elementi a seconda delle loro proprietà chimiche e del loro peso atomico, alla quale si interessarono numerosi chimici, venne elaborata nel 1869 dal chimico russo D. Mendeleev che riuscì a ordinare gli elementi in base all'ordine crescente del loro peso atomico. Il successo conseguito dal grande chimico segnò il trionfo dell'ipotesi atomica perché stabiliva inequivocabilmente la discontinuità della materia. Dal punto di vista teorico la periodicità delle caratteristiche chimiche degli elementi rimase allora inspiegabile proprio in quanto implicava una relazione tra i differenti atomi che fu giustificata solo successivamente dalla scoperta della struttura interna dell'atomo.

La struttura dell'atomo

Mentre le leggi chimiche (Dalton, Gay-Lussac, Avogadro ecc.) mostravano come la materia non fosse un tutto continuo divisibile all'infinito, ma fosse invece composta da particelle “elementari”, atomi e molecole, tutta una serie di nuovi fenomeni ed esperienze portava a scoprire una struttura interna dell'atomo stesso. Si scoprirono cioè nuove particelle costituenti l'atomo, che appariva quindi non più indivisibile, ma composto a sua volta di parti. La prima di queste particelle fu trovata da J.W. Hittorf nel 1869; studiando i raggi catodici, scoperti da J. Plücker nel 1858, egli dimostrò come questi fossero costituiti da particelle cariche, con carica e massa ben definite. Queste particelle, chiamate elettroni da J. Stomey nel 1891, la cui massa è ca. 1/2000 della massa dell'idrogeno (E. Wiechert, 1897), furono ben presto riconosciute quali costituenti universali della materia e identificate come gli atomi di elettricità postulati intorno al 1830 per interpretare le leggi di Faraday sull'elettrolisi. Nel 1909 C.G. Barkla, studiando la diffusione dei raggi X, riuscì a determinare il numero di elettroni di ogni elemento, trovando per gli atomi leggeri un valore uguale al numero d'ordine dell'elemento nella classificazione di Mendeleev. Il numero degli elettroni che compongono l'atomo è dunque, come la massa, legato a ogni atomo specifico; esso prende il nome di numero atomico e viene indicato con la lettera Z. Un secondo tipo di particelle costituenti universali dell'atomo, i protoni, venne messo in evidenza da E. Goldstein nel 1886 con la scoperta dei raggi canale; gli studi di W. Wien, di J.J. sir Thomson e di J.B. Perrin dimostrarono che si trattava di particelle dotate di carica elettrica positiva, uguale in valore assoluto alla carica dell'elettrone e la cui massa coincideva praticamente con la massa dell'idrogeno. Nell'ambito di queste ricerche, Thomson riuscì a calcolare con estrema precisione la massa di atomi ionizzati (atomi cioè ai quali erano stati sottratti uno o più elettroni) e a differenziare, nel 1913, in uno stesso elemento chimico, atomi con masse atomiche diverse (isotopi) rappresentate da numeri interi (numeri di massa, A), multipli della massa dell'idrogeno posta uguale a 1. La terza particella subatomica venne scoperta da J. sir Chadwick nel 1932 (scoperta che gli valse nel 1935 il premio Nobel). Questo nuovo costituente dell'atomo, di massa quasi identica a quella del protone, ma elettricamente neutro, fu chiamato neutrone. Mentre venivano identificati i primi componenti elementari dell'atomo e si invalidava così l'ipotesi della sua indivisibilità, un'altra scoperta contribuiva a far abbandonare l'antica nozione di atomo immutabile: la scoperta della radioattività naturale (H. Becquerel, 1896; Pierre e Marie Curie, 1898), fenomeno nel corso del quale un atomo, emettendo raggi X, elettroni e atomi ionizzati di elio (raggi α), può trasformarsi in un altro atomo, cioè operare una trasmutazione.

I modelli atomici: generalità

L'individuazione dei costituenti atomici apriva un nuovo problema: quello di spiegare teoricamente come tali particelle potessero formare un edificio stabile e di studiarne la struttura. Numerosi fenomeni atomici (emissione degli spettri ottici, effetto fotoelettrico, emissione di raggi X, effetto Zeeman ecc.) derivano appunto dalla complessità interna dell'atomo e per interpretarli occorre costruire modelli capaci di render conto coerentemente dell'insieme dei risultati sperimentali.

I modelli atomici: modelli di Thomson e Rutherford

Il primo tentativo di dare dell'atomo un'immagine concreta è dovuto a Thomson, che lo descrisse come una sfera di elettricità positiva, omogenea e indivisibile, entro la quale si trovano immersi gli elettroni in condizioni di equilibrio elettrostatico. "Vedi figura 1a e 1c a pag.94 del 3° volume." . "Per il modello di Thomson vedi figure al lemma del 3° volume" A questo schema J. Perrin, nel 1901, oppone un modello planetario: l'atomo sarebbe composto da un nucleo centrale, positivamente carico, attorno al quale, a distanze relativamente immense, ruotano gli elettroni, mantenendo così l'equilibrio tra la forza d'attrazione coulombiana e la forza centrifuga. Dieci anni dopo, nel 1911, E. Rutherford riprese e sviluppò questo modello "Vedi figura 1b e 1d a pag. 94 del 3° volume." "Per il modello di Rutheford vedi figure al lemma del 3° volume." che consente di interpretare i suoi esperimenti di diffusione delle particelle alfa nella materia (in particolare non si spiegava con l'atomo pieno di Thomson il grande percorso che queste particelle erano in grado di fare nella materia). La dimensione del nucleo dedotta dalle esperienze di diffusione di Rutherford è dell'ordine di 10-15÷10-14 m, mentre il raggio dell'orbita degli elettroni è di ca. 10-10 m. Gli studi di diffusione consentirono inoltre di determinare il numero di elettroni di molti atomi (numero atomico Z) e il fatto che questo numero risultasse uguale per gli isotopi di uno stesso elemento permise di confermare che le proprietà chimiche dei vari elementi sono determinate unicamente dagli elettroni orbitali.

I modelli atomici: modello di Bohr-Sommerfeld

Il modello di Rutherford, malgrado avesse introdotto il concetto fondamentale di nucleo e attirato l'attenzione sul ruolo degli elettroni periferici, si esponeva a due importanti obiezioni: l'instabilità intrinseca di un tale atomo e l'impossibilità di interpretare l'esistenza degli spettri atomici discontinui (vedi spettroscopia). Infatti gli elettroni, nel corso della loro traiettoria, per le leggi dell'elettrodinamica dovrebbero emettere radiazion1, perdendo gradualmente la loro energia cinetica fino a essere attirati nel nucleo dando quindi luogo a uno spettro di emissione continuo; fenomeni questi in contraddizione con l'esperienza. Il fisico danese N. Bohr, a cui nel 1922 fu attribuito il premio Nobel per i suoi studi sulla struttura atomica, pur accettando sempre il modello di atomo planetario di Rutherford abbandonò ogni tentativo di interpretare i dati sperimentali nell'ambito dell'elettrodinamica classica ed estese anche all'atomo le nuove ipotesi quantistiche elaborate da M. Planck all'inizio del sec. XX. I postulati della teoria atomica di Bohr si possono così riassumere: A) postulato meccanico, secondo il quale l'elettrone può descrivere attorno al nucleo solo una serie ben determinata di traiettorie nelle quali non provoca emissione di radiazioni elettromagnetiche di modo che l'energia dell'atomo resta costante; quest'ultima può assumere solo una serie di valori discreti che costituiscono i livelli energetici dell'atomo (quantizzazione delle orbite); B) postulato ottico, per il quale un elettrone può passare da un'orbita a cui corrisponde un'energia Ei a un'altra a cui corrisponde un'energia Ef mediante l'assorbimento (o l'emissione, se Ef è minore di Ei) di un quanto (quantità minima di una grandezza fisica che dipende da due valori di questa) di energia elettromagnetica alla quale è associata la frequenza . La costante h=6,625·10‒34 J·s è chiamata costante di Planck. Il modello di Bohr applicato all'atomo di idrogeno consente, in ottimo accordo con i risultati sperimentali, calcoli precisi delle sue dimensioni (appunto caratterizzate dal raggio minimo o raggio di Bohr: RB=0,529·10-10 m), dei livelli energetici e degli spettri di emissione atomici studiati da J.J. Balmer (1885), T. Lyman (1906), L.C.H. Paschen (1908) e altri. Fra i differenti livelli energetici possibili, contrassegnati dal simbolo n (n=1, 2, 3, ..., numero quantico principale) e corrispondenti ai successivi strati elettronici che avvolgono il nucleo, indicati con le lettere K, L, M, ..., "Vedi figura 2 a pag. 94 del 3° volume." "Per l'atomo di Bohr vedi figura al lemma del 3° volume." l'atomo tende a stare, in assenza di sollecitazioni esterne, nello stato stabile di minor energia (n=1, elettrone nello strato K), detto stato fondamentale. In seguito all'assorbimento di radiazione da parte dell'elettrone, questo passa a un livello d'energia superiore (transizione energetica) portando l'atomo in uno stato eccitato. Tale stato è però instabile e dopo un certo tempo l'atomo ritorna alla sua configurazione fondamentale liberando l'energia in eccesso emettendo un fotone. L'elettrone può anche allontanarsi dal nucleo qualora l'atomo stesso assorba un'energia superiore all'energia di legame elettronico (13,6 eV per l'idrogeno). L'atomo allora non è più elettricamente neutro ma presenta una carica positiva; è, cioè, ridotto allo stato di ione. A.J.W. Sommerfeld generalizzò il modello di Bohr postulando l'esistenza di orbite elettroniche ellittiche (anziché circolari) con il nucleo in uno dei fuochi. Ne risulta che per ciascuno dei valori permessi dell'energia, per esempio per l'ennesimo, vi sono n orbite ellittiche stabili, ognuna caratterizzata da un numero intero (numero quantico azimutale l=0, 1, 2, 3, ..., n-1) che si interpreta come il momento della quantità di moto dell'elettrone orbitale rispetto al nucleo "Vedi figure 3a a pag.94 e 3b a pag. 95 del 3° volume." . "Per l'atomo di Bohr-Sommerfeld e le strutture elettroniche di alcuni suoi elementi vedi figure al lemma del 3° volume." In questo modello risulta quantizzato anche l'orientamento spaziale delle orbite e precisamente gli orientamenti permessi per un elettrone in uno stato a cui competa il numero quantico azimutale l sono in numero uguale a 2l+1. Ciascun orientamento viene contraddistinto da un numero intero, positivo o negativo, m (|m|l) chiamato numero quantico magnetico. Le imperfezioni della teoria di Bohr-Sommerfeld non tardarono a manifestarsi: la sua validità era limitata all'atomo di idrogeno e anche in questo caso essa non dava un'interpretazione soddisfacente dell'intensità delle righe spettrali che compongono lo spettro d'emissione atomico. Per risolvere questi problemi, fisici illustri come L. de Broglie, E. Schrödinger, P.A.M. Dirac, M. Born, W. Pauli e W. Heisenberg (tutti insigniti del premio Nobel per i loro studi) impressero alle ricerche, tra il 1920 e il 1930, orientamenti ancora più audaci che dovevano rivoluzionare la fisica.

Ipotesi e modelli della meccanica quantistica

Nel 1923 de Broglie avanzò l'ipotesi che a ogni particella materiale in movimento potesse essere associata un'onda e che quindi le particelle stesse godessero delle proprietà ondulatorie di cui è dotata la luce, prevedendo per esse analoghi fenomeni di diffrazione, confermati poi sperimentalmente da C.J. Davisson e L.H. Germer nel 1927. Le prove sperimentali degli aspetti ondulatori delle particelle che compongono l'atomo erano incompatibili con le leggi e i principi della fisica classica; si capisce allora perché la costruzione di nuovi modelli atomici sia stata legata all'elaborazione di una nuova meccanica, valida a livello atomico e subatomico, la meccanica quantistica nelle sue principali formulazioni: meccanica ondulatoria e meccanica delle matrici. Lo stato di un elettrone atomico viene descritto nella nuova meccanica da una speciale funzione matematica, la funzione ψ o funzione d'onda, soluzione dell'equazione di Schrödinger

quale

è il laplaciano di ψ (x, y, z); U, V e m sono rispettivamente l'energia totale, l'energia potenziale e la massa dell'elettrone; h è la costante di Planck. Dal punto di vista fisico, il quadrato del modulo di ψ, |ψ|², indica la probabilità che ha l'elettrone di essere presente nel punto di coordinate x, y, z dello spazio. Questa descrizione probabilistica di modello atomico non consente di rappresentare l'atomo secondo un preciso schema spaziale: esso può solo essere raffigurato da un nucleo circondato da una nube elettronica di densità di carica (carica nell'unità di volume) ρ(x, y, z)=ρ|ψ|². La soluzione dell'equazione di Schrödinger dipende da tre parametri che assumono solo valori interi: n, numero quantico principale; l, numero quantico azimutale (l=0, 1, 2, ..., n-1); m, numero quantico magnetico (|m|l) "Vedi figura 4 a pag.95 del 3° volume." . "Per la distribuzione delle nuvole elettroniche in un atomo vedi il lemma del 3° volume." Poiché gli elettroni (come fu verificato sperimentalmente da G. Uhlenbeck e S. Goudsmit) sono dotati di un movimento rotatorio (spin) attorno a un proprio asse e i corrispondenti momenti della quantità di moto possono assumere solo i due valori , si introduce un quarto numero quantico (numero quantico di spin) che ha i due soli valori s=+1/2, –1/2. In definitiva, per ogni livello di energia dell'atomo vi sono n valori possibili della quantità di moto orbitale dell'elettrone a ognuno dei quali corrisponde una distinta funzione d'onda (orbitale) denominata con le lettere s (l=0), p (l=1), d (l=2), f (l=3) ecc. Poiché per ogni orbitale m può assumere 2l+1 valori, vi sono in totale funzioni d'onda distinte per ogni singolo strato elettronico. Questo può quindi contenere sino a 2n² elettroni. Il fattore 2 è dovuto al fatto che a uno stesso orbitale possono appartenere sino a 2 elettroni con numeri quantici di spin diversi. Il numero di elettroni in ciascuno strato è limitato dal principio di esclusione di Pauli che vieta l'esistenza di elettroni con tutti e quattro i numeri quantici eguali. Nei differenti atomi, con l'aumentare del numero degli elettroni, si riempiono progressivamente gli strati K (2 elettroni), L (8 elettroni), M (18 elettroni) ecc.; lo strato periferico, o strato di valenza, non possiede più di 8 elettroni "Vedi tabella a pag. 95 del 3° volume." . "Per la ripartizione degli elettroni nei diversi strati vedi tabella al lemma del 3° volume." Questo schema spiega le principali caratteristiche della configurazione elettronica degli elementi e la periodicità delle loro proprietà chimiche, determinate principalmente dal grado di occupazione dello strato di valenza. Le equazioni della meccanica quantistica vengono risolte senza particolari difficoltà solo nel caso dell'atomo di idrogeno e degli atomi degli elementi con un numero di elettroni maggiore di uno assimilati a un modello nel quale siano stati sottratti tutti gli elettroni tranne uno ( idrogenoidi). Aumentando, infatti, il grado di complessità del sistema atomico, cioè per atomo con più di due elettroni, oltre all'interazione elettrone-nucleo interviene l'interazione tra elettroni e le equazioni che descrivono il sistema diventano talmente complicate che si rivelano insolubili. Occorre allora introdurre opportune approssimazioni fisiche che consentano di semplificare il problema. È quanto è stato fatto verso il 1930 con l'elaborazione di particolari modelli atomici quali il modello di Hartree-Fok utilizzato per lo studio degli atomi leggeri e il modello di Thomas-Fermi valido per gli atomi pesanti con un gran numero di elettroni. "Per le funzioni di distribuzione elettronica vedi diagramma al lemma del 3° volume." Il modello di Hartree-Fok, applicato da D. Hartree e V. Fok negli anni 1928-30 all'atomo di elio (due elettroni orbitali), è basato su di un importante metodo di approssimazione, detto del campo autoconsistente, nel quale si considera per ogni elettrone il campo elettrico creato dal nucleo e dagli altri elettroni. La funzione d'onda del sistema è costruita effettuando il prodotto delle funzioni d'onda dei singoli elettroni. Per gli atomi di massa elevata che possiedono un gran numero di elettroni il metodo precedente dà luogo a calcoli molto complicati; si applica allora, accontentandosi di risultati meno precisi, un altro metodo di approssimazione proposto da E. Fermi e L. Thomas nel 1927. È questo un modello atomico quasi classico in quanto gli elettroni sono assimilati a particelle di un gas. Considerazioni di meccanica statistica consentono per un tale modello di valutare la distribuzione di carica elettronica in un atomo e il potenziale elettrico medio dovuto alla distribuzione.

Antiatomi e atomi esotici

Atomi di antimateria, o antiatomi, cioè atomi con il nucleo formato da antiprotoni e antineutroni e con positroni periferici al posto degli elettroni, sono stati prodotti per la prima volta al CERN di Ginevra già nel 1995-1996 e poi al Fermilab di Chicago. Atomi di antiidrogeno in grande quantità sono stati successivamente prodotti, sempre al CERN, nel 2002. Sono stati creati in laboratorio anche atomi esotici, cioè aggregati di particelle con struttura analoga a quella degli atomi, ma molto instabili e sostanzialmente diversi dagli atomi esistenti in natura. Al CERN di Ginevra, per esempio, sono stati prodotti l' sigmico, con un elettrone periferico sostituito da una particella sigma meno (Σ), e l' antiprotonico, con un elettrone sostituito da una coppia protone-antiprotone. Sono stati prodotti anche vari mesici sostituendo a un elettrone periferico un mesone, π e Κ). Analogamente a quanto ottenuto per gli elettroni periferici, si è inoltre riusciti, a partire da studi iniziati nel 1952, a sostituire alle particelle normalmente costituenti i nuclei altre particelle più pesanti quali, per esempio, particelle lambda (Λ) con la costituzione di ipernuclei e pertanto iperatomi. Per quanto riguarda la produzione di atomi pesanti di elementi transuranici, vedi radioattività, vedi elemento.

E. Fermi, Introduzione alla fisica atomica, Bologna, 1928; L. de Broglie, De la mécanique ondulatoire à la théorie du noyau, Parigi, 1946; E. Persico, Gli atomi e la loro energia, Bologna, 1960; G. Herzberg, Spettri atomici e struttura atomica, Torino, 1961; M. Born, Atomic Physics, Glasgow, 1963; Y. N. Kondiatiev, La structure des atomes et des molécules, Parigi, 1964; P. W. Bridgman, La logica della fisica moderna, Torino, 1965; L. Fermi, Atomi in famiglia, Verona, 1965; G. Gamow, Trent'anni che sconvolsero la fisica, Bologna, 1966; S. Tolanski, Introduzione alla fisica atomica, Torino, 1966; J. Leite Lopes, Fondaments de la physique atomique, Parigi, 1967; R. Maiocchi, La belle époque dell'atomo. Ricerche sulla vittoria dell'atomismo nella fisica del primo Novecento, Milano, 1988.

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