Lessico

sf. [sec. XIV; latino volg. *, dal classico particula].

1) Piccola parte, frazione, frammento minutissimo. In particolare, in fisica e in chimica, termine generale per indicare una porzione assai piccola di materia; in questo senso anche gli atomi e le molecole sono particelle. In fisica, elementare è un'entità materiale o energetica che, allo stato delle conoscenze scientifiche, è ritenuta indivisibile e rappresenta un costituente di altre particelle subatomiche, dette fondamentali. La fisica delle particelle fondamentali studia le particelle subatomiche che costituiscono la materia o che rappresentano il mezzo attraverso il quale in natura si trasmettono le forze, ovvero hanno luogo le interazioni.

2) In grammatica, breve parola invariabile generalmente atona e monosillabica. Ne fa un larghissimo uso il greco per rendere varie sfumature di pensiero o diverse intonazioni della voce. In italiano vi sono pronominali (mi, ti, si, gli, ci, vi, ne: diteci) e avverbiali (ci, vi, ne: ci vado).

3) In diritto, catastale, la porzione continua di terreno in grado di produrre, in ogni sua parte, lo stesso reddito. La particella catastale è tutta sita in un comune, appartiene al medesimo proprietario, è costituita dalla stessa qualità e classe di terreno e ha la stessa destinazione agraria.

Cenni storici: dalla scoperta dell'elettrone al quark

La prima particella ipotizzata teoricamente e poi scoperta per via sperimentale è stata l'elettrone. L'ipotesi della sua esistenza fu avanzata per la prima volta da M. Faraday nel 1834, per spiegare le leggi dell'elettrolisi che portano il suo nome. Faraday riteneva che i fenomeni elettrici fossero dovuti a particelle di elettricità il cui flusso costituiva la corrente elettrica. Tutte le cariche elettriche dovevano avere quindi valori multipli interi di questa carica elementare chiamata elettrone. Era questo il primo enunciato della quantizzazione della carica elettrica. La scoperta effettiva di questa particella fu fatta poi nel 1897 da J.J. sir Thomson, in una storica esperienza in cui misurò il rapporto e/m tra la carica e la massa dell'elettrone. Successivamente, nel 1908, R.A. Millikan misurò separatamente la sua carica (e=1,6x10–19 coulomb) e, servendosi del risultato di Thomson, ne ricavò anche la massa (m=9x10–31 kg). Erano trascorsi solo pochi anni dalla scoperta della radioattività (H. Becquerel, 1896), fenomeno che provava l'esistenza di una struttura interna degli atomi. Essi non erano quindi indivisibili, ma potevano trasformarsi in altri atomi con proprietà sostanzialmente diverse. Nel 1911 E. Rutherford descrisse la struttura dell'atomo in termini di un nucleo centrale di dimensioni ridottissime attorno al quale, a distanze relativamente enormi, ruotano gli elettroni. Praticamente tutta la massa dell'atomo doveva essere concentrata nel nucleo. Poiché l'atomo è elettricamente neutro, la carica elettrica del nucleo deve essere esattamente uguale e di segno opposto alla somma delle cariche portate dagli elettroni periferici. Rutherford ipotizzò che la carica positiva di ciascun nucleo fosse multipla intera della carica del nucleo dell'atomo di massa minore, cioè dell'idrogeno. Si trovò anche che, bombardando con alfa (cioè nuclei di elio espulsi da atomi radioattivi) atomi di azoto, si producevano ioni di idrogeno, cioè nuclei di idrogeno. Fu questa la seconda particella “elementare” identificata e a essa fu dato il nome di protone. La massa del protone, praticamente uguale a quella dell'atomo di idrogeno, risultò di ca. 1836 masse elettroniche. Dai valori delle masse atomiche risultò che il nucleo non poteva essere costituito da soli protoni, ma in esso dovevano essere presenti anche particelle neutre, cioè prive di carica elettrica. Queste furono effettivamente scoperte diversi anni più tardi e presero il nome di neutroni. Tra la scoperta sperimentale del protone e quella del neutrone era stata intanto provata definitivamente l'esistenza di un'altra particella di natura particolare: il fotone, cioè il costituente della radiazione elettromagnetica. Già nel 1900 M.K. Planck aveva riconosciuto che l'energia elettromagnetica viene emessa da oscillatori che possono esistere solo in alcuni stati di energia. L'ipotesi di Planck era indispensabile per spiegare la composizione della radiazione luminosa emessa dal corpo nero. Il passo successivo fu fatto da A. Einstein nel 1905 che, per spiegare l'effetto fotoelettronico, dovette ammettere che la radiazione elettromagnetica era costituita da particelle prive di massa, cioè da pacchetti di pura energia. L'esistenza reale del fotone fu provata però solo nel 1923 da A.H. Compton. Nell'effetto che prende il suo nome, Compton mostrò che i raggi X (particolare radiazione elettromagnetica di alta energia) si comportano come se fossero costituiti da particelle materiali che nell'urto con elettroni scambiano energia e quantità di moto, come avviene per esempio nell'urto tra palle di biliardo. La differenza consiste nel fatto che i fotoni dei raggi X hanno massa nulla. Mentre la radiazione elettromagnetica mostrava chiaramente la sua natura corpuscolare, si veniva anche scoprendo che alle particelle note si potevano associare ben determinate lunghezze d'onda in funzione della loro velocità. Se l'energia in una serie di fenomeni manifesta un suo aspetto corpuscolare, i corpuscoli, o particelle materiali, in un'altra serie di fenomeni manifestano un aspetto ondulatorio. Nel 1924 L.V. de Broglie aveva enunciato il principio fondamentale del dualismo onda-corpuscolo: a ogni particella in moto con velocità v era associata una lunghezza d'onda , in cui h è la costante di Planck e m la massa della particella in oggetto. Nel 1927 C.J. Davisson e L.H. Germer mostrarono sperimentalmente che gli elettroni potevano produrre fenomeni di diffrazione manifestando senza equivoci una loro natura ondulatoria. Il neutrone, la particella la cui presenza era stata prevista nell'atomo di Rutherford, fu scoperto cinque anni dopo (1932) da J. Chadwick che lo ottenne e lo rivelò in camera a nebbia bombardando con particelle alfa nuclei di atomi di berillio. L'osservazione dei neutroni e la misurazione della loro massa furono effettuate indirettamente. Chadwick osservò le tracce lasciate dai protoni ottenuti per urto su un bersaglio di paraffina da parte dei neutroni espulsi dal berillio. La paraffina è infatti un ottimo bersaglio a questo scopo in quanto contiene idrogeno in abbondanza. Nello stesso anno 1932, C.D. Anderson scoprì nelle tracce di raggi cosmici in una camera a nebbia una nuova particella: il positrone o elettrone positivo. Tale particella era stata peraltro prevista teoricamente l'anno precedente da P.A.M. Dirac, uno dei padri dell'elettrodinamica quantistica, la teoria più fruttuosa di risultati di tutta la fisica moderna. Il positrone ha esattamente la stessa massa dell'elettrone, ma ha carica elettrica opposta, è cioè l'antiparticella dell'elettrone. La teoria di Dirac prevedeva un'antiparticella per tutte le particelle note e da scoprire. Infatti, per tutte le particelle che si scoprirono in seguito si ricercarono e si trovarono anche le rispettive antiparticelle. L'elettrone positivo costituiva quindi il primo mattone per costruire l'antimateria, cioè materia i cui gli atomi fossero fatti di un nucleo carico negativamente e di positroni orbitanti attorno a esso. La caratteristica fondamentale dell'antimateria è che se una particella viene a contatto con la sua antiparticella ne consegue l'annichilazione di entrambe. Tutta la materia di cui sono costituite si trasforma in energia sotto forma di fotoni di raggi gamma. Ciò vale anche per neutroni e antineutroni, anche se queste particelle hanno carica elettrica nulla. Il neutrone si differenzia dall'antineutrone per il momento magnetico, uguale in valore assoluto, ma di segno opposto nelle due particelle. I fotoni, invece, sono antiparticelle di se stessi: in questo caso particella e antiparticella coincidono. Il passaggio di un fotone di grande energia in prossimità di una massa relativamente grande, quale per esempio quella di un nucleo atomico, produce invece il processo inverso e cioè la trasformazione dell'energia in materia con creazione di una coppia particella-antiparticella. Nel 1931 fu anche ipotizzata una nuova particella per rendere conto dei fenomeni radioattivi in cui si ha emissione di elettroni, cioè beta. La teoria di questo decadimento radioattivo (il decadimento beta) fu sviluppata rigorosamente negli anni seguenti da E. Fermi (1932-33), che chiamò neutrino la particella prevista. Il neutrino doveva avere una massa nulla o estremamente piccola, una carica elettrica nulla e doveva portare con sé l'energia mancante nel processo di decadimento beta. Sia l'antiprotone, sia il neutrino furono osservati solo molti anni dopo, rispettivamente nel 1955-56 (E.G. Segrè) e 1956 (F. Reines e C. Cowan); l'antineutrone fu osservato nel 1957. Nel 1935, intanto, era stata prevista teoricamente una nuova particella di importanza straordinaria per la comprensione della natura delle forze nucleari che tengono insieme nel nucleo anche un gran numero di protoni, nonostante l'enorme forza repulsiva coulombiana che si dovrebbe esercitare tra cariche elettriche dello stesso segno. Il fisico teorico H. Yukawa elaborò la sua teoria sulla base dell'ipotesi (avanzata inizialmente in un lavoro comune di E. Majorana e W. Heisenberg del 1933) che la forza che tiene insieme i nucleoni (protoni e neutroni) fosse dovuta al continuo scambio tra essi di nuove particelle, delle quali calcolò anche la massa. Poiché questa doveva essere intermedia tra quella del protone e quella dell'elettrone, la particella fu chiamata mesone (o particella pi greca, π, o pione). Nel 1936 fu scoperta nei raggi cosmici una particella che inizialmente sembrava possedere le caratteristiche previste da Yukawa. La massa di questa particella, chiamata inizialmente mesone mu (μ), era di ca. 207 masse elettroniche, un po' minore del valore previsto teoricamente. Inoltre, la forza con la quale i mesoni di Yukawa dovevano legare i nucleoni (si parla in questo caso di forza o interazione nucleare forte) faceva prevedere che essi dovessero interagire con estrema facilità con la materia. I cosiddetti mesoni mu passavano invece con estrema facilità e senza interagire attraverso grandi spessori di materia. In una celebre esperienza del 1947, M. Conversi, E. Pancini e O. Piccioni dimostrarono che queste particelle (trovate con carica sia positiva, μ+, sia negativa, μ) non potevano essere i mesoni di Yukawa. I mesoni π furono invece trovati nello stesso anno da C.M.G. Lattes, G. Occhialini e C.F. Powell con la nuova tecnica delle lastre nucleari. Erano queste emulsioni fotografiche speciali che venivano portate ad alta quota con palloni sonda e venivano qui esposte ai raggi cosmici. Studiando poi al microscopio queste lastre, Lattes, Occhialini e Powell trovarono che i mesoni π decadevano in un muone e in un neutrino (che però non poteva essere osservato direttamente) attraverso reazioni del tipo π+ → μ+ + νμ. A sua volta il muone decadeva in un elettrone positivo e in una coppia neutrino-antineutrino: μ+ → e+ + vμ+ νe. Reazioni analoghe furono trovate per il pione negativo, π. Entrambi i mesoni carichi π+ e π avevano la massa di 273 masse elettroniche (il valore previsto da Yukawa) e interagivano fortemente con i nuclei atomici. Successivamente (1950) fu trovato anche il pione neutro, π°, che decadeva in due fotoni. La sua massa, leggermente minore di quella dei pioni carichi, era di ca. 263 masse elettroniche. Nel 1948, intanto, i pioni carichi erano stati prodotti per la prima volta nella prima grande macchina per accelerare particelle, il Bevatrone di Berkeley. Nel 1949, sfruttando a fondo la tecnica delle lastre nucleari, Powell e Occhialini scoprirono altre nuove particelle che, per avere una vita media molto lunga rispetto al valore relativamente alto della massa (ca. 1000 masse elettroniche), vennero dette strane. Le nuove particelle furono chiamate particelle K, o mesoni K, o anche kaoni. Lo sviluppo delle grandi macchine acceleratrici di particelle rendeva intanto disponibili grandi quantità di energia che veniva utilizzata per accelerare le particelle a grandi velocità e spingerle contro bersagli fissi dove veniva creata tutta una serie di nuove particelle. Tra il 1949 e il 1954 il numero di particelle strane si accrebbe sino a costituire quattro gruppi di particelle: i mesoni K, i barioni lambda (Λ), i barioni xi, o csi (Ξ) e i barioni sigma (Σ). Mentre le particelle K hanno massa ca. uguale a metà di quella del protone, le particelle degli altri tre gruppi hanno tutte massa superiore a quella del protone e da ciò deriva il nome di barioni, cioè pesanti. La lambda esiste solo allo stato neutro, Λ°; la csi esiste in due stati di carica, neutro e negativo (Ξ°, Ξ); la sigma esiste in tre stati di carica, positivo, negativo e neutro (Σ+, Σ, Σ°). Per tutte queste particelle sono state trovate le corrispondenti antiparticelle. Un'altra particella strana fu poi scoperta nel 1964, la Ω (omega meno), nota solo nello stato di carica negativo. Acceleratori sempre più potenti facevano inoltre scoprire tutta una serie di particelle che non avevano una massa ben definita e quindi avevano una vita media estremamente breve: le risonanze. In ogni caso, il proliferare apparentemente incontrollato di particelle rendeva necessaria l'elaborazione di una teoria che riconducesse a uno schema semplice l'enorme numero di dati sperimentali. Nel 1963 M. Gell-Mann e G. Zweig proposero un fortunato schema di unificazione; in esso i mesoni e i barioni erano considerati costituiti da tre tipi di particelle con carica elettrica frazionaria (–1/3e e 2/3e rispetto alla carica dell'elettrone) chiamate quark. Ai quark introdotti in quello schema vennero dati i nomi bizzarri di up (sopra, simbolo u), down (sotto, simbolo d), strange (strano, simbolo s). Naturalmente, per ogni quark fu considerato il corrispondente antiquark u, d, s, contrassegnato da una lineetta sopra il simbolo della particella. Tutte le particelle soggette all'interazione forte (adroni) note sino ad allora potevano essere considerate composte da questi soli tre quark. Il modello prevedeva inoltre altre combinazioni dei quark corrispondenti a particelle non ancora osservate, la cui effettiva rivelazione sperimentale sancì il definitivo successo di questo “modello a quark” per gli adroni.

Fisica: classificazione delle particelle elementari

Con l'introduzione del modello a quark, tutte le particelle poterono essere classificate in due grandi categorie: i leptoni e gli adroni. I leptoni, che sono effettivamente particelle elementari, cioè prive di struttura interna, comprendono tre famiglie: l'elettrone (e) e il neutrino elettronico (νe); il muone (μ) e il neutrino muonico (νμ), e, scoperti più recentemente, il tau (τ) e il neutrino tauonico (ντ). A ognuna di queste particelle corrisponde la relativa antiparticella. L'antineutrino elettronico partecipa al decadimento beta dei nuclei radioattivi, mentre gli antineutrini muonico e tau partecipano rispettivamente al decadimento del muone e della particella tau. Tutti i leptoni hanno la caratteristica di non interferire facilmente con la materia: le interazioni a cui prendono parte sono le interazioni deboli e le interazioni elettromagnetiche. L'altra categoria di particelle, gli adroni, si distinguono dai leptoni in quanto soggetti alla “interazione forte”. Tale interazione è responsabile del legame tra i protoni e i neutroni nel nucleo atomico. Gli adroni si dividono in due sottocategorie: i mesoni e i barioni. Alla categoria dei barioni appartengono, per esempio, il protone e il neutrone, costituenti dei nuclei atomici, mentre a quella dei mesoni, che inizialmente erano considerati i mediatori dell'interazione forte, appartengono, per esempio, i pioni e i kaoni. Il modello a quark suggeriva che gli adroni non fossero particelle veramente elementari, ma dotate di una struttura interna; in particolare i mesoni risultavano costituiti da una coppia quark-antiquark, mentre i barioni da tre quark. I quark interagiscono con i leptoni attraverso la forza debole e quella elettromagnetica (quella introdotta da Maxwell attraverso le leggi dell'elettromagnetismo e sistemata in fisica moderna nell'elettrodinamica quantistica), ma interagiscono tra loro attraverso la forza nucleare forte. I quark hanno l'importante proprietà di avere carica elettrica frazionaria rispetto a quella dell'elettrone (u=+2/3; d=s=–1/3). Per esempio il protone è costituito dai quark uud: ha quindi carica complessiva +1. Nel mesone K° è presente il l'antiquark strange; è quindi una particella strana con carica nulla. Le particelle strane sono caratterizzate infatti dall'avere nella loro composizione almeno un quark s o l'antiquark corrispondente. Un elemento molto interessante di questo schema è che esiste una corrispondenza abbastanza buona tra quark e leptoni, con due famiglie di quark e due famiglie di leptoni, tutte particelle che possono essere considerate come elementari, al contrario di tutte le altre che sono dette fondamentali. Tuttavia, al momento dell'introduzione dello schema, la simmetria tra quark e leptoni non era completamente rispettata in quanto ai quattro leptoni delle due famiglie allora conosciute corrispondevano solo tre quark. Inoltre alcuni decadimenti dei kaoni risultavano anomali e spiegabili solo con l'esistenza di un quarto quark di cui fu prevista la massa con buona approssimazione. Tale previsione fu di stimolo alla sua ricerca, che culminò nel 1974 con la scoperta della J/ψ, composta dal nuovo quark c che fu chiamato charm, incanto. Il c ha carica +2/3 e la sua presenza in numero dispari in una particella caratterizza una nuova proprietà, il charm, o incanto. Un esempio di particella incantata è il mesone D+ composto da una coppia di quark, un charm e un antidown. Il termine mesone, in questo caso, ha solo valore storico in quanto la massa, sia della D, sia della J/ψ, è molto maggiore della massa del protone. A questo schema, già completo nella sua struttura, si venne ad aggiungere la successiva scoperta di particelle appartenenti a una terza famiglia: il leptone tau con il relativo neutrino tauonico e il quark b, bottom, basso, a cui doveva essere associato un altro quark, già chiamato t, top, alto, ancora prima di essere scoperto. Questo quark fu poi scoperto nel 1995 con il grande acceleratore del Fermilab di Chicago. Lo studio dei quark, e quindi delle proprietà ultime della materia, venne affrontato all'interno di una nuova importante branca della fisica delle particelle fondamentali: la quantocromodinamica (QCD), o cromodinamica quantistica. Il termine è stato coniato sul modello di elettrodinamica quantistica, la teoria quantistica delle interazioni elettromagnetiche. In base alla QCD, i quark si differenziano anche per una caratteristica alla quale è stato assegnato il nome di “colore”, ma che non ha niente a che vedere con il colore comunemente inteso. Ciascuno dei quark u, d, s, c, b, t può esistere in uno dei tre stati di colore “blu”, “rosso”, “verde” e ciascuno degli antiquark può esistere in uno dei tre stati di “colore complementare”, “giallo”, “blu-verde” (o “cian”), “porpora” (o “magenta”). L'essere di tipo u, d, s, c, b, o t caratterizza ciò che si chiama il “sapore” dei quark. I barioni e gli antibarioni sono formati da quark di diverso colore; i mesoni sono formati da un quark e un antiquark di colori complementari. Tutti i quark cambiano continuamente colore all'interno delle particelle in modo che la caratteristica colore non sia mai osservabile: qualsiasi particella è sempre “bianca”, cioè priva di caratteristiche di colore. In questo modo viene salvato un importante principio della fisica atomica e nucleare, cioè il principio di esclusione di Pauli. Tutte le interazioni tra quark possono essere interpretate come mutamenti di un quark in un altro. Per quanto riguarda l'interazione tra quark, si ammette l'esistenza di particelle prive di massa, i gluoni (dal termine inglese che significa collante, colla), responsabili della vera forza forte, quella che tiene insieme i quark negli adroni, e della quale la forza forte che lega i nucleoni nel nucleo è solo una debole immagine. La teoria prevede che la forza forte sia indipendente dalla distanza tra due quark e ciò implica un'energia enorme per separarli: per allontanare di un paio di centimetri un quark dal suo protone sarebbe necessaria un'energia tale da alzare un uomo all'altezza di 10 metri. Anche fornendo questa energia a un quark non sarebbe però possibile osservarlo isolatamente in quanto tale energia produrrebbe coppie quark-antiquark. Questo fatto spiega perché non sia mai stato osservato un quark isolato.

Fisica: le particelle responsabili dell’interazione debole

La fisica delle particelle fondamentali, o fisica fondamentale, ha avuto nel corso degli anni Ottanta un fortissimo impulso. Il completamento di una nuova generazione di acceleratori di particelle alla fine degli anni Ottanta (lo Stanford Linear Collider, SLC, e soprattutto il Large Electron Positron Collider, LEP) ha permesso di esplorare domini di energia prima inaccessibili, aiutando a risolvere quesiti, ma anche ponendone di nuovi. Le ricerche condotte in essi sono state dirette principalmente alla verifica e al completamento delle teorie che intendono spiegare in modo unitario tutta la realtà fisica e in particolare la riduzione di tutte le interazioni, cui sono soggette la materia e l'energia, a un'unica interazione. La principale teoria di riferimento è denominata Modello Standard, ma è più una somma di teorie che una teoria unificata vera e propria in quanto rappresenta solo una somma della teoria delle interazioni elettrodeboli e della cromodinamica quantistica (QCD). In base a questo modello, i mattoni elementari della materia sono costituiti da fermioni (quark e leptoni) divisi in 3 famiglie ordinate per valori crescenti della massa delle particelle componenti. La quasi totalità della materia che ci circonda è costituita da particelle appartenenti alla prima famiglia (l'up e il down per i quark, l'elettrone e il neutrino elettronico per i leptoni), mentre le particelle appartenenti alle successive famiglie sono state prodotte in laboratorio o rivelate nei raggi cosmici. Il Modello Standard non prevede il numero delle famiglie di particelle, tuttavia un importante risultato sperimentale del LEP, il grande collisore di elettroni e positroni in funzione a Ginevra sino alla fine del 2000, ha consentito di fissare a 3 il numero di queste famiglie. L'ultimo componente della terza famiglia, il quark top, simile al quark up, di massa molto maggiore, è stato scoperto nel 1995, mentre la prima evidenza sperimentale diretta dal neutrino tauonico, un altro componente della terza famiglia, si è avuta nel 2000, anche se la sua esistenza, associata al leptone tau, non era mai stata messa in dubbio. Le interazioni tra le diverse particelle elementari sono rese possibili dallo scambio di altre particelle (bosoni vettori): il fotone nell'interazione elettromagnetica, le particelle W± e Zº nell'interazione debole. Per rendere matematicamente coerente il quadro della fisica fondamentale descritto dal Modello Standard, in cui sono rappresentate tutte le interazioni e tutte le particelle note, è necessario però postulare l'esistenza di un'altra particella fondamentale, il bosone di Higgs, di cui la teoria non è attualmente in grado di prevedere il valore della massa. Gli esperimenti condotti negli ultimi anni di funzionamento del LEP hanno potuto solo definire un limite inferiore alla sua massa pari a circa 100 GeV. Principalmente per la sua rivelazione e per il suo studio è stato deciso di costruire al CERN l'anello di protoni LHC. La teoria elettrodebole ha superato ogni prova e tutti i risultati sperimentali si sono rivelati in perfetto accordo con le sue previsioni, tuttavia è certamente incompleta in quanto, al di là del fatto che la particella di Higgs (necessaria perché la teoria sia coerente) non sia ancora stata prodotta, ha il grave inconveniente di non essere in grado di prevedere i valori di costanti fondamentali quali il valore delle masse dei quark e dei leptoni e neppure, come si è detto, il numero di famiglie di queste particelle. Per ciò che riguarda poi le interazioni tra i quark, mediate da 8 gluoni portatori della carica di colore e privi di massa, i risultati sperimentali sono perfettamente in accordo con le previsioni della teoria della cromodinamica quantistica (QCD) e tuttavia anche in questo caso i fisici concordano nel considerarla una teoria incompleta. Il tentativo di unificazione della teoria QCD e della teoria elettrodebole ha portato, nell'ambito del modello standard, a una teoria unificata denominata GUT (Grand Unified Theory), o Teoria della Grande Unificazione, ma anch'essa presenta delle difficoltà in quanto prevede che il protone sia instabile, ma con una vita media che è certamente inferiore a quella effettiva. Mentre le ricerche sperimentali pongono grande affidamento nella scoperta del bosone di Higgs, affidata alla grande macchina europea LHC, i fisici teorici hanno definito una serie di possibili scenari in relazione al valore della massa di questa particella. In uno di questi scenari si è sviluppata la teoria della supersimmetria (SUper SYmmetry, o SUSY) per la quale viene ipotizzata una simmetria tra fermioni e bosoni (i mediatori delle interazioni) dove a ogni particella corrisponde una compagna supersimmetrica con tutti i numeri quantici uguali, a eccezione dello spin che differisce del valore di 1/2. Le motivazioni teoriche a favore della supersimmetria sono molto forti, soprattutto perché la teoria offre la possibilità di capire l'origine dei rapporti di massa tra le diverse particelle. La teoria della supersimmetria è stata sviluppata in varie versioni, ma in tutte le particelle supersimmetriche sono indicate con un segno [~] sopra il simbolo della particella corrispondente e con una s davanti al nome: la particella supersimmetrica dell'elettrone e, è quindi il selettrone ẽ; le particelle supersimmetriche dei quark sono chiamate squark, le supersimmetriche dei leptoni, sleptoni. Per le particelle (bosoni) responsabili delle interazioni viene invece utilizzato il suffisso “-ino”: la supersimmetrica del fotone è il fotino, del gluone il gluino, delle particelle W e Z il wino e lo zino. Le teorie supersimmetriche non danno peraltro molte indicazioni in relazione alla previsione della massa delle particelle corrispondenti, fatto che ne rende molto difficile la ricerca, tanto che nessuna particella supersimmetrica è stata sinora prodotta o rivelata. Le teorie di supersimmetria sono state sviluppate nell'ipotesi che la particella di Higgs abbia spin 0 e che la sua massa sia dell'ordine di 200 GeV: se però la massa fosse maggiore, i modelli teorici dell'interazione elettrodebole prevedono fenomeni del tutto nuovi. Se poi la particella di Higgs avesse una massa dell'ordine di 1 TeV, sarebbe molto difficile poterla considerare come elementare. Nell'ambito di questa possibilità, si è ipotizzato che la particella di Higgs possa essere costituita da due particelle di spin pari a un mezzo. Sarebbe allora necessario ammettere l'esistenza di tutta una nuova serie di particelle pesanti con spin un 1/2 per le quali è stato proposto il nome di techniquark e che sarebbero sottoposte a una nuova interazione forte, l'interazione techiquark.

Fisica: caratteristiche delle particelle

Le particelle si distinguono in base ad alcune grandezze che ne caratterizzano o l'individualità o il comportamento nell'interazione con altre particelle e nel decadimento. Le caratteristiche individuali delle particelle sono: la massa; la carica elettrica; lo spin intrinseco; il momento magnetico; la vita media. La massa è riferita solo alla massa inerziale della particella e cioè alla resistenza opposta all'accelerazione. Per l'equivalenza massa-energia è molto spesso comodo indicare il valore delle masse in termini di unità energetiche. Si usa a questo scopo il MeV (1 MeV=106 elettron-volt), in cui 1 eV è l'energia cinetica acquistata da un elettrone accelerato dalla differenza di potenziale di 1 V. Si ha l'equivalenza: 1 eV=1,78x10–36 kg; in base a essa la massa dell'elettrone è di 0,511 MeV. La massa delle altre particelle viene espressa o in MeV o in masse elettroniche. Il valore della massa dell'elettrone è un dato sperimentale: anche le più recenti teorie non sono in grado di spiegare perché abbia proprio quel valore e non un altro. La carica elettrica delle diverse particelle fondamentali, a eccezione dei quark, è sempre uguale a quella dell'elettrone o a quella del protone, oppure è nulla, come nel caso del neutrone. Anche il valore della carica elettrica elementare non può essere previsto per via teorica. Il modo in cui le diverse cariche elettriche interagiscono tra loro è invece spiegato esaurientemente nell'ambito dell'elettrodinamica quantistica. È anche spiegato teoricamente come le particelle si presentano nei diversi stati di carica. Lo spin intrinseco è una grandezza introdotta per rendere conto dei fenomeni osservati nel comportamento delle particelle: con un'analogia meccanica, certamente molto distante dalla realtà, si dice che le particelle si comportano come se fossero animate da un moto di rotazione attorno a un asse. La grandezza che misura questa rotazione, o spin, è il momento della quantità di moto, ovvero, con terminologia anglosassone, il momento angolare. I valori del momento angolare intrinseco di tutte le particelle sono legati strettamente a quello dell'elettrone, che viene così usato come unità di spin. Esso è uguale a , con h uguale alla costante di Planck. Si usa spesso il termine (acca tagliato) per indicare il valore . In funzione dello spin, tutte le particelle si dividono in due categorie: quelle che hanno spin semintero, come l'elettrone e il protone, e quelle che hanno spin intero, come il pione. Le particelle con spin semintero obbediscono alla statistica di Fermi-Dirac e sono dette fermioni; quelle con spin intero obbediscono alla statistica di Bose-Einstein e sono dette bosoni. Sono poi dette bosoni vettori quelle con spin uguale a 1. Ogni carica elettrica in rotazione equivale a una corrente elettrica circolante in una spira e questa corrente è equivalente a un dipolo magnetico disposto perpendicolarmente al piano della spira. Allo spin delle particelle è pertanto associato un momento magnetico che, come lo spin, può assumere solo valori discreti. In generale, questo momento magnetico vale , con c uguale alla velocità della luce e con m uguale alla massa della particella. Se m è la massa dell'elettrone, questa grandezza è detta magnetone di Bohr. La vita media è il periodo che intercorre tra la produzione di una particella in un processo di creazione e il suo decadimento in altre particelle; poiché le leggi della fisica subatomica sono leggi probabilistiche, non è possibile prevedere con esattezza la vita di una singola particella: è invece possibile prevedere o calcolare per quanto tempo vivranno in media un gran numero di particelle. Esistono grandi varietà di vita media e pertanto questa grandezza è una caratteristica individuale delle singole particelle. § Le grandezze che caratterizzano il comportamento delle particelle nelle interazioni e nel decadimento sono: la parità intrinseca; lo spin isotopico; il numero di famiglia; la stranezza. Si potrebbe aggiungere a queste anche l'incanto o l'essere costituite da qualcuno dei nuovi quark scoperti dopo il quark che porta la stranezza. La parità intrinseca stabilisce se esiste simmetria tra la configurazione di un sistema e la sua immagine speculare. Se una particella è rappresentata mediante la sua funzione d'onda, tale funzione può essere pari o dispari, ovvero positiva o negativa, a seconda che si abbia f(r)=f(–r) oppure f(r)=–f(–r), in cui f è la funzione d'onda e r rappresenta la coordinata radiale. La parità intrinseca è definita rispetto ai nucleoni, ai quali è assegnata per definizione parità uguale a +1. Essa può essere, in generale, espressa dai numeri +1 o –1, oppure dalle diciture pari o dispari. Il numero di famiglia è riferito ai leptoni e ai barioni secondo la convenzione per cui si assegna numero di famiglia +1 alla particella (leptone o barione) e numero di famiglia –1 all'antiparticella. All'interno delle tre famiglie di leptoni (elettrone, muone, particella tau) è definito un numero di famiglia per ciascuna di queste tre sottofamiglie. Si hanno pertanto un numero di famiglia muonico, un numero di famiglia elettronico ecc. Lo spin isotopico è un vettore che esprime quantitativamente il fatto sperimentale che le particelle si presentano in gruppi omogenei (detti multipletti) sia per caratteristiche strutturali, sia per modi di interazione. Il formalismo consente di definire una coordinata che può assumere solo valori discreti; ognuno di questi valori corrisponde a una particella del multipletto ed è interpretabile come la componente di un vettore, lo spin isotopico, lungo l'asse z di un sistema di coordinate. Nel caso del nucleone, per esempio, lo spin isotopico è . A seconda che la componente di questo vettore valga o , si ottiene il protone o il neutrone, considerati come due stati diversi di una stessa particella: il nucleone. Nel caso del pione, lo spin isotopico è l=1: i tre valori lz=0, +1, –1 corrispondono ai tre stati del tripletto, cioè alle tre particelle π°, π, π+.

Fisica: leggi di conservazione

Il termine conservazione, in fisica, si riferisce a grandezze che restano complessivamente costanti in un determinato processo. In fisica delle particelle, le leggi di conservazione sono state introdotte per rendere conto del fatto che alcuni processi e alcune interazioni non sono stati mai osservati. In effetti, esse sono utili non tanto per stabilire i processi che sono vietati, quanto per stabilire quelli che sono permessi in base a un principio euristico, per cui tutto ciò che non è esplicitamente proibito da qualche legge fisica universale può in qualche modo aver luogo. Le grandezze soggette a leggi di conservazione si distinguono in due categorie: quelle che sono conservate in assoluto e quelle che sono conservate in certi processi e non in altri. Alla prima categoria appartengono le grandezze per cui valgono analoghe leggi di conservazione nella fisica macroscopica (in particolare in meccanica) e cioè: l'insieme di massa ed energia; il momento della quantità di moto (compreso lo spin intrinseco); la quantità di moto; la carica elettrica. La prima legge di conservazione, cioè della conservazione dell'energia, afferma che in un processo la somma delle energie e delle masse a riposo delle particelle che vi prendono parte deve rimanere invariata prima e dopo l'interazione. Nel decadimento di una particella in altre di minore massa a riposo, l'energia corrispondente alla differenza di massa, si manifesta sotto forma di energia cinetica dei prodotti di decadimento. In realtà, la meccanica quantistica prevede che questa legge possa essere violata per un certo intervallo di tempo definito dalla relazione di indeterminazione di Heisenberg: ΔtΔE=h In questo modo possono essere create “dal nulla” particelle di massa corrispondente a un'energia ΔE e possono esistere per un tempo Δt=/ΔEh. Particelle di questo tipo sono dette virtuali. Nella teoria di Yukawa, per esempio, un nucleone è centro di attività attorno al quale si creano e scompaiono continuamente particelle di tutti i tipi, ma soprattutto pioni. Essi non possono essere né espulsi, né rivelati, ma vengono emessi e riassorbiti entro un tempo Δt di ca. 10–24 s in una regione di raggio uguale a ca. 10–13 cm dal centro del nucleone. Le particelle circondate in questo modo da particelle virtuali sono dette per contrapposizione vestite. Le particelle interagiscono tra loro appunto attraverso lo scambio di queste particelle virtuali. Le leggi di conservazione della quantità di moto e del momento angolare assumono lo stesso aspetto che in fisica classica a eccezione del fatto che queste grandezze sono quantizzate e sono soggette al principio di indeterminazione di Heisenberg. Aspetto particolare assume la legge di conservazione della carica elettrica che è parte essenziale dell'elettrodinamica quantistica. A questa legge è legata l'assoluta stabilità dell'elettrone: essendo questa la particella elettricamente carica di massa minore, essa potrebbe infatti decadere solo in particelle elettricamente neutre. Un tempo si consideravano assolute anche le leggi di conservazione del numero barionico e del numero leptonico (ma anche del numero elettronico e del numero muonico). Per la prima, la somma dei numeri barionici delle particelle che prendono parte a un'interazione o a un decadimento dovrebbe restare invariata prima e dopo il processo. Queste leggi di conservazione non sono però legate a nessun principio fondamentale. Infatti esistono teorie che generalizzano il modello standard (dette “Teorie di Grande Unificazione”) che prevedono il decadimento del protone, anche se con una vita media molto lunga. Una nuova legge di conservazione assoluta è invece espressa dal cosiddetto teorema TCP. Per essa, se a un dato processo vengono applicate le operazioni T, C e P, si ottiene un altro processo ugualmente possibile. L'operazione T indica l'inversione dell'asse temporale, la C la coniugazione di carica, cioè la trasformazione di tutte le particelle che prendono parte al processo nelle corrispondenti antiparticelle, e l'operazione P, parità, la costruzione dell'immagine speculare. Sono invece leggi di conservazione non assolute: a) la conservazione dello spin isotopico; b) la conservazione della stranezza; c) la conservazione della parità; d) il risultato della coniugazione di carica C, dell'inversione temporale, T e della parità P, prese singolarmente o a due a due. Queste leggi di conservazione sono sempre soddisfatte nelle interazioni forti, tuttavia la conservazione dello spin isotopico non vale già più nelle interazioni elettromagnetiche, mentre la conservazione della stranezza e della parità e l'invarianza per coniugazione di carica sono violate nelle interazioni deboli.

E. Fermi, Particelle elementari, Torino, 1952; R. E. Marshak, Meson Physics, New York, 1952; B. Rossi, High Energy Particles, New York, 1956; G. F. Chew, S-Matrix Theory of Strong Interaction, New York, 1962; R. K. Adair, E. C. Fowler, Strange Particles, New York, 1963; M. Gell-Mann, Y. Ne'eman, The Eightfold Way, New York, 1964; E. Segré, Nuclei e particelle, Bologna, 1966; R. Gouiran, Particelle e acceleratori, Milano, 1967; K. W. Ford, La fisica delle particelle elementari, Milano, 1970; P. Caldirola, Dalla microfisica alla macrofisica, Milano, 1974; V. Rydnik, La meccanica quantistica, Roma, 1975; P. Caldirola, E. Fiorini (a cura di), Il mondo subnucleare. La fisica delle particelle, Milano, 1977; S. Weinberg, I primi tre minuti, Milano, 1977; N. Calder, La chiave dell'Universo, Bologna, 1979; L. Maiani (a cura di), Le particelle fondamentali, Milano, 1981; idem, Campi, forze e particelle, Milano, 1991.

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