Definizione

sm. [sec. XIX; da ghiaccio]. Massa di ghiaccio originatasi per progressiva trasformazione di accumuli di neve e soggetta a lento scorrimento sulla superficie terrestre.

Formazione e persistenza

Le condizioni necessarie a consentire la formazione e la persistenza di un ghiacciaioablazione): la prima condizione ha prevalente importanza per l'esistenza delle coltri glaciali continentali, la seconda per i ghiacciai di montagna. I ghiacciai si trovano in tutti i continenti, Australia esclusa, e coprono attualmente una superficie di oltre 15 milioni e mezzo di chilometri quadrati, ca. il 10% delle terre emerse; il loro volume è valutato in ca. 33 milioni di chilometri cubi (una riserva di acqua dolce ca. 65 volte quella stimata allo stato liquido). Un parametro assai significativo per determinare l'eventuale presenza di ghiacciaio è il limite delle nevi persistenti, limite altimetrico oltre il quale la neve caduta durante l'inverno non si scioglie completamente nell'estate successiva, con conseguente suo graduale accumulo: tale limite varia con la latitudine potendo coincidere col livello del mare nelle aree polari e spingersi anche oltre i 5500 m nelle regioni equatoriali. La neve caduta al di sopra di questo limite si trasforma gradualmente in ghiaccio passando attraverso fasi di fusione e di ricristallizzazione che consentono un aumento della densità, una riduzione della quantità di aria contenuta e una progressiva compattazione. La neve fresca ha, infatti, una densità media che si aggira intorno a 0,1 e meno, mentre il nevato, cioè l'insieme di minuti cristallini di ghiaccio che si forma nell'arco di un anno, raggiunge una densità di 0,45-0,60 e il ghiaccio dei ghiacciai (per la cui formazione occorrono almeno parecchi decenni) presenta densità superiori a 0,8 con punte di 0,91 per il ghiaccio puro. Il ghiaccio dei ghiacciai è costituito da grossi cristalli compatti, spesso laminati, di color verde-azzurro e quasi del tutto privi di inclusioni gassose; in media, per ottenerne 1 m3 occorrono oltre 10 m3 di neve.

Classificazione

In base a considerazioni geofisiche si distinguono ghiacciai polari, a temperature costantemente sottozero, tranne che per lo strato superficiale durante la breve parentesi estiva, e ghiacciai temperati, a temperatura sotto lo zero solo durante l'inverno, mentre per il resto dell'anno le temperature sono vicine al punto di fusione, motivo per cui, data la notevole ablazione, i ghiacciai temperati sono interessati da un'abbondante circolazione d'acqua. In base alla dinamica si hanno: ghiacciai attivi, caratterizzati da sensibili movimenti della loro massa; ghiacciai passivi, con movimenti estremamente lenti; ghiacciai morti, non più alimentati e ancora presenti grazie solo all'ablazione molto ridotta. Morfogeneticamente i ghiacciai vengono distinti in continentali e montani. I ghiacciai continentali o inlandsis, pur costituendo la quasi totalità delle aree occupate dai ghiacciai, interessano solo due zone, l'Antartide (ca. 14 milioni di km² compresi i ghiacciai di barriera) e la Groenlandia (ca. 1.700.000 km²): sono i resti delle ben più vaste coltri glaciali quaternarie; hanno forma biconvessa, con spessori medi di 2000 m e, nell'Antartide, punte anche superiori ai 4000. Dalle loro fronti, che arrivano al mare, il moto ondoso e le mareeano blocchi di ghiaccio, a volte enormi, gli iceberg. I ghiacciai montani comprendono le seguenti forme tipiche: ghiacciai di tipo scandinavo, calotte di ghiaccio che coprono aree anche estese (Vatnajökull, in Islanda, ca. 8500 km²) poste alla sommità di altopiani, da cui possono irradiarsi colate; ghiacciai di valle, che comprendono i ghiacciai di tipo alpino, il cui bacino collettore è un circo che alimenta una lingua glaciale la quale scende lungo una valle ben al di sotto del limite delle nevi persistenti ricevendo eventualmente altre colate laterali di ghiacciai minori, i ghiacciai di tipo himalayano, formati dalla confluenza in un unico solco vallivo di più ghiacciai di tipo alpino; ghiacciai di tipo pedemontano o alascani, dovuti alla congiunzione delle fronti di più ghiacciai di valle alla loro uscita in pianura o anche direttamente in mare; l'esempio classico è il ghiacciaio Malaspina in Alaska. Attualmente assai rari, costituirono invece la norma nelle aree montane durante le ere glaciali; richiedono, infatti, una forte alimentazione oggi possibile solo nelle regioni subpolari umide con rilievi che superano di molto il locale limite delle nevi persistenti; ghiacciai di tipo pirenaico o di circo, ghiacciai di modeste dimensioni che occupano circhi o anche canaloni incisi nelle pareti rocciose; non alimentano colate e sono il tipo comune per i rilievi che oltrepassano di poco il limite delle nevi persistenti. Impropriamente vengono detti ghiacciai di parete le placche di ghiaccio che rivestono le pareti rocciose molto inclinate dominanti i circhi; in queste, infatti, il ghiaccio non deriva da nevato e non è soggetto ai movimenti tipici dei ghiacciai.

Movimenti

Il limite delle nevi persistenti separa in ciascun ghiacciaio il bacino collettore o di alimentazione, l'area in cui si accumula la neve e si attuano i processi diagenetici che la trasformano in ghiaccio, dal bacino ablatore, area interessata dalla lenta discesa delle colate di ghiaccio (lingue), coperte eventualmente di neve solo fino alla tarda primavera, le quali possono spingersi molto in basso (anche 2000 m sotto il predetto limite) prima di fondere completamente. L'accumulo di neve e ghiaccio nel bacino di alimentazione esercita una spinta che innesca la trazione per gravità verso il basso, naturalmente se esistono rapporti adeguati tra spessore della massa di ghiaccio e inclinazione del pendio: si è calcolato che per pendenze del 10% lo spessore debba essere intorno ai 15 m. La velocità di scorrimento risulta massima nelle zone lontane dal contatto col fondo o con le pareti del letto roccioso: i valori variano da frazioni di metro per i ghiacciai alpini fin oltre i 20 m al giorno per quelli groenlandesi. Il ghiaccio manifesta un comportamento che è ora plastico ora viscoso e pertanto il movimento dei ghiacciai risulta non uniforme, presentando contemporaneamente caratteri di scorrimento continuo e di scivolamento in blocchi. Riguardo al meccanismo del movimento non si hanno conclusioni definitive; le indagini vertono sia a livello delle dislocazioni reciproche dei singoli granuli (presenza di un sottile velo salmastro fuso attorno ai granuli che faciliterebbe le traslazioni, fusione dei granuli provocata dalla maggiore pressione a monte, colamento e congelamento immediato del liquido risultante con formazione di cristalli orientati in modo da assorbire meglio le pressioni, formazione di piani cristallografici basali in seguito alla riorganizzazione della struttura interna dei cristalli, che favorirebbero lo scivolamento, ecc.), sia a livello del moto d'insieme. Secondo le più recenti interpretazioni, il movimento sarebbe dovuto sia a un colamento plastico regolato dallo spessore della massa interessata, sia a un colamento per scivolamento indotto dalla presenza di tasche d'acqua dovute alla fusione del ghiaccio sul fondo per effetto delle elevate pressioni: si determinerebbe così uno scollamento della colata dal letto roccioso e anche un parziale effetto idrostatico.

Morfologia superficiale

La superficie dei ghiacciai è molto tormentata per l'adattamento alla morfologia del fondo, per cui presenta fenditure e zone di minor resistenza (crepacci, seracchi) e per le conseguenze della presenza dei vari detriti che vi si accumulano (fungo del ghiacciaio, morena); inoltre è modellata dalla fusione del ghiaccio che provoca la formazione di vallecole entro cui scorrono piccoli corsi d'acqua; questi spesso penetrano in profondità attraverso i crepacci fino a raggiungere il fondo roccioso, che erodono in modo caratteristico (marmitte glaciali), grazie ai detriti grossolani trasportati; la fusione può inoltre dare origine a laghetti temporanei e talora alla comparsa delle nevi penitenti. Le acque penetrate in profondità tendono a confluire formando un vero e proprio torrente subglaciale che sfocia all'esterno attraverso una bocca, o forno, più o meno ampia posta nella parte terminale (fronte) del ghiacciaio. In conseguenza della diversa velocità nell'ambito della lingua e per l'ablazione maggiore lungo le sponde, favorita dalla restituzione del calore solare da parte delle pareti rocciose, la superficie dei ghiacciai si presenta convessa e non di rado staccata dalle pareti rocciose e, inoltre, può mostrare delle successioni di strutture arcuate con la convessità verso valle, le ogive, dovute all'affiorare di strati di ghiaccio sovrapposti e disposti obliquamente rispetto alla pendenza del letto: l'andamento arcuato è dovuto alla maggior velocità al centro della lingua. Se due o più colate confluiscono, ognuna tende a conservare la propria individualità senza apprezzabile reciproca miscibilità delle diverse correnti. La fronte è il settore che fornisce le maggiori indicazioni sullo stato di un ghiacciaio, in quanto dalle sue oscillazioni si desume se il ghiacciaio è in fase stazionaria, di ritiro o di avanzata.

Azione morfologica

I ghiacciai esercitano un notevole modellamento del paesaggio terrestre, che si esplica attraverso l'attività distruttrice delle rocce in posto (esarazione) e l'attività costruttrice conseguente al trasporto e alla deposizione del materiale eroso. In entrambi i casi, la gamma dei fenomeni risulta abbastanza differenziata, secondo che il modellamento sia dovuto a una lingua glaciale (ghiacciai di tipo alpino) o a un'estesa piastra di ghiaccio (ghiacciai inlandsis). Tra le forme d'esarazione vanno ricordate le superfici levigate e striate, le rocce montonate e i rilievi a dorso di cetaceo, i circhi e le depressioni glaciali in genere e infine le valli o truogoli glaciali che costituiscono le forme più tipiche e significative. Le superfici levigate e striate, tanto meglio conservate quanto più dura è la roccia nella quale sono modellate o quanto più recente è la loro origine, costituiscono la più diretta conseguenza della generale azione smussatrice e levigatrice esercitata dalle lingue glaciali; le striature, in particolare, rappresentano le tracce dello sfregamento dei blocchi rocciosi, inglobati nella massa di ghiaccio, contro le pareti o il fondo della valle nella quale la massa stessa si è mossa. Le rocce montonate sono dovute all'attrito dei ghiacciai, che hanno sormontato spuntoni e rilievi rocciosi eliminandovi le principali e, spesso, anche le più minute asperità: ne risultano in tal modo gibbosità (ben propriamente paragonate, talora, al dorso di una balena), più o meno marcate, lisciate, arrotondate, qualche volta allungate nel senso di movimento della massa glaciale (in questa direzione presentano profilo longitudinale asimmetrico, perché il lato direttamente esposto all'avanzata del ghiacciaio risulta più ripido di quello opposto). I circhi, le depressioni e le valli glaciali sono in rapporto con i complessi movimenti del ghiaccio e con l'azione dei materiali trasportati che accentuano e svasano le originarie depressioni; l'esarazione glaciale, infatti, a differenza dell'erosione fluviale, tende ad accentuare, anziché annullare, le originarie irregolarità topografiche. L'esasperazione di tale fenomeno si constata nel caso delle cosiddette valli sovraescavate, cioè scavate dal ghiacciaio fin al di sotto del livello del mare, talora addirittura per centinaia di metri; ne sono esempio i lunghi e ampi solchi scavati dalle lingue glaciali quaternarie della catena alpina tuttora sedi di laghi (grandi laghi prealpini), il cui fondo si spinge, appunto, abbondantemente al di sotto del livello del mare. L'attività costruttrice del ghiacciaio si manifesta soprattutto con un complesso di forme, dette fluvioglaciali, che sono strettamente connesse all'evoluzione di un apparato glaciale. Le caratteristiche generali di queste forme variano notevolmente in funzione del tipo di ghiacciaio. Nel caso di un ghiacciaio di tipo alpino, la successione schematica delle forme presenta al centro del bacino terminale, già occupato dal fronte glaciale, una serie di rilievi arrotondati, allungati nella direzione del movimento del ghiacciaio e costituiti da depositi subglaciali (morene di fondo); a questi fanno seguito i grandiosi depositi delle morene frontali, raggruppate in semicerchi concentrici a formare il caratteristico anfiteatro morenico. Davanti a quest'ultimo si sviluppa poi un ripiano dolcemente inclinato, che sfuma in una pianura alluvionale più o meno ampia; tale ripiano inclinato corrisponde al dorso di un vasto conoide di deiezione (conoide di transizione) costruito dalle acque di fusione del ghiacciaio che rielaborano il materiale morenico ridepositandolo gradatamente sempre più a valle. Nel caso di un apparato fluvioglaciale collegato a un inlandsis manca l'anfiteatro morenico, mentre è presente spesso un'unica morena terminale in forma di esteso cordone frontale, davanti al quale si sviluppano vaste distese detritiche, pianeggianti (sandur), accumulate, anche in questo caso, dalle acque di fusione dei ghiacciai. Nella zona in precedenza ricoperta dalla coltre glaciale si incontrano, poi, numerose forme di accumulo glaciale e fluvioglaciale quali i drumlins, gli eskers, i kames, i kettles, gli osar, ecc.

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