Generalità

sm. (pl. -ci o -chi) [sec. XX; psico-+farmaco]. Sostanza naturale o sintetica capace di modificare le funzioni superiori del sistema nervoso centrale inducendo variazioni nell'atteggiamento psichico e comportamentale dell'individuo. Lo studio degli psicofarmaci si è sviluppato solo negli ultimi decenni del sec. XX, ma sin da tempi antichissimi l'uomo ha cercato di conoscere e di utilizzare i mezzi che lo rendessero capace di controllare i processi mentali. Nelle varie civiltà ciò è avvenuto attraverso l'uso di droghe di natura diversa, adoperate il più delle volte durante cerimonie magiche o divinatorie o nel corso di funzioni religiose. Molte di queste droghe tradizionali rivestono tuttora un elevato interesse scientifico, spesso non inferiore a quello degli psicofarmaci di sintesi. Psicofarmaci appartenenti a classi diverse hanno meccanismo d'azione diverso; inoltre il meccanismo di azione di molti psicofarmaci è ignoto.

L'azione degli psicofarmaci

È possibile però dire che in genere gli psicofarmaci interferiscono con la trasmissione dell'impulso nervoso a livello sinaptico. Alcuni psicofarmaci si comportano come mediatori endogeni e stimolano i recettori del neurone postsinaptico (per esempio la morfina e gli oppiacei in genere, le amfetamine); altri psicofarmaci si legano ai recettori senza stimolarli, con l'effetto di inibire l'azione del mediatore endogeno (per esempio la scopolamina e gli altri alcaloidi della belladonna); altri ancora inibiscono la degradazione o il riassorbimento del mediatore endogeno, prolungandone l'azione (per esempio l'iproniazide, uno psicofarmaco antidepressivo che inibisce le monoamminossidasi cellulari e aumenta la disponibilità di dopamina e 5-idrossitriptamina), o all'inverso provocano la deplezione del mediatore (per esempio la reserpina). Solo un ristretto gruppo degli psicofarmaci noti agisce su strutture cellulari non associate alla sinapsi (per esempio le metilxantine che inibiscono la fosfodiesterasi intracellulare prolungando l'azione non del primo, ma del secondo mediatore). Vi sono psicofarmaci sicuramente efficaci nel trattamento di alcune psicopatie, ma quasi del tutto oscuri sono i meccanismi con i quali essi agiscono, anche perché poco si conosce ancora sui fattori patogenetici che sono alla base delle diverse malattie mentali. La neurochimica e la moderna neurofisiologia forniscono le più utili indicazioni per la ricerca di psicofarmaci sempre più efficaci e selettivi. Questi stessi psicofarmaci, per contro, costituiscono un mezzo prezioso per studiare gli intimi meccanismi delle attività cerebrali superiori e le origini delle loro alterazioni patologiche. Va ricordato, a tale proposito, che mediante la somministrazione di alcuni psicofarmaci si possono transitoriamente provocare alterazioni psichiche e comportamentali del tutto simili a quelle che si osservano in comuni malattie di interesse psichiatrico.

Classificazione

La classificazione degli psicofarmaci è particolarmente difficile. Molto spesso l'attività di questi composti è valutata non tanto in base a effetti farmacologici definiti quanto alla luce di risultanze e impressioni di carattere clinico. D'altra parte, essendo poco noto il meccanismo d'azione, non è possibile raggruppare in modo razionale gli psicofarmaci per categorie definite, anche quando si considerino le affinità di indicazione terapeutica esistenti tra i vari composti. Per di più, quasi tutti gli psicofarmaci possiedono, accanto all'azione psicotropa, effetti più o meno marcati a livello periferico, cosicché i risultati del loro impiego non riflettono solo le influenze esercitate sui centri nervosi superiori, ma sono la risultante degli effetti a carico della sfera psichica, della sfera neurologica centrale e periferica e dell'azione sui vari organi e apparati extracerebrali. Con diverse riserve deve essere quindi considerata la classificazione "Per la tabella dei psicofarmaci vedi pg. 85 del 18° volume." "Per la classificazione vedi tabella al lemma del 16° volume." che tiene conto sia dei parametri farmacologici sperimentali sia di criteri di ordine clinico-terapeutico. È da sottolineare che, accanto a farmaci di notevole importanza clinica, come i sedativi, i tranquillanti, gli antidepressivi, vi è la categoria degli psicostimolanti che ha impieghi terapeutici limitati, comprendendo però sostanze di grande interesse tossicologico per la proprietà di provocare assuefazione o per l'impiego voluttuario e incontrollato che di esse viene fatto (tossicomania). Per esigenze pratiche una caratteristica degli psicofarmaci che deve essere definita è quella della selettività d'azione: in questo senso esistono psicofarmaci ad ampio spettro d'azione, come i barbiturici, i quali risultano attivi nel combattere la maggior parte degli stati di tipo eccitatorio; altri psicofarmaci hanno invece uno spettro di attività molto ristretto e selettivo; per esempio, i derivati triciclici, che possiedono efficacia clinica soltanto nelle sindromi di tipo specificamente depressivo. Sempre nell'ambito degli antidepressivi esistono composti attivi prevalentemente sul tono dell'umore (timolettici) e composti con più intensa attività neuropsicostimolante (timeretici). A loro volta questi farmaci agiscono con differente intensità secondo che nel quadro depressivo predomini uno stato di agitazione ansiosa, o un blocco dell'ideazione, o l'inibizione psicomotoria, ecc. Una certa selettività d'azione si riconosce anche ai tranquillanti maggiori o neurolettici, composti che possiedono una spiccata attività antipsicotica attraverso la quale è possibile controllare stati allucinatori e deliranti e turbe di carattere schizofrenico.

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