Definizione

sm. [sec. XIX; inglese electron]. Particella elementare costituente fondamentale dell'atomo, in cui uno o più elettroni, in numero diverso secondo l'elemento chimico, formano la nube di particelle cariche negative che circonda il nucleo positivo e che determina tutte le proprietà chimiche dell'elemento. È il costituente della corrente elettrica nei materiali solidi conduttori.

Cenni storici

L'idea di una struttura discontinua dell'elettricità ebbe origine negli anni fra il 1831 e il 1834, con le ricerche di M. Faraday sul fenomeno dell'elettrolisi. Lo stesso Faraday nei suoi scritti parlava di “quantità discrete di elettricità associate agli atomi” o “atomi di elettricità”. G. J. Stoney, nel 1874, riconobbe più esplicitamente che “nei fenomeni di elettrolisi la natura presenta una singola definita quantità di elettricità, indipendente dal particolare corpo che si considera” e ne determinò per via indiretta il valore numerico. Mentre nei fenomeni elettrolitici la carica elementare non mostrava la sua individualità di particella isolabile dall'atomo, con il progredire della tecnica del vuoto fu possibile la sua identificazione come particella elementare. Gli studi partirono dalle esperienze sui raggi catodici eseguite da J. Plücker (1857), W. Hittorf (1869), J. J. Thomson (1894-97) e J. B. Perrin (1895). Le caratteristiche di tali raggi si spiegano ammettendo che siano costituiti da particelle identiche in moto, cariche negativamente. Prima ancora che l'identificazione di queste particelle fosse certa e completa G. J. Stoney propose, nel 1891, di chiamarle elettroni. Esperienze basate sul fenomeno della condensazione dei vapori su ioni e sulla deflessione delle relative tracce da parte di campi elettromagnetici furono eseguite da Thomson, J. Townsend e altri fra il 1897 e il 1910, ma il risultato migliore fu ottenuto da R. A. Millikan in una celebre esperienza del 1909. Le principali caratteristiche dell'elettrone erano ormai identificate quando, nel 1924, L. de Broglie avanzò l'ipotesi che si dovesse associare all'elettrone un'onda di lunghezza λ=h/p con h costante di Planck e p quantità di moto della particella. Tale ipotesi emergeva dal riesame critico del modello atomico di Bohr-Sommerfield e portava con sé la crisi del modello puramente corpuscolare della materia; anzi vanificava la ricerca stessa di un modello geometrico e meccanico a livello atomico o subatomico. Nel 1927 C. J. Davisson e L. H. Germer confermarono tale ipotesi con esperienze di diffrazione degli elettroni. Per spiegare l'effetto Zeeman, osservato fin dal 1896, nel 1925 G. E. Uhlenbeck e S. A. Goudsmit introdussero l'ipotesi dell'elettrone rotante, che giustificava l'assegnazione di un momento magnetico intrinseco all'elettrone: ciò spiegava i fenomeni connessi con lo sdoppiamento delle righe spettrali atomiche in presenza di campi magnetici. Infine, nel 1928, P. Dirac, nello stabilire una teoria relativistica dell'elettrone, si trovò di fronte alla necessità di ipotizzare l'esistenza di un'antiparticella per l'elettrone, cioè di un elettrone positivo. C. D. Anderson, nel 1932, individuò la presenza di questi elettroni positivi (positroni) nei raggi cosmici.

Elettrologia

Le prime caratteristiche dell'elettrone determinate sperimentalmente, che indussero a catalogarlo fra le particelle, furono la carica e la massa. Il valore della carica fu determinato per la prima volta con l'esperienza di Millikan; secondo le più recenti determinazioni è: -1,60.206∤10-19 coulomb. Dalla deviazione di un fascio di elettroni mediante campi elettrici e magnetici incrociati si desume il valore del rapporto e/m e quindi il valore della massa che, da recenti valutazioni sperimentali, risulta uguale a 9,1083∤10-31 kg. Le misure della massa m, fin dal 1897, dimostrarono che questa dipende sensibilmente dalla velocità. Tale dipendenza fu spiegata da A. Einstein, nel 1905, nell'ambito della teoria della relatività:

dove m0 è la massa a riposo dell'elettrone, v la sua velocità e c la velocità della luce, in pieno accordo con l'esperienza. Se si suppone che l'elettrone sia assimilabile a una sfera di raggio r0 uniformemente carica, la sua energia elettrostatica intrinseca è uguale a e²/r0. Dalla relazione E=mc², ammesso che tutta l'energia E sia elettrostatica, si ottiene r0=2,82∤10-13 cm. Il momento magnetico intrinseco dell'elettrone è: eh/4πmc, corrispondente a un momento meccanico intrinseco (spin) pari a h/4π. Le proprietà ondulatorie dell'elettrone sono descritte da una funzione d'onda ψ che definisce in ogni istante lo stato fisico della particella e che soddisfa all'equazione di Schrödinger per velocità v≪c e all'equazione di Dirac per velocità relativistiche, cioè prossime a c. Si ha produzione di elettroni: nei tubi di scarica, riempiti con gas a pressione molto bassa, ove vengono emessi dal catodo del tubo in fasci costituenti i raggi catodici; nell'emissione termoionica da filamenti metallici a temperatura elevata; nel decadimento radioattivo, sotto forma di raggi beta; nell'interazione di fotoni con la materia, tramite effetto fotoelettronico, effetto Compton, materializzazione di fotoni con produzione di coppie elettroni e positroni. Gli elettroni interagiscono con la materia attraverso collisioni con altri elettroni e collisioni con i nuclei. I processi del primo tipo possono essere: collisioni elastiche, con conservazione dell'energia cinetica totale prima e dopo l'urto; collisioni anelastiche, senza conservazione dell'energia cinetica totale delle due particelle (parte dell'energia viene perduta sotto forma di radiazione elettromagnetica) e annichilazioni che si hanno nell'urto di una coppia elettrone e positrone, con produzione di due fotoni γ. Nei processi del secondo tipo, un elettrone, superata la nube elettronica di un atomo, sotto l'azione del campo elettrico nucleare, modifica la sua direzione e la sua velocità emettendo una radiazione elettromagnetica detta di frenamento (Bremsstrahlung).

Bibliografia

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