umorismo

Indice

Lessico

sm. [sec. XIX; da umore; nel senso 1 sul modello dell'inglese humorism].

1) Facoltà di interpretare con indulgenza e comprensione gli aspetti della vita umana che suscitano il sorriso. In particolare, umorismo nero, genere che raggiunge lo scopo sottolineando con crudeltà e ironia gli aspetti tragici, disperati e assurdi della condizione umana. In particolare, nel cinema, genere nel quale i contenuti da film giallo o nero vengono investiti da una carica umoristica e sarcastica, così da creare un divertimento paradossale, ottenendo anche una demistificazione e una denuncia.

2) Anticamente, dottrina umorale.

Letteratura

I numerosi tentativi di definire il senso preciso del termine si riferiscono a una ricchissima gamma di possibili sfumature ed è pertanto impresa ardua fissare nella rigidità di una formula un concetto che per sua natura si sottrae alle codificazioni. Nel discorso comune, l'umorismo si identifica con l'espressione inglese humour, che, dall'Oxford English Dictionary, viene definito come la “facoltà di percepire ciò che è ridicolo o divertente, oppure di esprimere tale percezione a voce o per iscritto”, e viene distinto dal wit, in quanto “è meno puramente intellettuale e possiede una qualità di umana simpatia in virtù della quale si avvicina spesso al pathos”. Da questa definizione appare chiara la diversificazione dell'umorismo dalla comicità, che suscita reazioni spontanee e irriflesse e, puntando sul colpo di scena, provoca l'esplosione del riso, mentre l'umorismo è un'operazione dell'intelletto, un'attività critica, unita tuttavia a un atteggiamento di cordiale simpatia e rivolta a suscitare il sorriso. In questo senso, l'umorismo non è mai disgiunto dall'elemento patetico: basti pensare a un film di C. Chaplin che oscilla dalla situazione schiettamente comica delle “torte in faccia” e dei famosi ʽʽtic” al pathos dell'omino perseguitato dalla sorte avversa o dalla prevaricante malvagità degli uomini. L'umorismo di Chaplin fa leva su un'intuizione sociale, essendo volto alla dissacrazione di ciò che, nella società, non merita rispetto. Diverso è invece l'umorismo come distacco, come una “maniera speciale e difficile di scrivere che si ha quando si fa uso di frequenti e sottilissime ironie” (A. Panzini-Vicinelli), come, in altri termini, l'arte di far ridere coloro che abitualmente non ridono. Tra questi due poli di un umorismo distaccato dalla realtà e di un umorismo “sociologico” oscillano le numerose espressioni di umorismo nella letteratura, dalla spregiudicatezza di Aristofane alla greve beffa di Plauto, dall'insolenza di Marziale alla rivoluzionaria sensualità di G. Boccaccio o di G. Chaucer, fino all'impietosa ferocia di J. Swift. Il Tristram Shandy di L. Sterne e il Pickwick di C. Dickens configurano un tipo d'umorismo tipicamente inglese, intriso di tenerezza; e tipicamente inglese è la letteratura umoristica del nonsense, che ha i suoi capolavori in A Book of Nonsense di E. Lear e in Alice's Adventures in Wonderland di L. Carroll. Tali forme di umorismo rimbalzarono in America con Mark Twain e con il Sinclair Lewis di Babbitt. Nel sec. XX, l'umorismo, appresa la lezione dei grandi russi, N. V. Gogol e A. P. Čechov, assume un volto gelido e tagliente in F. Kafka e si risolve in metafisico paradosso in E. Ionesco. Nella letteratura italiana, gli esempi più illustri di umorismo sono, nell'Ottocento, quello di A. Manzoni e nel Novecento quello di L. Pirandello, che definì l'umorismo il “sentimento del contrario”.

Cinema

Con un antesignano come Drôle de drame (1937) di M. Carné, dialogato da J. Prévert e significativamente, seppure fantasiosamente, ambientato a Londra, l'humour noir cinematografico trovò terreno fertile in Gran Bretagna, da Sangue blu (1949) di R. Hamer a La Signora Omicidi (1955) di A. Mackendrick, interpretati da A. Guinness, che fu l'attore ideale del genere macabro-allegro. Subito dopo, in Spagna, l'humour negro dello sceneggiatore R. Azcona si colorò di accenti sociali più rilevanti e di un'ironia grottesca più profonda nei film, realizzati anche in Italia e in Francia, dei suoi registi congeniali, M. Ferreri (da El cochecito, 1959, a L'ultima donna, 1976) e L. G. Berlanga (da Plácido, 1961, a Life Size, 1974). Hanno praticato l'umorismo, oltre a A. Hitchcock per tutta la sua carriera, altri importanti cineasti quali F. Capra in Arsenico e vecchi merletti (1944), Ch. Chaplin cui si deve un classico come Monsieur Verdoux (1947), L. Buñuel specialmente nei film messicani El (1952), Estasi di un delitto (1955) e L'angelo sterminatore (1962), M. Bellocchio con I pugni in tasca (1965) ecc.; mentre l'umorismo contemporaneo della “scuola” ebraica newyorkese si esprime nella personalità di W. Allen (Zelig, 1982) e, con Essere o non essere interpretato da M. Brooks (1983), si ricollega al magistero di E. Lubitsch (Vogliamo vivere, 1942).

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