Il romanticismo

Giuseppe Gioachino Belli

Figura complessa e a lungo ignorata della letteratura italiana, il romano Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863) rappresenta con Porta una voce particolarmente significativa del realismo romantico.

Nato da una famiglia impiegatizia fedele al regime pontificio, lavorò a lungo come funzionario del governo papalino. La sua formazione proseguì quindi in maniera autodidatta: fu ampia e disordinata, subito caratterizzata da forti interessi letterari. Conobbe e apprezzò grandemente la poesia dialettale di Porta. Dal 1830 al 1837 e dal 1842 al 1849 scrisse i Sonetti in romanesco. Fu uomo d'ordine sempre più marcatamente conservatore, al punto di rinnegare persino la propria opera dialettale.

I 2279 sonetti di Belli sono stati pubblicati integralmente solo nel 1952. Nella Introduzione, scritta nel 1831, il poeta indicò chiaramente il senso del proprio lavoro: "Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che è oggi la plebe di Roma. Il poeta non si pone illusioni pedagogiche che possano far da velo al suo sguardo e soprattutto non rintraccia nel popolo mitiche innocenze da esaltare: la plebe romana è il frutto corrotto di un sovrapporsi plurimillenario di civiltà. Belli osserva distaccato tutto ciò: non è il suo mondo, è il mondo in cui si trova; per rappresentarlo egli si crea uno strumento di grande efficacia: una voce narrante, che si frappone tra l'autore e l'argomento della sua opera, che si serve di un dialetto senza variazioni di registro. Delinea così, sonetto dopo sonetto, un mondo in cui tutto si ripete rimanendo immobile: è l'inferno romano in cui, come in quello dantesco, non c'è il divenire. La battuta finale del sonetto è spesso una riduzione a nulla di quanto si era fatto intravedere. Da questo senso d'impotenza elevato a sistema nasce l'amara comicità belliana, che si risolve spesso in uno sberleffo verso i potenti. Il mondo dei Sonetti è staticamente ingiusto: neppure dalla morte è possibile sperare un cambiamento, ma all'improvviso, in alcuni scorci, mostra dentro di sé momenti di profonda delicatezza, di umanità offesa che il poeta sembra quasi celare per pudore.