Cosa succederebbe se eruttasse il Vesuvio?

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Il rischio Vesuvio è un’emergenza costante per l’Italia, che richiede un’attenta pianificazione e la collaborazione di enti locali, istituzioni nazionali e cittadini. Grazie agli studi approfonditi e alle strategie di protezione civile, è possibile gestire efficacemente la minaccia, garantendo la sicurezza di migliaia di persone e riducendo al minimo le conseguenze di una possibile eruzione

Il Vesuvio è tristemente celebre per la sua violenta eruzione del 79 d.C., che distrusse le città romane di Pompei, Ercolano e Stabia, seppellendole sotto metri di cenere e lapilli, un evento che ha lasciato una testimonianza unica nella storia archeologica mondiale. Ad oggi, risulta dormiente dal 1944, ma il suo silenzio non è affatto rassicurante: si tratta infatti ancora di uno dei vulcani più monitorati e pericolosi del mondo, e potrebbe risvegliarsi in qualsiasi momento.

Situato nel cuore della Campania, a pochi chilometri da Napoli, fa ombra a una delle zone più densamente popolate d’Europa. Per questo motivo, lo Stato italiano ha sviluppato un piano di emergenza nazionale per gestire un’eventuale eruzione, che gli studi scientifici considerano plausibile in futuro. Ma cosa succederebbe se eruttasse il Vesuvio? In questo articolo analizziamo gli scenari più temuti e le misure di prevenzione previste per affrontarli.

Perché il Vesuvio è così pericoloso?

Prima di scoprire cosa succederebbe se eruttasse il Vesuvio, scopriamo più da vicino le sue caratteristiche. Il Vesuvio non è pericoloso solo per la sua potenza distruttiva, ma anche per il contesto in cui si trova: alle sue pendici vivono oltre 700.000 persone, in una delle aree più densamente urbanizzate d’Italia.

Eppure, osservandolo oggi, il vulcano può sembrare innocuo: non erutta da più di 80 anni e non emette più fumo visibile da decenni.  Questo stato di quiescenza non indica che il vulcano sia inattivo, ma che i condotti superficiali— attraverso cui i gas esalavano — si sono probabilmente ostruiti, impedendo al vapore di fuoriuscire in maniera evidente.

Tuttavia, al di sotto, continua a circolare un sistema magmatico attivo, alimentato da una camera profonda, monitorata tramite stazioni termiche, sismiche e analisi chimiche dei gas. La mancanza di fumo, in realtà, può rappresentare un rischio serio: l’accumulo di pressione senza valvola naturale crea una situazione instabile, aumentando la probabilità di un’eruzione esplosiva.

In sostanza, il silenzio del vulcano è potenzialmente più pericoloso di un fumo costante, perché annuncia la presenza di gas intrappolati pronti a liberarsi in modo improvviso e violento.

In caso di una nuova eruzione esplosiva, la minaccia più grave sarebbe rappresentata dalle colate piroclastiche: nubi roventi di gas, ceneri e detriti che possono scendere lungo i fianchi del vulcano a oltre 100hm/h, spazzando via tutto nel raggio di diversi chilometri. Chi si chiede dove arriverebbero lava e materiale incandescente deve sapere che molti comuni della cosiddetta “zona rossa” — quella a più alto rischio — verrebbero coinvolti, fino a lambire i quartieri orientali di Napoli.

Oltre ai danni fisici, l’eruzione avrebbe conseguenze drammatiche anche su aria, trasporti, sanità e comunicazioni. La nube di cenere potrebbe rendere l’aria irrespirabile, bloccare le strade, isolare ospedali, chiudere l’aeroporto e paralizzare l’intera regione, soprattutto in condizioni meteorologiche sfavorevoli.

Cosa succederebbe in caso di eruzione del Vesuvio?

Secondo gli esperti, ci troveremmo di fronte a una delle peggiori emergenze civili della storia italiana, ed il numero di vittime dipenderebbe in larga parte dalla tempestività e dall’efficacia della risposta: le proiezioni più allarmanti, basate su eruzioni passate come quella del 1631, ipotizzano perdite gravissime in assenza di un piano ben strutturato. Proprio per questo il Vesuvio è costantemente monitorato e la Protezione Civile aggiorna periodicamente il piano di evacuazione.

Alla domanda più inquietante — quando erutterà il Vesuvio? — la scienza non può purtroppo fornire una risposta realistica, attualmente. Quel che è certo è che il lungo periodo di silenzio iniziato nel 1944 non va letto come rassicurante: alcuni vulcanologi ritengono anzi che, più la quiescenza si prolunga, maggiore sia la probabilità che la prossima eruzione sia violenta. Anche in assenza di segnali imminenti, il Vesuvio resta una presenza attiva e imprevedibile, al centro di un sistema complesso e potenzialmente devastante.

Piano nazionale di protezione civile per il rischio vulcanico al Vesuvio

Tra il 2014 ed il 2015, dopo anni di approfonditi studi scientifici e simulazioni, è stata definita una nuova suddivisione in zone, che rappresentano due livelli di rischio e di intervento in caso di eruzione:

  • Zona rossa: è l’area più pericolosa, dove l’evacuazione preventiva è l’unica misura efficace di salvaguardia. Questa zona comprende i territori di 25 comuni delle province di Napoli e Salerno e interessa circa 670mila abitanti. Rispetto al piano del 2001, la zona rossa è stata ampliata, includendo anche aree soggette al rischio di crollo degli edifici per accumulo di materiali vulcanici. La Regione Campania, con il supporto di agenzie specializzate, ha elaborato un piano dettagliato per l’allontanamento della popolazione, che prevede gemellaggi con altre Regioni e Province autonome italiane che ospiteranno temporaneamente gli evacuati.
  • Zona gialla: si estende oltre la zona rossa ed è caratterizzata da un rischio significativo di ricaduta di cenere vulcanica e materiali piroclastici. Essa include 63 comuni e tre circoscrizioni del Comune di Napoli. In questa zona, la pianificazione è rivolta a gestire i disagi provocati dall’accumulo di cenere, come il collasso dei tetti, il blocco della viabilità e l’intasamento delle fognature. La zona gialla è stata definita tenendo conto della direzione e intensità del vento, che influenzano la dispersione delle ceneri, basandosi su uno scenario di eruzione di tipo sub-Pliniano (con una colonna eruttiva alta fino a 18 km).

Eruzione sub-pliniana: scenari e impatti

Lo scenario su cui si basa la pianificazione attuale è un’eruzione di tipo sub-pliniano: un evento esplosivo in grado di svuotare gran parte della camera magmatica nella sua fase iniziale. Si ritiene che si formerebbe una colonna eruttiva di gas e ceneri alta tra i 10 e i 20 chilometri, che verrebbe poi inclinata dal vento, disperdendo il materiale vulcanico sottovento.

In poche ore si potrebbe generare una pioggia fitta di cenere e lapilli, con accumuli consistenti entro un raggio di 10-15 chilometri dal cratere. Spessori minori, ma comunque rilevanti per la sicurezza, potrebbero interessare un’area molto più vasta — tra i 300 e i 1.000 chilometri quadrati — fino a distanze di 20-50 chilometri. L’entità dell’impatto dipenderebbe da vari fattori: l’altezza della colonna eruttiva, la direzione del vento e la sua velocità.

Le conseguenze per la popolazione e l’ambiente sarebbero molto gravi, tanto che il piano nazionale prevede un’azione coordinata tra Protezione Civile, Regione Campania, Comuni interessati e strutture operative nazionali, con aggiornamenti costanti basati su modelli previsionali e dati scientifici.

Nella zona rossa scatterebbe l’evacuazione preventiva, con il trasferimento degli abitanti verso aree sicure in altre regioni. Nella zona gialla, invece, si interverrebbe per contenere i danni causati dalla caduta di cenere — anche con evacuazioni temporanee — e per gestire criticità legate alla viabilità, ai servizi essenziali e alle infrastrutture. Disagi potrebbero verificarsi anche al di fuori di queste zone, con ripercussioni su reti fognarie, elettriche e di comunicazione.

Se eruttano i Campi Flegrei erutta anche il Vesuvio?

Le attività sismiche e vulcaniche nei Campi Flegrei generano spesso preoccupazione per l’intera area vesuviana, ma secondo gli studi più accreditati, non esistono prove di un collegamento diretto tra i due sistemi vulcanici, che pur trovandosi a circa 30 chilometri di distanza, si comportano in modo indipendente. Lo conferma anche l’Osservatorio Vesuviano, che assegna attualmente un livello di allerta verde al Vesuvio e giallo ai Campi Flegrei, segnalando due dinamiche distinte.

La ragione principale è di tipo geologico e strutturale: il Vesuvio è uno stratovulcano, ovvero una struttura centrale a forma di cono che erutta da un cratere principale, con una camera magmatica posta a una profondità di circa 3-4 chilometri. I Campi Flegrei, invece, sono un campo vulcanico: un'area vasta in cui il magma può risalire attraverso diversi punti (come Solfatara o Pisciarelli), alimentato da una camera magmatica più profonda, intorno agli 8 chilometri.

Anche le analisi dei materiali eruttivi confermano la loro autonomia: le rocce emesse dai due vulcani mostrano composizioni geochimiche diverse e si sono formate in condizioni e profondità differenti. Questo indica che i due sistemi non condividono lo stesso magma, né lo stesso percorso di risalita.

Infine, anche la storia eruttiva dei due apparati conferma l’indipendenza: le eruzioni del Vesuvio e dei Campi Flegrei non si sono mai verificate in modo coordinato, né l’attività di uno ha mai influenzato direttamente l’altro. Per tutte queste ragioni, anche in caso di un’ipotetica eruzione dei Campi Flegrei, è altamente improbabile che il Vesuvio ne risenta o che venga innescato un meccanismo di attivazione simultanea. Insomma, i due vulcani, seppur vicini, parlano linguaggi geologici differenti.

Paola Greco

Foto di apertura: Foto di Andrei Poenalte su Unsplash