La metafisica nell'età moderna

La filosofia moderna affronta il sapere metafisico a partire dallo statuto epistemologico (cioè dall'elaborazione dei criteri di validità) delle "scienze esatte", individuato nell'applicazione di un principio di causalità concepito meccanicisticamente. Nei moderni, inoltre, si diffonde la convinzione che l'essere reale è di là dal pensare e dunque inconoscibile nella sua immediatezza. Di qui gli sforzi metodologici di tutti i filosofi moderni per tentare di giustificare il passaggio dal dato "fenomenico" (dall'"idea" o dalla "sensazione") alla misteriosa realtà "noumenica" (o "intelligibile"), oggetto proprio della metafisica.

Gli sforzi finiscono quando Kant con la sua critica "dimostra" l'impossibilità di oltrepassare il mondo dei fenomeni e con ciò dimostra anche l'impossibilità della metafisica, che è la scienza dell'essere in quanto essere, al di là dei fenomeni. In Kant la metafisica finisce per svolgere il ruolo di gnoseologia: infatti il suo compito è quello di costituire "una scienza di concetti puri", cioè una scienza che indaga tutto quanto può essere conosciuto a priori, indipendentemente dall'esperienza e che finisce quindi per indagare le caratteristiche e i limiti della conoscenza umana.

Dopo Kant, protagonista di un generoso tentativo di ricostruzione della metafisica, in senso però teologico, è G.W.F. Hegel, che le attribuisce come oggetto proprio l'infinito (cioè Dio), che si esplica nella storia come necessità dialettica totalizzante.