Generalità

[dal latino Alpes, che prob. risale alla radice preindeuropea *alb o *alp, monte, altura]. La più vasta ed elevata catena montuosa d'Europa, che con una superficie di ca. 250.000 km² si sviluppa da 5º a 17º di longitudine E e da 43º a 48º di latitudine N. Nella geografia dell'Europa le Alpi rappresentano un potente fattore di determinazione degli aspetti fisici e umani. Strutturalmente esse formano una sorta di grande bastione divisorio tra due parti distinte: da un lato l'Europa dei massicci antichi, delle masse continentali più stabili e rigide del nord e del centro, dall'altro la parte meridionale e mediterranea instabile, geologicamente giovane e tuttora in fase di evoluzione. A questa funzione strutturale si connettono tutte le altre: quella di vertice del sistema idrografico del continente, di grande baluardo che influisce sul clima, sulla diffusione della vita vegetale e animale e infine sul popolamento umano. Al di qua e al di là delle Alpi si trovano in effetti due regioni dai caratteri ben differenziati, ma nel corso dei secoli il mondo mediterraneo e quello centroeuropeo hanno sempre avuto contatti attraverso le Alpi e si può dire che la civiltà europea sia la sintesi di questi due mondi realizzata con lo scambio dei rispettivi patrimoni attraverso i numerosi valichi alpini. Nel contesto dell'Europa le Alpi rappresentano il principale elemento morfologico, con uno scenario naturale maestoso e, nelle parti più elevate, ancora in gran parte intatto. Da questo punto di vista si comprende l'attrazione che le Alpi hanno sempre esercitato sull'uomo e sulla cultura europei. La loro “scoperta” inizia con le prime esplorazioni dei naturalisti già nel Seicento, ma è soprattutto nel Settecento che le Alpi trovano la loro massima esaltazione culturale, con le prime scoperte scientifiche e le prime importanti formulazioni metodologiche delle scienze naturali. Tra i naturalisti che si fecero alpinisti spicca lo svizzero Horace-Bénédict de Saussure; a lui va anche il merito di aver dato avvio alla scoperta di quella “bellezza alpestre” che sarà uno dei motivi propri del Romanticismo. E con la ricerca della dimensione estetica nelle vette solitarie, nelle vallate boscose, nelle silenziose solitudini delle alte quote l'uomo cercherà anche la misura del proprio ardimento nella scalata dei giganti alpini con un progressivo miglioramento della tecnica e dell'equipaggiamento che renderà universale l'uso del termine alpinismo per indicare questa attività. Si può dire in definitiva che le Alpi sono state una delle componenti fondamentali della cultura europea, sia nel senso del rapporto poetico tra uomo e natura, sia nel senso di terreno promotore della conoscenza scientifica.

Orografia

Come elemento della geografia fisica terrestre le Alpi non sono che una sezione dei grandi corrugamenti che si svolgono, nel senso dei paralleli, sul lato meridionale dell'Eurasia, dove formano una serie di sistemi montuosi giovani e imponenti, contrapposti a quelli più antichi, profondamente spianati dall'erosione, situati nelle sezioni centrale e settentrionale della grande massa continentale. A W la catena alpina ha la sua continuazione strutturale nei Pirenei, nella Cordigliera Betica e nell'Atlante; a E nel sistema dinarico, nei Carpazi, nel Caucaso, nelle catene che sovrastano l'Anatolia e l'altopiano iranico e, più oltre ancora, nell'Hindukush e nell'Himalaya. Nel contesto di queste catene le Alpi spiccano per la loro configurazione che, pur prevalentemente rispettando l'orientamento generale dei corrugamenti, è quella di un grande arco che si svolge, a partire dalla costa ligure, dapprima in senso meridiano, poi, dal massiccio del Monte Bianco, in quello dei paralleli, per spegnersi infine in una più ampia sezione orientale allacciandosi alle catene del sistema dinarico. Questo andamento, nonché la dissimmetria dei versanti, è conseguenza dell'attività orogenetica che ha dato vita alla catena. L'area alpina è delimitata a W dalla valle del Rodano, a N dall'altopiano svizzero, dalle ondulate piattaforme della Svevia e della Baviera e dal corso del Danubio, a E dal bassopiano pannonico, a S dalla Pianura Padano-Veneta e dalla penisola istriana, dal colle di Cadibona o sella di Altare, il limite convenzionale con il sistema appenninico, alla depressione fra Postumia e Longatico, con cui iniziano i rilievi dinarici. L'arco alpino interessa diversi territori statali: il versante interno, della lunghezza massima di 750 km, appartiene all'Italia, quello esterno, con uno sviluppo massimo di oltre 1300 km, è ripartito tra Francia, Svizzera, Germania, Austria, Liechtenstein e Slovenia. Nel complesso l'altitudine diminuisce procedendo da W a E; in media si aggira intorno ai 1300 m. Le cime oltre i 4000 m si trovano concentrate nella sezione occidentale, particolarmente in corrispondenza dell'incurvamento più pronunciato a NW, dove si raggiungono le altezze maggiori (Monte Bianco, 4807 m; Monte Rosa, 4637 m) e al tempo stesso il minor sviluppo in senso trasversale (130 km). Nel resto della catena solo il Bernina supera i 4000 m seppure di poco (4050 m); ben più numerose sono le cime oltre i 3000 m, presenti anche nelle aree prealpine. Difficile e controversa è la ripartizione orografica, tuttavia viene generalmente accettata una suddivisione principale in Alpi Occidentali e in Alpi Orientali basata su criteri geologici data la quasi totale assenza della zona calcarea interna nelle prime; il limite è costituito da una linea che partendo dal lago di Costanza scende a S lungo il corso del Reno, lo Spluga, la valle di San Giacomo e il lago di Como. Una divisione tradizionale, molto usata in Italia, distingue le Alpi in Occidentali (dal colle di Cadibona al Col du Grand Ferret), Centrali (dal Col du Grand Ferret al passo del Brennero) e Orientali (dal Brennero alla sella di Postumia, o secondo altri al passo di Vrata). Queste vengono ulteriormente suddivise – secondo un criterio non fondato su precise connotazioni geologiche o morfologiche, ma di antico uso – in Alpi Liguri, Marittime, Cozie e Graie (le Alpi Occidentali); Pennine, Lepontine e Retiche (le Alpi Centrali); Noriche (o Atesine), Dolomitiche, Carniche e Giulie (le Alpi Orientali).

Geologia

La catena alpina si è originata in seguito alla collisione tra il continente eurasiatico a N e i blocchi continentali africano, arabo e indiano a S. Tale collisione ha provocato la chiusura completa dell'Oceano Tetide che, durante tutto il Mesozoico, ha separato il blocco continentale eurasiatico da quelli meridionali (africano, arabo, indiano). I sedimenti depositati nell'Oceano Tetide, costituenti il prisma sedimentario dei vari blocchi continentali che hanno partecipato all'evoluzione del sistema orogenico alpino-himalayano, insieme a porzioni del basamento cristallino su cui questi si sono sedimentati, durante il processo collisionale, sono stati intensamente deformati e, a volte, metamorfosati e fortemente dislocati. Le rocce derivate da questi processi geologici attualmente costituiscono quella fascia di corrugamenti recenti (catena alpino-himalayana), con cime al di sopra degli 8000 m di quota, giustapposta tra i blocchi continentali che hanno partecipato alla collisione. La catena alpina in senso stretto, in particolare, è il risultato della deformazione del prisma sedimentario europeo e del suo basamento cristallino, e della porzione più interna del prisma sedimentario africano. Tale deformazione è iniziata alla fine del Cretaceo inferiore, quando nel dominio tetideo si è attivata una zona di convergenza tra le placche litosferiche europea e africana. Fino a quel momento, invece, il dominio tetideo era stato interessato, a partire dal Permo-Trias, da un lento ma continuo processo di espansione, in seguito al reciproco, progressivo allontanamento dei blocchi continentali europeo e africano. Questo processo di espansione ha portato, nel Giurassico superiore, all'oceanizzazione del settore centrale del bacino della Tetide, con la formazione di litosfera oceanica. La paleogeografia del settore tetideo, successivamente deformato a costituire le varie unità tettoniche della catena alpina, è abbastanza ben conosciuta. Infatti, l'analisi stratigrafica delle coperture sedimentarie e lo studio del basamento cristallino delle varie unità tettoniche costituenti la catena alpina, insieme a una sempre più soddisfacente conoscenza delle relazioni geometriche che intercorrono tra le singole unità tettoniche, hanno permesso ai geologi di delineare un quadro piuttosto attendibile di quello che doveva essere l'assetto paleogeografico precollisionale del dominio tetideo. Alla fine del Giurassico, periodo di massima espansione della Tetide, all'accrescimento del prisma sedimentario al margine europeo contribuivano diversi ambienti di sedimentazione che, andando dalla linea di riva verso il mare aperto, risultavano essere: il dominio elvetico-delfinese e il dominio ultraelvetico, con sedimentazione marina da costiera a relativamente profonda; il dominio brianzonese, caratterizzato da una estensione limitata e circoscritta a una zona di bassofondo marino, a volte emerso, localizzato al largo del dominio ultraelvetico; il dominio piemontese e il dominio vallese, caratterizzati da sedimentazione di mare profondo, che occupano la porzione mediana della Tetide e che quindi, in parte, risultano ubicati su crosta oceanica. Superata la porzione mediana della Tetide, caratterizzata da crosta oceanica, in cui è ubicata la dorsale oceanica responsabile della formazione di nuova crosta e dell'espansione del bacino tetideo, si passa al dominio australpino, posizionato già su crosta continentale africana. Proseguendo verso il margine continentale africano si susseguono, a partire dal dominio sudalpino, domini paleogeografici prevalentemente caratterizzati da mare da neritico a relativamente profondo. A partire da 90 milioni di anni fa, in prossimità del limite tra il dominio piemontese (crosta oceanica) e il dominio australpino (crosta continentale) si attiva una zona di subduzione che porta la litosfera oceanica tetidea a sprofondare al di sotto della litosfera continentale africana. In seguito a questo processo, che porta a un riavvicinamento dei due blocchi continentali, si ha la deformazione dei depositi sedimentari (prisma sedimentario) e dei relativi basamenti cristallini, dei domini paleogeografici tetidei a partire da quello australpino, più prossimo alla zona di subduzione. La deformazione durante l'orogenesi alpina si è propagata con una polarità dell'interno (australpino) verso l'esterno (elvetico-delfinese) coinvolgendo, in ordine, i seguenti domini paleogeografici: australpino, piemontese e vallese, brianzonese, ultraelvetico ed elvetico-delfinese. La strutturazione della catena alpina è avvenuta in tre fasi ben distinte: fase eoalpina, che ha determinato la deformazione dei domini più interni, compresi quelli ubicati su crosta oceanica (Cretaceo superiore-Paleocene); fase mesoalpina, dove si verifica la collisione tra la litosfera continentale dei blocchi africano ed europeo e conseguente deformazione dei domini intermedi (Eocene-Oligocene); fase neoalpina, che completa la struttura attuale delle Alpi con la deformazione dei domini più esterni (Miocene).

Assetto strutturale

Le unità tettoniche costituenti l'edificio della catena alpina presentano una geometria a falde di ricoprimento e una chiara vergenza europea. Le unità tettoniche alpine vengono raggruppate in sistemi di falde; si ha così il sistema australpino, costituito dalle falde derivate dalla deformazione del dominio australpino, il sistema pennidico, costituito dalle falde derivate dalla deformazione dei domini brianzonese, piemontese e vallese, e il sistema elvetico, costituito dalle falde derivate dalla deformazione dei domini ultraelvetico ed elvetico-delfinese. L'edificio alpino si è accresciuto progressivamente mano a mano che la deformazione, durante il processo di subduzione, coinvolgeva domini via via più esterni; così, le prime falde di ricoprimento individuate (sistema australpino) sono state traslate e accavallate sul dominio piemontese che, a sua volta, deformandosi ha dato origine al sistema pennidico. Successivamente, durante le ultime fasi dell'orogenesi alpina, i sistemi di falde australpine e pennidiche sono stati traslati al di sopra dei domini ultraelvetico ed elvetico-delfinese che, in seguito alla loro deformazione, hanno dato origine alle coltri elvetidi. Lo stile tettonico a falde di ricoprimento dell'edificio alpino è messo in evidenza dalle finestre tettoniche degli Alti Tauri e della Bassa Engadina, nonché dai numerosi klippen (lembi di ricoprimento isolati) presenti nella catena alpina. Le finestre tettoniche degli Alti Tauri e della Bassa Engadina mostrano, inequivocabilmente, la sovrapposizione tettonica delle coltri australpine su quelle pennidiche. Del sistema australpino fanno parte le unità di Sesia-Lanzo, Dent Blanche e Margna, comprendenti nuclei cristallini antichi di crosta africana. Il sistema pennidico comprende unità costituite da grandi lembi di ofioliti derivate dalla deformazione della crosta oceanica della Tetide e unità costituite da grandi ammassi di rocce metamorfiche “antiche” (il festone dei Massicci cristallini interni) di cui fanno parte i gruppi montuosi del Gran Paradiso, Monte Rosa, Dora-Maira, Tambò, Gran San Bernardo, Pinerolese e le Alpi Liguri, derivate dalla deformazione della crosta continentale del dominio europeo. La copertura sedimentaria del dominio piemontese, in seguito alle spinte tettoniche subite durante l'orogenesi alpina, è stata metamorfosata e costituisce un grosso spessore di rocce metamorfiche (calcescisti) che circonda il festone dei Massicci cristallini interni. Del sistema elvetico fanno parte i Massicci cristallini esterni, costituiti essenzialmente da rocce granitiche o da graniti metamorfosati, di età precarbonifera, che rappresentano il basamento cristallino delle coperture del dominio elvetico-delfinese (crosta continentale europea). A questi massicci cristallini corrispondono alcuni tra i più famosi gruppi montuosi delle Alpi Occidentali: Maures-Esterel, Argentera-Mercantour, Belledonne-Pelvoux, Monte Bianco-Aiguilles Rouges, Aar-Gottardo e Tavetsch. L'edificio alpino, inteso come insieme di falde di ricoprimento a vergenza europea, è limitato a S, in corrispondenza della zona delle radici delle falde di ricoprimento alpine, da un sistema di linee tettoniche (sistema insubrico, lineamento insubrico o lineamento periadriatico) corrispondente a profonde discontinuità della crosta. Lungo il decorso del sistema insubrico si osserva una serie di intrusioni granitoidi e tonalitiche con un'età radiometrica di ca. 30 milioni di anni (Biella, Traversella, val Bregaglia, Adamello e Vedrette di Ries). Il sistema insubrico accosta bruscamente le unità a vergenza europea con quelle a vergenza africana; di queste ultime fanno parte le Alpi e le Prealpi Lombarde e le Dolomiti. Le Alpi e le Prealpi Lombarde, così come il gruppo delle Dolomiti, sono derivate dalla deformazione postcollisionale del dominio sudalpino, caratterizzato da sedimenti di mare da neritico a relativamente profondo, depositatisi su crosta continentale africana. Le unità tettoniche costituenti le Alpi e le Prealpi Lombarde sono molto diverse da quelle costituenti l'edificio alpino in senso stretto. A S del sistema insubrico, infatti, prevalgono scaglie embricate con vergenza meridionale. Successivamente alla messa in posto delle falde alpine, il settore delle Alpi è stato sottoposto a un imponente sollevamento isostatico, indotto dal disequilibrio del sistema litosfera-astenosfera verificatosi in seguito al processo di subduzione della litosfera europea al di sotto di quella africana.

Morfologia

Le strutture così delineate rendono conto delle forme attuali della catena alpina. Anzitutto esse sono all'origine della diversa altitudine della catena nelle sue varie parti, poi della sua conformazione così dissimile passando dalla sezione occidentale a quella orientale. Questa ha forme più distese, meno aspre, e qui infatti si trovano i valichi più bassi della catena. Alla dissimmetria dei versanti nelle sezioni centrale e occidentale si deve il diverso sviluppo delle vallate, che sul lato padano sono piuttosto brevi, mentre su quello esterno hanno uno sviluppo molto maggiore. Le vallate, che tanta importanza hanno nella geografia alpina, corrispondono alle grandi fratture e alle grandi sinclinali aperte nel sistema dal corrugamento e dalla varia dislocazione delle falde. Le maggiori valli sono tendenzialmente longitudinali, cioè parallele all'asse principale della catena (è il caso della Valtellina, del Vallese, dell'Engadina, nella parte occidentale), ma numerose sono anche quelle trasversali che consentono l'accesso ai valichi e che in molti casi rappresentano l'allacciamento, attraverso le fasce prealpine, con quelle longitudinali: si hanno così comunicazioni dirette dall'interno fino alla periferia della catena. Fra le vallate trasversali spicca tra tutte quella dell'Adige, lungo e profondo solco che spezza il largo versante meridionale delle Alpi Orientali. Tutte queste vallate sono state solo in parte ampliate e scavate dall'attività erosiva anteriore al Pleistocene, la quale è stata naturalmente poderosa, togliendo alle sommità della catena spessori anche di oltre 1000 m di materiale roccioso. Ma il reticolo vallivo come si presenta oggi è il risultato di attività erosive più recenti, in particolare delle glaciazioni pleistoceniche. Data la sua altitudine e la sua posizione latitudinale l'area alpina è stata tutta sottoposta al glacialismo, sebbene solo nelle fasi più acute dell'irrigidimento climatico pleistocenico. Durante la glaciazione di Riss il limite delle nevi perenni scese in media fino a 1300 m e ciò spiega i grandi ghiacciai che giungevano con le loro lingue molto a N degli altopiani svevo-bavaresi e a S fino nella Pianura Padana. All'escavazione glaciale le vallate alpine devono le loro forme, ancora in larga parte intatte, caratterizzate da ripidi versanti e da profili perlopiù a U, con fondivalle relativamente estesi oggi colmati dai più recenti depositi alluvionali. All'apporto detritico dei ghiacciai si devono poi i grandi accumuli morenici che, spesso in perfetta forma ad anfiteatro, si dispongono allo sbocco delle vallate. Ciò si verifica sia nel versante settentrionale, all'altezza del corso medio dei fiumi danubiani, sia nel versante meridionale, dove essi giacciono al di sopra delle più antiche coltri alluvionali e diluviali che formano la Pianura Padana. L'esempio più grandioso e tra i più perfetti è rappresentato su questo versante dall'anfiteatro del Garda, formato dagli apporti morenici del grande ghiacciaio retico. Lo studio degli accumuli ha rivelato, oltre che i vari periodi glaciali, le cosiddette “fasi stadiali”, cioè le oscillazioni, i ritiri e le espansioni delle colate glaciali. In complesso si calcola che durante le glaciazioni siano state asportati dalle Alpi ben 40.000 km3 di rocce, pari cioè a tre volte il volume attuale degli Appennini; gli apporti maggiori sembrano dovuti alla glaciazione di Riss. All'erosione glaciale si deve anche la forma assunta dalle cime alpine, sebbene essa sia essenzialmente determinata dalla particolare struttura delle rocce e dalla loro giacitura. Alle forme gugliate delle cime scistose che dominano i circhi glaciali fanno riscontro quelle più possenti e squadrate delle montagne granitiche; aspetti unici assume la morfologia delle Alpi Meridionali, dolomitiche in particolare, pilastri residuali che sormontano con bastionature verticali, guglie acute, torrioni solitari le ondulate superfici della regione dolomitica. Nelle fasce prealpine pieghe e pieghe-faglie danno origine a scenografiche e variabilissime forme dove risalta il tormento degli strati, con una gamma infinita di motivi, di “stili”, tra cui quello giurassico è uno dei più caratteristici con la sua successione di anticlinali e sinclinali più o meno fratturate, più o meno distese o placate. L'attività erosiva è ancora potentemente in atto, come lo è corrispondentemente quella tettonica, manifestata dai frequenti fenomeni sismici di alcune zone alpine. Il glacialismo è limitato in genere alle aree poste al di sopra dei 3000 m e dà origine ad alcuni ghiacciai vallivi importanti, specie sul versante settentrionale, dove il limite delle nevi è più basso e dove alcune lingue glaciali si spingono fin sotto i 2000 m. Il ghiacciaio più vasto è quello dell'Aletsch, nelle Alpi Bernesi, lungo 22,3 km, cui seguono quello del Gorner e la Mer de Glace. Nel Settecento, durante quella che si suole definire piccola età glaciale, la loro lunghezza era di circa un terzo maggiore di quella odierna e attualmente il loro ritiro è continuo; complessivamente i ghiacciai coprono un'area di ca. 2500 km². Al di sotto dell'area glaciale vi è un'area, che si può definire periglaciale, dove si hanno manifestazioni erosive di tipo crionivale, provocate dal succedersi dei cicli di gelo-disgelo e che danno luogo a particolarissimi e vari fenomeni (soliflusso ecc.). Il resto dell'area alpina è sottoposto all'erosione propria delle aree temperate e dovuta in particolare all'azione prevalente delle acque correnti, cioè al ruscellamento; del tutto particolare, perché prevalentemente sotterranea e quindi meno intensa in superficie, è l'erosione carsica, che ha i suoi modelli più caratteristici nelle Alpi Giulie, ma che interessa tutta la grande fascia periferica di rocce calcaree sia sul versante esterno sia su quello interno, centrale e orientale. Dal punto di vista morfologico le Alpi presentano ovunque forme giovanili, non assestate; ma è soprattutto sul versante interno, generalmente più ripido, che l'evoluzione è più rapida e disastrosa.

Idrografia

Le Alpi rappresentano, dal punto di vista idrografico, il vero e proprio bacino di alimentazione dell'Europa. Esse danno origine infatti ad alcuni tra i maggiori fiumi europei, quali il Reno, il Rodano e il Po, e alimentano copiosamente il Danubio. Il regime di questi fiumi risente profondamente dell'alimentazione alpina, anche quando cospicui sono gli apporti d'acqua delle regioni poste al di fuori delle Alpi. Nel caso del Reno e del Rodano si può calcolare superiore alla metà il tributo d'acqua della parte alpina ricca di ghiacciai del loro bacino: da ciò il verificarsi delle piene nelle stagioni dello scioglimento delle nevi e dei ghiacci, cioè in primavera e in estate. Nel caso del Po, come pure dell'Adige, il secondo grande fiume del versante interno, le portate estive sono relativamente ridotte per il minor corredo glaciale e la povertà degli apporti prealpini (e appenninici). Ciò vale in certa misura anche per il Rodano, i cui affluenti medi e inferiori nascono da quelle che si sogliono definire le “Alpi aride”. Il Reno, il Rodano e il Po hanno i corsi principali o quelli degli affluenti alpini sbarrati da laghi: essi servono da serbatoi di regolamentazione del regime fluviale e da bacini di deposito del materiale detritico portato giù dalle veloci acque dei fiumi che scendono dalle montagne incombenti. Il lago di Costanza e i laghi delle Alpi Svizzere nel bacino del Reno, il lago di Ginevra in quello del Rodano, i laghi Maggiore, di Como e di Garda nel bacino del Po svolgono questa funzione e costituiscono un elemento inconfondibile dell'idrografia della regione alpina. Essi in generale si trovano allo sbocco delle grandi vallate invase nel Pleistocene dai ghiacciai, alla cui escavazione si devono i loro bacini, chiusi a valle da accumuli morenici. Più addentro nelle valli la formazione di piccoli bacini lacustri, sempre direttamente o indirettamente legati al glacialismo, è frequente; più in alto ancora, i piccoli laghi glaciali sono una delle caratteristiche del paesaggio. Il quadro dei laghi alpini si completa con i bacini artificiali per la produzione dell'energia elettrica, che sono numerosissimi date le condizioni ideali che la morfologia alpina offre alla creazione di sbarramenti. A un bilancio idrografico approssimativo si può dire che l'80-90% delle precipitazioni alpine finisce nei fiumi; il resto va perduto per evaporazione o si infiltra negli strati permeabili, frequenti peraltro nelle fasce calcaree prealpine, dando origine a sorgenti, perlopiù messe in luce dagli intagli vallivi, o sperdendosi nei pedemonti dove affiorano nelle risorgive.

Clima

La regione alpina si trova sotto l'influenza delle tre masse di aria che condizionano il clima dell'Europa: quella marittima o atlantica, quella continentale di NE, quella meridionale o subtropicale. Rispetto a esse le Alpi agiscono al tempo stesso da barriera e da area di transizione; operano soprattutto una funzione di baluardo tra il Sud e il Nord d'Europa e i suoi due versanti presentano perciò caratteri climatici molto diversi. Solo nella parte più elevata, centrale, l'altitudine impone le sue leggi e determina condizioni abbastanza omogenee, salvo le influenze dovute ai fattori locali. Anche nelle aree meno elevate l'altitudine ha però la sua influenza, soprattutto sulle temperature. Ma l'esposizione è qui particolarmente decisiva: in generale il versante settentrionale delle Alpi ha temperature più basse e piovosità più elevata di quello meridionale, e la situazione si ripete a livello di microclimi locali, per cui nelle vallate disposte in senso WE il versante esposto a N, meno soleggiato, è più freddo (e quindi in genere più boscoso, meno coltivato e meno abitato) di quello opposto. Sensibile è anche la diversità delle manifestazioni tra le Alpi Orientali e le Occidentali, in quanto le prime sono soggette alle masse di aria fredda continentali: nella regione dolomitica, per esempio, si registrano d'inverno i minimi termici a pari altitudine. Ma a parte queste differenze dovute agli influssi esterni, i valori termici scendono in generale con l'altitudine in misura di 1 ºC ogni 170 m. In media si calcola che la temperatura annuale sia di 8,5 ºC a 500 m sul versante settentrionale (su quello meridionale è più elevata di qualche grado); si abbassa a 4,4 ºC a 1300 m, a 0,3 ºC a 2100 m. Questa progressione non si verifica in certe situazioni invernali legate alla cosiddetta “inversione termica”, molto frequente sulle Alpi quando le pianure e i fondivalle sono avvolti dalle nebbie. Sulle Prealpi italiane più volte d'inverno si sono registrati fino a 10 ºC mentre nella sottostante pianura invasa di nebbia vi erano condizioni di gelo. Anche le precipitazioni si elevano in generale con l'altitudine: ciò secondo una progressione regolare fino a 2500 m, oltre la quale esse decrescono. La media delle precipitazioni sulla catena durante l'anno è di 1500-2000 mm. Sui massicci prealpini, esposti direttamente agli apporti umidi delle sottostanti pianure che si condensano sui primi rilievi, si registrano le precipitazioni più elevate. Esse superano i 2200 mm annui sul versante settentrionale delle Alpi Bernesi, esposte ai venti umidi da NW, e i 3000 mm nelle Prealpi Carniche e Giulie esposte all'Adriatico. Le zone più povere di precipitazioni sono alcune conche intermontane delle Alpi Occidentali (ad Aosta cadono appena 500 mm annui e valori di poco superiori nella valle del Rodano) e, nelle Alpi Centrali e Orientali, le vallate interne (come l'alta valle dell'Adige e la valle della Drava). Al di sopra dei 3500 m le precipitazioni hanno in genere sempre carattere nevoso, anche d'estate. Sulle cime più elevate del Monte Bianco cadono annualmente sino a 40 m di neve; passando alle altitudini di 2000 m gli spessori nevosi scendono fino 200 mm e anche meno sulle Prealpi italiane. Con la loro funzione di baluardo nei confronti delle varie masse d'aria le Alpi sono soggette a venti diversi: venti da S, da NW e da NE in prevalenza. Sovente queste masse, in condizioni anticicloniche, travalicano la catena e soffiano veloci sui sottostanti versanti: è così che ha origine il Föhn, caratteristico vento alpino, che spira caldo e secco sui due versanti, portando giornate luminose e temperature miti. Vento di origine transalpina, portato dalle masse d'aria continentali, è anche la bora, violenta, che si abbatte sulla zona di Trieste. Per il resto si hanno venti più locali, brezze di monte e di valle, legate però anch'esse alla generale situazione del tempo sulla regione. In quanto alle stagioni, si deve notare che l'inverno registra i più lunghi periodi di tempo stabile, legati all'influsso delle masse d'aria secca continentale. L'estate è invece caratterizzata da manifestazioni temporalesche molto frequenti cui si deve un apporto di precipitazioni e una nuvolosità (i cumuli che avvolgono le cime fino ad agosto) pari a quelle delle stagioni più instabili, cioè la primavera e l'autunno.

Flora

La flora delle Alpi si presenta molto eterogenea a causa delle vicissitudini climatiche che si sono succedute sulla catena alpina. Un primo popolamento nell'era cenozoica si è avuto con l'invasione della catena da parte di piante di ambiente steppico alpino di origine asiatica, come per esempio le primule, le androsaci, gli aconiti, le aquilegie, gli astragali, le genziane, le artemisie, o anche di specie americane trasgresse attraverso l'Asia, come l'uva orsina e l'arnica. Un contingente è giunto anche in questo periodo dalle montagne dell'Africa, come le sileni, i narcisi, i crochi, le linarie, le campanule. Qualche genere si è anche differenziato sulle montagne europee, come le soldanelle, le phyteuma, i gigli di monte. A seguito delle glaciazioni giunsero dal Nord altri generi, come i carici, le betulle, i camedri alpini, le pulsatille, mentre nei periodi interglaciali a clima secco giunsero piante steppiche come la stipa e il pino. Sulla catena alpina poi molti generi hanno dato luogo al differenziamento di specie rimaste isolate, creando così numerosi endemismi come per esempio nelle primule, che hanno ben dodici specie endemiche delle Alpi. Ad aumentare l'eterogeneità della distribuzione delle specie intervengono anche i fattori topografici ed edafici locali, come l'orientamento delle valli, l'esposizione dei versanti, la natura delle rocce. Da un punto di vista della vegetazione si osserva sulle Alpi una successione altitudinale di diversi piani caratterizzati da diversi consorzi vegetali, legati alle variazioni di quota e alle corrispondenti variazioni climatiche. Ogni piano è poi a sua volta suddivisibile in differenti orizzonti. Si riconosce un piano basale o della vegetazione pedemontana, diviso in due orizzonti. Un primo orizzonte è quello submediterraneo o delle sclerofille, comune alla zona mediterranea e a quella basale delle Alpi in aree a condizioni climatiche estremamente miti, caratterizzato dalla presenza di leccio e olivi. L'orizzonte superiore o submontano, detto anche delle latifoglie eliofile, è caratterizzato dalla presenza delle querce a foglie caduche (roverella, rovere, farnia, cerro) e dei castagni. Il piano montano o della vegetazione orofila ha un orizzonte inferiore delle latifoglie sciafile, in cui dominano i faggi, e un orizzonte superiore delle aghifoglie, in cui si hanno gli abeti rossi e i larici come essenze arboree dominanti. Il piano culminale o della vegetazione ipsofila, che sta al di sopra del limite superiore degli alberi, ha un primo orizzonte subalpino o degli arbusti contorti caratterizzato dai rododendri e dai pini montani, un orizzonte alpino occupato da praterie a nardo, festuche e carici, un orizzonte altoalpino occupato da ciuffi discontinui di vegetazione pioniera e un orizzonte nivale in cui si trovano solo muschi, licheni e alghe e rari esemplari di fanerogame.

Fauna

Le caratteristiche morfologiche, fisiologiche e biologiche della fauna delle Alpi dipendono in larga parte dalle vicissitudini paleogeografiche e paleoclimatiche, soprattutto dalle passate glaciazioni e dal conseguente adattamento degli organismi (come nelle piante) alle durissime e peculiari condizioni ambientali. Tra i vari caratteri generali riscontrabili in gruppi diversi si possono citare per esempio: l'attitudine a trascorrere periodi di vita latente (per esempio, letargo della marmotta) per superare in stato di rallentato metabolismo momenti climatici difficili, con forte economia per l'organismo e conseguente maggior probabilità di sopravvivenza; la viviparità (per esempio, salamandra nera) o la ovoviviparità in forme ovipare; mute stagionali particolari (lepre alpina, ermellino, pernice bianca) con funzione mimetica e termoprotettiva, presenza di forme melaniche, partenogenesi, riduzione dell'ampiezza delle ali (i due ultimi fatti più comuni negli Insetti) ecc. La fauna delle Alpi denota pure un'evidente eterogeneità di composizione, a seguito della permanenza in essa di forme relitte terziarie, di clima caldo, come la marmotta, e di altre, più numerose, artiche, instauratesi a seguito delle glaciazioni e rimaste sulle Alpi per isolamento ecologico. Limitatamente ai Vertebrati, si ricordano alcune specie più caratteristiche di animali delle Alpi. Tra gli Anfibi, la salamandra nera delle foreste e delle praterie, da 700 a oltre 3000 m, vivipara, la Ranatemporaria e il tritone. Tra i Rettili, importante la lucertola vivipara, che però vive anche in pianura, nonché la Vipera aspis e la Vipera berus, che si spingono sin poco sotto i 3000 m. Lunga la lista degli Uccelli: per esempio la pernice bianca, bianca d'inverno, brunastra con macchie chiare d'estate, il sordone, che frequenta praterie e sassaie sin presso i ghiacciai, il gracchio, che vola fin presso le più alte vette, il fringuello alpino, più grosso del comune, uno dei tipici abitatori delle quote più elevate, il rondone alpino, il gipeto e infine l'aquila, ormai rara. Pochi, ma molto tipici, i Mammiferi, a cominciare da due Ruminanti: lo stambecco, che si è potuto salvare grazie alla protezione che ha ricevuto nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, e il camoscio, entrambi signori delle rupi e delle solitudini rupestri. Tra i Roditori primeggia la marmotta, che d'inverno trascorre circa sei mesi nella tana in stato di profondo letargo, con l'arvicola delle nevi, l'unico topo esclusivamente alpino. Ai Lagomorfi spetta la lepre bianca o alpina, caratteristica per la vistosa diversità di livrea tra l'estate e l'inverno. Tra i Carnivori sono presenti l'ermellino, che è un predatore dell'arvicola delle nevi, la martora, la donnola, la faina; e fra i grandi Carnivori, l'orso bruno, un tempo comune in tutte le Alpi e poi ridottosi al massiccio dell'Adamello e alle Alpi Giulie slovene, e il lupo, che spostandosi dall'Appennino ha oggi ricolonizzato le Alpi piemontesi. Da citare infine il toporagno alpino.

Popolamento

Le asprezze dell'ambiente hanno sempre fortemente limitato il popolamento umano nella regione alpina. Nei suoi caratteri tradizionali esso è il risultato di un adattamento ambientale particolarissimo e ciò a causa di parecchi fattori imposti dalla natura quali il clima, le condizioni morfologiche, l'isolamento imposto ai gruppi umani. In generale c'è la tendenza a rinchiudersi e ogni invenzione culturale non esce dall'ambiente particolare in cui è nata. Il mondo alpino, come del resto ovunque il mondo montanaro, è di per sé statico, conservatore, basato su un legame strettissimo tra uomo e natura, legame rinsaldato dagli stessi immani sacrifici che richiedono l'insediamento e lo sfruttamento dell'ambiente, vera e propria “sfida eroica” dell'uomo con la montagna. Certe forme di vita tipiche della regione alpina si sono conservate immutate fin dall'epoca in cui l'uomo ha cominciato a vivere in montagna. Non solo, ma si potrebbero anche citare numerose analogie, sul piano ecologico e culturale, tra mondo alpino e mondo montanaro dell'Asia (Anatolia, Caucaso, Elburz, Hindukush, Himalaya), frutto in ogni caso di condizioni ambientali identiche, anche se non è improbabile che le originarie forme di vita montanara abbiano avuto una comune matrice culturale. La montagna alpina fu di certo conquistata progressivamente dall'uomo e la prima penetrazione nelle alte vallate si accompagnò a un adattamento locale di attività di ambiente premontano (caccia, agricoltura, allevamento). In tutta la cerchia alpina il popolamento inizia in epoca preistorica a partire dalle zone prealpine, primo arroccamento all'epoca dei grandi movimenti etnici in Europa che, sin dall'Eneolitico, già portavano gruppi umani a valicare la catena (sebbene attraverso i passi più agibili, come nelle Alpi Orientali, dove la valle dell'Adige fu subito un'importante direttrice di scambi etnici e culturali). Proprio a tale epoca (quarto millennio a. C.) risale il corpo mummificato del cosiddetto “uomo del Similaun”, dal nome del ghiacciaio nei pressi del quale fu rinvenuto. Il popolamento nelle zone prealpine e nelle grandi vallate si consolidò nell'Età del Bronzo durante la quale si ebbe, con l'uomo brachicefalo dei centri palafitticoli sorti sulle rive dei laghi, la prima decisiva affermazione di una cultura propriamente alpina, benché attestata nelle aree periferiche e meglio accessibili della regione. La conquista delle vallate più interne ed elevate ebbe sempre il carattere di un ritiro, di un arroccamento dei gruppi umani in atteggiamento difensivo. Ogni vallata, anche per ciò, si configura così come un mondo chiuso e autonomo, consolidato da un'organizzazione sociale che si perpetua nel tempo; storicamente le forme di vita locale in molte parti delle Alpi, così come sono giunte sino a noi, risalgono però al Medioevo, in particolare ai secoli successivi alle riforme di Carlo Magno che promossero sostanzialmente modi di vita e di organizzazione economica meglio adeguati alla conquista della montagna, fatto che spiega l'imporsi dell'elemento germanico in gran parte della cerchia alpina. Il popolamento medievale fu promosso dallo sfruttamento silvo-pastorale che i sovrani o i grandi feudatari avevano sollecitato, senza tuttavia intaccare quell'organizzazione sociale che spontaneamente si era formata su una base essenzialmente comunitaria. Ogni comunità si ripartì il territorio di sfruttamento dato in concessione nella misura necessaria alle proprie esigenze, ciò che rende conto del frazionamento della montagna in piccole unità insediative. Il villaggio alpino è all'inizio “una riunione di comunitari, di consorziati, di comproprietari da cui erano esclusi i foranei. Un'attitudine caratteristica degli alpini ebbe così origine: il gusto della cosa pubblica, l'indipendenza riguardo alle tutele esterne, il paradossale miscuglio di individualismo e spirito comunitario”. Si possono spiegare così anche l'unità e la coerenza del paesaggio alpino, centrato sul villaggio, aperto sul fondovalle e sul versante, il legame tra fondovalle e alti pascoli, il tutto costituente una trama valliva unitaria la cui passata unità politica è sottolineata dai castelli posti a difesa delle comunità valligiane (castelli della Valle d'Aosta, dell'Alto Adige, del Vallese, delle valli danubiane ecc.).

Forme d'insediamento

Il villaggio è l'espressione “naturale” dell'insediamento alpino. Nelle sue forme tradizionali esso raramente supera i 500 abitanti; lo si ritrova in tutto l'arco alpino, sia nelle vallate più interne sia nelle fasce prealpine, sebbene, specie nel versante settentrionale, non manchino aggregati sparsi e di più modeste dimensioni (il Weiler del mondo germanico e il maso tirolese). Esso è il centro della vita montanara: la chiesa con il campanile e il cimitero sulla piccola piazza costituiscono il fulcro della vita pubblica. I villaggi si dispongono nelle posizioni più favorevoli: solo raramente queste sono rappresentate dal fondovalle, umido, inondabile e più freddo d'estate per il minore soleggiamento. I centri di fondovalle nascono lungo le strade e hanno più spesso un'origine recente, svolgendo funzioni commerciali (negozi, mercati settimanali ecc.). I veri e antichi centri della vita alpina sono situati in prevalenza sui versanti, nella parte bassa, in molti casi allo sbocco delle valli laterali, sui conoidi di deiezione, dove c'è la possibilità di ricavare terreni agricoli e soprattutto dove non manca l'acqua. Nel disporsi sul versante il villaggio cerca la pendice meglio soleggiata e in tal senso sono meglio favoriti i versanti settentrionali delle valli longitudinali. Le limitate dimensioni degli aggregati sono in rapporto, oltre alla formazione di comunità montanare di base matriarcale o patriarcale (a quest'ultima si connette un'istituzione rigida di difesa della proprietà come il maso chiuso altoatesino), alla scarsità di spazio disponibile per l'insediamento e di suolo sfruttabile per l'allevamento e l'agricoltura. Il terreno coltivato a cereali e gli orti sono vicini al villaggio, anche a causa dei disagi che comportano le attività lavorative. I prati coltivati e concimati completano il quadro del “dintorno” di sfruttamento, elemento inscindibile dell'unità insediativa e territoriale. Ma di essa fanno parte i medi pascoli (i maggenghi: fourest, montagnettes, masi, pascoleti, stavoli, nelle varie espressioni locali), il bosco e, a quota più elevata, l'alpe, dove si ha lo sfruttamento estivo dei pascoli naturali, forma d'insediamento temporaneo centrata sulla malga (o sulla casera, il baito, l'almen, lo châlet, lo stavolo secondo la terminologia dei diversi versanti alpini). In questa unità territoriale sentieri e mulattiere sono gli elementi di raccordo tra le diverse parti del versante e tra il versante e il fondovalle. Questo è lo schema generale dell'organizzazione territoriale della vita alpina tradizionale; non mancano però strutture diverse, legate a forme di sfruttamento più particolari, minerarie, artigianali, silvicole o altre ancora d'introduzione più recente: nelle zone più favorevoli (o perché più ricche di risorse, o perché meglio collegate con le aree extra alpine più popolate ed economicamente più attive) vi è stato, in rapporto al generale processo d'industrializzazione, un profondo moto di riadattamento del popolamento all'ambiente alpino e quindi l'imporsi di una geografia dai tratti per molti aspetti nuovi.

Demografia e distribuzione della popolazione

Nella regione alpina vivono circa 12 milioni di abitanti, di cui circa il 40% germanici, il 25% francesi, il 28% italiani, il resto sloveni o piccole minoranze arcaiche, come i romanci della Svizzera e i ladini della regione dolomitica, genti “romanizzate” e discendenti dai più antichi abitanti della regione, arroccatisi al sopraggiungere di altri popoli. Gran parte di questi 12 milioni vivono nelle aree perimetrali e nelle maggiori vallate, dove si hanno densità anche dell'ordine di 100 ab./km², mentre su vasti tratti, specie nelle aree intervallive dominate da massicci aspri, si ha solo insediamento temporaneo. In genere il popolamento decresce con l'altitudine. Ciò accade in maniera vistosa già oltre i 1000 m, sebbene non manchino grossi addensamenti anche a livelli superiori. Il limite delle sedi permanenti è sui 2000 m (Trepalle, nell'alta Valtellina, è a ca. 2100 m). Tra gli effetti maggiori avutisi con l'introduzione di forme di vita e di economia diverse, di derivazione industriale, l'abbassamento generale delle sedi permanenti, che ha portato al depauperamento umano delle zone più elevate a vantaggio di quelle più basse, più dinamiche, più pronte a trasformarsi economicamente. Dalla seconda metà del sec. XX, tuttavia, lo sviluppo del turismo estivo e invernale ha frenato lo spopolamento delle alte valli, cosicché oggi risulta più penalizzata la media montagna, meno appetibile turisticamente. Lo spopolamento montano è un processo che ha seguito di pochi secoli il moto inverso, quello della conquista della montagna oltre il limite della reale utilità per effetto della pressione demografica, che nella regione alpina ha cominciato a esercitarsi già a partire dal Seicento ed è culminata nel secolo scorso, che ha visto invece correnti migratorie imponenti, sia definitive sia temporanee, delle genti alpine e prealpine verso le terre d'oltreoceano o verso le maggiori aree industriali europee. Ciò anche se l'organizzazione di un'economia di tipo moderno ha creato tutt'intorno alle Alpi grosse zone industriali, che grazie alle risorse idriche alpine hanno potuto avviare un processo di sviluppo industriale. Non mancano centri urbani che, al dominio delle grandi vallate alpine, associano compiti di raccordo tra le Alpi e le aree periferiche, svolgendo funzioni sia commerciali sia industriali: per esempio, Bolzano e Aosta, sul versante italiano, Grenoble, Annecy, Innsbruck, Graz, su quello esterno. A questi centri si aggiungono le cittadine che, per motivazioni economiche diverse, hanno superato la dimensione del villaggio con prevalente attività commerciale, acquisendo talora un volto e una vivacità di stampo urbano e promuovendo la modernizzazione della vita alpina. Tuttavia ancora oggi nei piccoli villaggi vive la maggior parte della popolazione, sia pure sulla base di un'economia non più semplicemente tradizionale, ma integrata o poggiante su attività più moderne e diversificate.

Economia tradizionale

Le espressioni proprie dell'economia alpina tradizionale sono l'agricoltura, l'allevamento e lo sfruttamento forestale. L'agricoltura, che trova gravi ostacoli nell'esiguità dello spazio coltivabile, nel clima rigido e nelle generali condizioni dell'ambiente, è sempre stata rivolta soprattutto alla coltivazione dei cereali, tra cui però il frumento non ha mai potuto superare modesti limiti altitudinali. Orzo e segale invece si spingevano sui pendii più soleggiati sino a 1800 m, limite massimo della cerealicoltura. Anche la viticoltura è stata una conquista tipicamente montanara: essa di rado supera i 500-600 m d'altezza e si è imposta grazie a pazienti lavori di terrazzamento, così ben evidenti nel Vallese, nella Valtellina, nella valle dell'Adige ecc., dove i vigneti si pongono sui versanti meglio esposti. Ovunque l'agricoltura alpina è in forte decadenza se non là dove è molto specializzata (frutticoltura, viticoltura nelle vallate maggiori e più ricche di spazi coltivabili); invece lo è meno l'allevamento, per cui si può dire che con esso l'economia alpina ritorna alle sue migliori vocazioni. Infatti l'allevamento è stato sin dagli inizi del popolamento una delle attività principali e più spontanee della regione alpina, i cui alti pascoli venivano raggiunti d'estate dalle greggi transumanti dalle pianure o dalle aree perimetrali della catena. Già in epoca romana l'allevamento, specie ovino, acquisì un'importanza economica fondamentale. L'imporsi dell'allevamento bovino si ebbe più tardi, e in modo definitivo e più razionale si affermò dopo il Seicento, sia per la decadenza della pastorizia, sia per l'aprirsi di nuovi traffici commerciali che consentivano lo smercio dei prodotti caseari. In funzione di ciò si è diffusa, con la lavorazione più razionale del latte, la tipica malga alpina, dotata di nuovi attrezzi e di impianti adeguati alle necessità dell'attività casearia. Ancor oggi, salvo nelle aree pascolive meno dotate, l'allevamento bovino costituisce la risorsa primaria fondamentale della regione alpina e ciò a scapito dell'agricoltura, con conseguente utilizzazione dei campi come prati da sfalcio. Nel contempo l'organizzazione tende a diventare cooperativistica, ciò che consente un'attrezzatura più moderna per quanto riguarda sia l'allevamento sia la lavorazione del latte. Lo sfruttamento forestale è sempre importante, benché le aree boschive, dopo secoli di depauperamento, siano relativamente ridotte. Oggi però il patrimonio forestale è ovunque ben conservato, sia come risorsa economica sia come strumento naturale di difesa contro la degradazione dei suoli. Le aree forestali più ricche si trovano sul versante settentrionale e in particolare su quello austriaco (Stiria e Carinzia), dove sorgono perciò i massimi centri di lavorazione del legno. Attività marginali di sfruttamento della montagna comprendono la raccolta di essenze (di pino mugo, di ginepro ecc.), di frutti spontanei, di funghi e altro. Le attività artigianali sono state sempre importanti, proprio per il carattere autosufficiente dell'economia alpina tradizionale; lavori in legno, in pietra o altro hanno anche dato spesso un tipico, inconfondibile volto al paesaggio alpino, specie con la casa, sempre e ovunque sapientemente costruita in funzione delle condizioni ambientali e in funzione delle disponibilità locali di materiale costruttivo (il legname prima di tutto, poi le lastre di gneiss per i tetti o il lastrame calcareo): il tutto costruito con il gusto dell'abitare imposto dallo stesso rigido clima dell'ambiente alpino. Tra le attività artigianali si può far rientrare anche lo sfruttamento minerario preindustriale, tra cui la lavorazione del ferro (che come nelle Prealpi italiane risale alla preistoria), l'estrazione di terre coloranti, di marmi pregiati, di oro alluvionale, o altro ancora.

Economia: attività industriali

L'economia industriale ha in parte distrutto o fatto irrimediabilmente decadere le antiche attività. La sua penetrazione nelle vallate alpine risale all'Ottocento, favorita dalla buona disponibilità di acqua da utilizzare sia come forza motrice sia per le lavorazioni che la richiedono in abbondanza, come le industrie tessili e le cartiere. L'introduzione dell'energia idroelettrica diede un nuovo impulso all'industrializzazione della montagna, perché fino agli anni Venti del sec. XX la sua trasmissione a distanza era difficile e costosa, per cui risultava più conveniente impiantare le fabbriche nelle valli, vicino alle centrali di produzione. Risale a quest'epoca la creazione dei grandi distretti elettrometallurgici alpini. Dopo la metà del secolo molte industrie hanno abbandonato le valli, trasferendosi in pianura e lasciando in diverse zone capannoni e stabilimenti abbandonati, a volte oggi riconvertiti ad altre attività o visitati come monumenti di archeologia industriale. Tutta la cerchia alpina è costellata di centrali elettriche, grandi e piccole, numerose soprattutto sul versante italiano, dove alcune di esse sono tra le più potenti delle Alpi, con una potenza installata superiore ai 100.000 kW. Se in talune aree il potenziale è stato quasi completamente sfruttato, in altre, soprattutto della sezione orientale, restano ancora discrete riserve. L'attività mineraria, che nei secoli scorsi interessava la Valle d'Aosta, l'Ossola, le Prealpi Lombarde, il Trentino, quasi tutta l'Austria alpina e le Alpi slovene, è ormai molto limitata, dato che molti dei vecchi impianti, poco convenienti, sono stati abbandonati. Scarso è il carbone, se si escludono alcuni grossi giacimenti di lignite (come quelli della Stiria); anche le miniere di ferro sono attive soltanto più in Austria, mentre in Italia sono state chiuse. Importanza molto maggiore hanno le cave di pietre da costruzione (marmi, graniti, porfidi, scisti).In concomitanza con la crisi degli stabilimenti più obsoleti della prima industrializzazione alpina, a partire dagli anni Sessanta del sec. XX, grazie anche al potenziamento delle comunicazioni, si è verificato in diverse valli un processo di reindustrializzazione, con l'installazione di nuovi impianti di tipo moderno. Si può parlare di poli di sviluppo che, pur secondari nel contesto europeo o dei diversi Stati in cui sono compresi, hanno acquisito una funzione decisiva nel rinnovamento economico della regione: si possono citare, benché in posizione periferica rispetto alla regione alpina vera e propria, le aree industriali di Grenoble, Innsbruck, Salisburgo, Graz, Klagenfurt sul versante esterno, l'alta Lombardia, la valle dell'Adige (Rovereto, Trento, Bolzano) su quello interno. Sono aree già interessate dalla vecchia industria tessile (in taluni casi dal setificio, legato alla coltivazione del baco da seta, o dalla produzione della lana), successivamente passate, per attrazione, a nuove attività, soprattutto manifatturiere, dato che queste sono sempre state le più adatte alla regione alpina sia in ordine al problema dei trasporti sia per la tradizione artigianale locale. In tal senso si colloca l'industria degli orologi in Svizzera, fiorente particolarmente prima dell'avvento della microelettronica che rivoluzionando il prodotto ne ha ridotto il mercato. Più in generale la meccanica di precisione si è sviluppata notevolmente con poli principali nella zona di Grenoble, in Piemonte a Villar Perosa, nel Vorarlberg, in Stiria e in Carinzia. L'industria dei mezzi di trasporto si è invece localizzata a Bolzano (veicoli industriali). Quelli alimentare, chimico, del legno e della carta rappresentano altri settori dell'industria alpina: naturalmente essa non può servire che poche aree, talora richiamando manodopera pendolare dalle zone vicine. Il settore industriale ha comunque risentito della carenza di manodopera indotta dallo spopolamento e dalla scomparsa dell'operaio-contadino (principalmente nelle Alpi francesi e piemontesi); da molti anni ormai esso risulta subire un certo indebolimento, persistendo inoltre la tendenza a localizzare i nuovi impianti nelle grandi vallate o al loro sbocco.

Economia: turismo e servizi

La grande risorsa delle Alpi è oggi diventata il turismo. Villeggiatura estiva e turismo della neve hanno dato un potente sviluppo all'industria alberghiera e alimentano ormai correnti di traffico importanti di cui, in misura differente, beneficiano diverse vallate, raggiunte da turisti provenienti anche da centri lontani, attratti dalle stazioni più organizzate e prestigiose, alcune delle quali, come Davos, Sankt Moritz, Garmisch-Partenkirchen, Cortina d'Ampezzo, Megève, Zermatt sono famose fin dall'Ottocento. Al turismo si deve in sostanza quella che si può chiamare la seconda rivoluzione economica delle Alpi, dopo quella industriale, presentando prospettive enormi proprio perché le Alpi stanno al centro di un'Europa popolatissima e interessata da economie di tipo nettamente consumistico. Il settore terziario è costituito in parte anche da attività di rispedizione, che si sono localizzate lungo i principali assi di attraversamento della catena alpina, dove la presenza delle barriere doganali determinava l'interruzione del trasporto: l'abbattimento delle barriere doganali fra gli Stati dell'Unione Europea ha ridimensionato tale comparto, lasciando alle aree di transito il solo ruolo di sostegno delle infrastrutture con i problemi ambientali connessi (già percepiti in Austria, dove viene limitato il traffico degli automezzi pesanti). Dagli anni Settanta del Novecento si è del resto già manifestata nell'arco alpino la cooperazione internazionale fra “regioni” di Stati diversi, associate secondo formule “comunitarie” non solo a difesa della propria identità culturale, ma anche per la ricerca di soluzioni concertate a problemi specifici di carattere economico, sociale e ambientale; si tratta delle tre “Comunità di lavoro”: Arge Alpe (dal 1973 Comunità delle Alpi Centrali), Arge Alpen-Adria (o Alpe Adria, delle Alpi Orientali, 1978) e CotrAo (dei Cantoni e delle Regioni delle Alpi Occidentali, 1981). Vi fanno parte circoscrizioni (a livello regionale o provinciale) appartenenti a sei Stati; il loro sistema di collaborazione è piuttosto sviluppato, in parte di tipo formale nonostante le limitazioni imposte dalla mancanza di personalità giuridica internazionale, e organizzato attraverso consigli e commissioni con poteri consultivi nei riguardi dei rispettivi Governi.

Economia: comunicazioni

Allo sviluppo turistico-industriale hanno concorso l'ampliarsi e il perfezionarsi delle comunicazioni. La ferrovia è legata alla rivoluzione industriale, la rete stradale o autostradale (dei trafori, dei grandi viadotti) alla rivoluzione turistica. Già con le costruzioni ferroviarie le Alpi erano diventate accessibili e permeabili: importanza storica assunsero perciò nell'Ottocento gli allacciamenti del Brennero, del Fréjus, del San Gottardo, dell'Arlberg e del Sempione che, tranne il Brennero, superano i valichi attraverso imponenti gallerie, tra cui quella del Sempione (19 km) è la più lunga. Grazie a esse l'industria padana ha tratto grandi impulsi, specie nei centri di Milano, vertice ferroviario del versante interno, e di Torino; nel versante esterno ne hanno tratto beneficio Innsbruck, Zurigo, Ginevra ecc. Le strade più importanti sono state costruite sostanzialmente nel Novecento, benché una rete relativamente efficiente risalisse già all'epoca napoleonica. Però esse hanno assunto una nuova e importante funzione con lo sviluppo della motorizzazione, che ha reso inadatte le vecchie arterie e ha imposto la costruzione di strade e autostrade scorrevoli in grado di superare rapidamente anche i passi di arduo accesso. In tale quadro si pongono la costruzione dei trafori del Monte Bianco, del Gran San Bernardo, del Piccolo San Bernardo, del San Gottardo e del Fréjus e di nuovi tronchi autostradali (tra gli ultimi, in ordine di tempo, vanno ricordati l'autostrada – A23 nel tratto italiano – che collega Udine a Klagenfurt, superando il valico di Tarvisio, la A32 che attraversa la valle di Susa e conduce al traforo del Fréjus e il prolungamento dell'autostrada A5 Torino-Aosta fino al traforo del Monte Bianco). Si punta ora al potenziamento dei trasporti ferroviari: è in costruzione un traforo di base sotto il San Gottardo, e altri sono allo studio sotto il Moncenisio e il Brennero.

Bibliografia

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