Lessico

agg. e sm. (pl. m. -ci) [sec. XIX; da barbabietola (da cui è estratto l'acido malonico)+urea]. I barbiturici sono farmaci sintetici nel recente passato largamente impiegati in medicina come sedativi e ipnotici; poi in gran parte sostituiti dalle benzodiazepine perché meno tossiche.

Chimica

Dal punto di vista chimico i barbiturici sono caratterizzati da un nucleo pirimidinico che deriva dalla condensazione dell'urea con l'acido malonico

Il primo termine della serie, l'acido barbiturico (o malonilurea) è farmacologicamente inattivo. L'attività sedativa-ipnotica compare quando in posizione 5 dell'anello esatomico vengono introdotti residui alchilici o arilici aventi da 4 a 8 atomi di carbonio. Attraverso la condensazione di derivati alchilici dell'acido malonico con la tiourea

si ottengono i tiobarbiturici, i quali, grazie alla loro elevata lipofilia, vengono assorbiti con grande rapidità, per cui il loro effetto si manifesta entro pochi minuti dalla somministrazione. In generale, le modificazioni strutturali che fanno aumentare la liposolubilità fanno diminuire la durata d'azione, abbreviano il tempo di latenza dell'insorgenza dell'attività, accelerano la degradazione metabolica e spesso fanno aumentare la potenza ipnotica. I barbiturici si presentano come polveri bianche, cristalline, insolubili in acqua; si sciolgono facilmente nelle soluzioni alcaline formando sali idrosolubili che vengono utilizzati per la terapia parenterale. La classificazione dei barbiturici viene comunemente effettuata in base a criteri quantitativi, cioè in rapporto alla durata della loro azione. Le sostanze barbituriche deprimono reversibilmente l'attività di tutti i tessuti eccitabili. A tale effetto sono particolarmente sensibili le cellule nervose. Agendo sul sistema nervoso centrale i barbiturici sono capaci di produrre tutti i gradi di depressione, da una moderata sedazione all'anestesia generale. Alcuni hanno proprietà anticonvulsivante. I barbiturici sono in grado di deprimere l'attività cardiaca e i centri del respiro fino a causare la morte per paralisi respiratoria.

Uso terapeutico

Il declino dei barbiturici come farmaci sedativo-ipnotici è giustificato dal fatto che essi sono privi di specificità d'effetto a livello del sistema nervoso centrale, hanno un indice terapeutico più basso di quello delle benzodiazepine, inducono lo sviluppo della tolleranza (aumento progressivo della dose da somministrare per ottenere lo stesso effetto) più frequentemente rispetto alle benzodiazepine, sono più suscettibili all'abuso e presentano un numero notevole di interazioni con altri farmaci. Ai fini di un appropriato impiego clinico, hanno grande importanza i criteri di scelta del farmaco e delle dosi, sia per ottenere effetti il più possibile selettivi, sia per evitare azioni secondarie indesiderate. I barbiturici possono essere somministrati a dosi elevate nel trattamento degli stati maniacali acuti, del delirio e di certi disturbi psiconevrotici, benché siano stati superati da farmaci più recenti come le benzodiazepine. Continuano a trovare validi impieghi come sedativi per ridurre l'irrequietezza del bambino nel corso di una colica, la pertosse, la nausea e il vomito. I barbiturici vengono ancora impiegati per la loro rapida insorgenza d'azione nel trattamento d'emergenza delle convulsioni come quelle che si producono nel tetano, nell'eclampsia, nella corea, nell'avvelenamento stricnico, nello stato epilettico, nell'emorragia cerebrale, nell'intossicazione da farmaci convulsivanti. Tale impiego sfrutta l'effetto inibitorio dei barbiturici sull'eccitabilità dei centri motori della corteccia cerebrale. I barbiturici, un tempo utilizzati per interventi chirurgici di breve durata e nella medicazione preanestetica per ridurre lo stato di tensione, sono ora stati sostituiti dalle benzodiazepine. Vanno ricordati alcuni impieghi specialistici in psichiatria (narcoanalisi, narcoterapia, diagnosi di anomalie elettroencefalografiche, ecc.). La terapia cronica a base di barbiturici viene prescritta per alcune malattie specifiche, come l'epilessia. Somministrati a dosi anestetiche, i barbiturici attenuano l'edema cerebrale derivante da interventi chirurgici, traumi cranici o ischemia cerebrale facendo aumentare la probabilità di sopravvivenza.

Tossicologia

L'avvelenamento barbiturico acuto è soprattutto il risultato di tentativi di suicidio ma può capitare anche a seguito di un'intossicazione accidentale. Secondo un'ipotesi condivisa, l'intossicazione è dovuta spesso a un automatismo farmacologico, termine con cui si designa il comportamento di un paziente che, stentando ad addormentarsi dopo la prima o la seconda dose, entra in uno stato confusionale e ingerisce involontariamente altre dosi di farmaco. Dosi notevolmente più alte di quelle che normalmente producono il sonno causano una grave depressione dei centri respiratori, mentre dosi ancora maggiori di quelle terapeutiche sono spesso letali. Caratteristiche del grave avvelenamento barbiturico sono l'abolizione della coscienza e della sensibilità, la dilatazione paralitica delle pupille, una grave insufficienza respiratoria, la caduta della pressione arteriosa e della temperatura corporea. Spesso tali manifestazioni sono complicate da edemi polmonari, insufficienza renale, infezioni secondarie broncopolmonari. Ai fini di un'efficace terapia dell'avvelenamento hanno importanza determinante i provvedimenti per una tempestiva rimozione del farmaco dal sistema nervoso in cui esso è fissato verso l'apparato escretore renale perché venga eliminato (dialisi peritoneale o extracorporea, rene artificiale), e per combattere il deficit respiratorio (respirazione artificiale, ossigenoterapia, ecc.). La lavanda gastrica o gastrolisi ha indicazione solo quando il farmaco è stato introdotto da poco e non quando il coma si è già instaurato. L'uso prolungato e abituale di barbiturici determina una progressiva diminuzione della loro efficacia (tolleranza), sia per un aumento delle capacità dell'organismo di metabolizzare tali sostanze, sia per una diminuzione di sensibilità da parte delle cellule nervose. Un effetto più grave dell'impiego abituale di ipnotici barbiturici è la comparsa di uno stato di abitudine che, in taluni casi, prelude a una vera condizione di asservimento (barbiturismo).

Bibliografia

S. Moeschlin, Clinica e terapia degli avvelenamenti, Firenze, 1954; P. Gold-Aubert, La place des barbituriques parmi les hypnosédatifs, in “Actualités Pharmacologiques”, 14, 75, 1961; J. C. Krantz, J. C. Carr, Pharmacologic Principles in Medical Practice, William ) Wilkins Comp., 1965; L. S. Goodman, A. Gilman, Le basi farmacologiche della terapia, vol. I, Milano, 1991; G. Ragagni, Farmaci nella terapia dell'ansia e dell'insonnia, Milano, 1988.

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