Lessico

sf. [sec. XIII; dal latino libertas -ātis].

1) L'essere libero; condizione di chi è libero; facoltà di vivere, di muoversi, di agire in modo autonomo, secondo la propria volontà e la propria natura, senza essere sottoposto a limitazioni e costrizioni: libertà di movimento, di azione; libertà di pensiero e di parola; libertà di stampa, d'insegnamento; avere la libertà di dire, di fare ciò che si vuole; godere libertà assoluta; animali che vivono in libertà, allo stato brado, non in cattività. In particolare, condizione di chi non è prigioniero: rimettere in libertà i detenuti politici; perdere la libertà, andare in prigione; privare della libertà, mettere in carcere. In senso politico, facoltà di esercitare determinati diritti entro i limiti stabiliti dalla legge: libertà di associazione, di riunione; libertà religiosa, potestà del cittadino di seguire qualunque credo religioso; libertà civili, quelle relative all'esercizio delle proprie attività private. Con uso assoluto, la condizione di un popolo libero, cioè l'autonomia e l'indipendenza politica, l'assenza di ogni imposizione da parte di Stati stranieri o di governi dittatoriali: lottare, morire per la libertà; i martiri della libertà.

2) L'essere libero da specifici obblighi, vincoli, legami, restrizioni e simili: non si sposa per non perdere la sua libertà; non bisogna lasciare troppa libertà ai figli. In particolare, l'essere libero da lavoro, da impegni: i pochi momenti di libertà tra un'occupazione e l'altra; oggi è il mio giorno di libertà.

3) Per estensione, facoltà, possibilità di scelta: hai la libertà di accettare o rifiutare; atto, comportamento troppo confidenziale o audace, insolente: prendersi delle libertà con qualcuno. In particolare, arbitrio, licenza: non posso prendermi la libertà di decidere io; parlare con troppa libertà, senza riguardi, licenziosamente. Con senso attenuato, confidenza: in tutta libertà, familiarmente, senza cerimonie; mettersi in libertà, togliersi gli abiti di maggior impaccio. Anche riferito a cose: libertà di un bene da ipoteche.

4) In matematica e statistica, grado di libertà, vedi grado.

Filosofia

Riferita all'Essere assoluto, Dio, la libertà è stata interpretata fondamentalmente in due modi; nel primo, la libertà è identificata con la necessità: Dio è supremamente libero in quanto nulla lo costringe dal di fuori e al tempo stesso il suo agire è assolutamente necessario, perché deriva dalla sua immutabile natura. È la posizione di Spinoza e in genere di quanti ammettono l'assoluto di derivazione idealistica. Nel secondo la libertà è interpretata come possibilità, da parte di Dio, di far essere ciò che egli vuole. In questa prospettiva la libertà è correlativa alla volontà. Così sosteneva la filosofia cristiana medievale e in particolare Duns Scoto e Occam, ma anche Cartesio e il secondo Schelling. In riferimento all'uomo il tema della libertà presenta due aspetti distinti: la libertà come autocausalità; la libertà come potere di orientarsi entro un campo di possibilità. Come autocausalità la libertà è definita la capacità dell'uomo di essere causa delle proprie azioni. In questo ambito si muovono sia le analisi aristoteliche della volontarietà di un atto (Etica Nicomachea), sia le considerazioni agostiniane e tomiste, sia ancora la concezione kantiana della libertà come noumeno, sia infine le affermazioni tipiche della tradizione spiritualistica, che fanno della libertà la caratteristica fondamentale della coscienza. Si oppongono a questa concezione della libertà quelle filosofie che attribuiscono solo all'assoluto la libertà negandola invece all'essere singolo: per esempio Spinoza e gli idealisti. Un'altra forma di negazione della libertà, come autocausalità umana, si ha in quelle filosofie che spiegano l'agire umano sulla scorta di nessi causali, determinati dall'ambiente, nessi che sfuggono al controllo dell'uomo (per esempio R. Ardigò). In questo quadro la presunta coscienza di libertà viene a dipendere dal fatto che l'uomo, non potendo conoscere tutte le serie causali, crede a un certo indeterminismo negli eventi. Coloro invece che concepiscono la libertà come capacità di orientarsi entro un certo campo di possibilità, spostano l'attenzione dall'uomo come essere libero all'agire come esercizio di libertà. Sono tali le filosofie appartenenti per lo più alla tradizione empiristica, sia nelle sue espressioni classiche settecentesche, sia nelle più recenti formulazioni del pragmatismo americano, che mentre da un lato negano l'assoluta autocausalità dell'uomo, riconoscendo il valore determinante dei motivi e delle circostanze, dall'altro rifiutano di intendere tale determinismo dei motivi come un determinismo assoluto. La libertà appare così come libertà finita e diviene caratteristica di un uso intelligente della ragione, volta a discernere, avvalendosi anche della propria facoltà di previsione, le scelte migliori in relazione alle possibilità concrete.

Diritto: generalità

I principi di libertà costituiscono i pilastri sui quali si fonda ogni moderno Stato democratico. Sotto il profilo giuridico, la parola libertà ha un'origine antica: la Magna Charta Libertatum è il primo documento giuridico che contenga un riconoscimento dei diritti di libertà dei cittadini nei confronti dello Stato, anche se nel 1215, in Inghilterra, godevano dei diritti di cittadini solo i feudatari, sudditi di un monarca cui erano, con la forza, riusciti a strappare questo riconoscimento di privilegi per se stessi. Dal 1215 passarono cinque secoli prima che i diritti di libertà ricomparissero nei documenti giuridici e, precisamente, nelle Dichiarazioni dei diritti della Rivoluzione americana (Costituzione della Virginia, 1776) e della Rivoluzione francese (1789 e 1793), mentre nella storia costituzionale del nostro Paese passò ancora un secolo e mezzo. Lo Statuto Albertino contiene sì il riconoscimento di alcuni diritti di libertà, ma in pochissimi articoli (dal 24 al 32) e con un gran numero di limitazioni, condizionamenti e ambiguità. Talora persino con il tempo dei verbi al futuro “La stampa sarà libera...”. E di fatto ciò ha reso possibile il crollo delle libertà democratiche nel ventennio della dittatura fascista senza che, formalmente, lo Statuto venisse violato. Bisogna arrivare alla vigente Costituzione repubblicana per vedere giuridicamente riconosciuto il principio della libertà nell'ordinamento dello Stato italiano. Attuando in parte la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, il legislatore costituzionale italiano ha inserito il riconoscimento dei diritti fondamentali dell'uomo nei“Principi fondamentali”, specificando poi nella parte I: diritti e doveri dei cittadini, il contenuto e i limiti dei diritti riconosciuti. Si deve innanzitutto osservare che i diritti di libertà sono, nel riconoscimento operato dall'art. 2 della Costituzione, definiti “inviolabili”. Ciò è stato interpretato da un'autorevole parte della dottrina giuspubblicistica come un limite implicito alla revisione della Costituzione, oltre al limite esplicito dell'art. 139, in ordine alla forma repubblicana. Si deve riconoscere, infatti, che se con procedimento di revisione costituzionale si modificasse notevolmente questa materia, l'intera struttura dello Stato si troverebbe a essere modificata nei suoi “pilastri” fondamentali, così come lo sarebbe se passasse da una forma repubblicana a una forma monarchica. In secondo luogo si deve osservare che la coraggiosa introduzione, nel contesto dei principi fondamentali, del secondo comma dell'art. 3 rende effettivamente operante ed efficace il contenuto dell'art. 2. Infatti, è attribuito allo Stato il compito di rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale la cui presenza rende praticamente inefficace il riconoscimento dei diritti di libertà e uguaglianza. Infatti, sorge il problema sul significato dell'affermazione “la libertà personale è inviolabile” (art. 13 Costituzione), se poi di fatto la povertà, l'ignoranza, l'emarginazione della persona non consentono di assumere una posizione di cittadino attivo. È in questo contesto che si devono inquadrare i diritti di libertà che la Costituzione riconosce e garantisce con i limiti posti a tutela degli interessi e dei diritti della collettività; il diritto alla libertà personale (art. 13), alla libertà di domicilio (art. 14), alla libertà e segretezza della corrispondenza (art. 15), alla libertà di circolazione e soggiorno (art. 16), alla libertà di riunione (art. 17) e di associazione (art. 18), alla libertà di confessione religiosa (art. 8 e 19), alla libertà di manifestazione del pensiero (art. 21), alla libertà d'insegnamento (art. 33), alla libertà di emigrazione (art. 35), alla libertà di organizzazione sindacale (art. 39), alla libertà d'iniziativa economica (art. 41), alla libertà di associazione in partito politico (art. 49) e infine, per lo straniero, il diritto di asilo, qualora nel proprio Paese gli sia impedito “l'effettivo esercizio delle libertà democratiche” (art. 10).

Diritto: delitti contro la libertà personale

La nostra Costituzione (art. 13 e seguente) tutela tutte le manifestazioni della libertà personale e il diritto penale realizza questo principio colpendo ogni reato contro la libertà personale in quanto status libertatis (godimento della libertà), la libertà fisica (sono quindi reati il sequestro di persona, l'arresto illegale, ogni limitazione immotivata alla libertà dell'individuo), la libertà morale (che comporta i delitti di minaccia, violenza privata, ecc.), la libertà di domicilio (con pene contro ogni violazione dello stesso), la libertà del segreto (pene per rivelazione di segreti professionali, per intercettazioni telefoniche, per sottrazione e soppressione di corrispondenza, ecc.).

Diritto: libertà per decorrenza dei termini

È il diritto dell'imputato detenuto in attesa di giudizio a essere scarcerato qualora entro un certo periodo di tempo, variabile secondo la gravità del reato di cui è accusato, non venga pronunziata sentenza.

Diritto: libertà vigilata

Misura di sicurezza pubblica applicata: a chi ha scontato una pena detentiva di almeno dieci anni; a chi ha ottenuto la liberazione condizionale; a chi ha scontato una pena superiore a un anno, solo però se il Codice Penale autorizza tale provvedimento (quando il fatto non è riconosciuto come reato). La libertà vigilata dura non meno di un anno e le condizioni sono imposte dal giudice.

Bibliografia

Per la filosofia

J. Laporte, La conscience de la liberté, Parigi, 1947; R. Mckeon, Freedom and History, New York, 1952; P. Pohlenz, Griechische Freiheit, Heidelberg, 1955; N. Abbagnano, Possibilità e libertà, Torino, 1956; F. E. Oppenheim, Dimensioni della libertà, Milano, 1964; Th. W. Adorno, Negative Dialektik, Francoforte, 1966; P. Flores d'Arcais, Esistenza e libertà, Torino, 1990.

Per il diritto

M. Gallo, Le garanzie costituzionali della libertà dell'uomo nella società, Roma, 1960; A. C. Jemolo, I problemi pratici della libertà, Milano, 1961; P. Barile, Le libertà nella Costituzione italiana, Padova, 1966; P. Grossi, Introduzione a uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Padova, 1967; Autori Vari, Nuove dimensioni dei diritti di libertà, Padova, 1990.

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