La fine della letteratura pagana: i prosatori e gli ultimi poeti

Simmaco

Quinto Aurelio Simmaco nacque a Roma intorno al 340 da nobile famiglia pagana, la gens Aurelia. Ricoprì cariche pubbliche importanti: fu governatore della Lucania nel 365, proconsole d'Africa nel 373, prefetto di Roma nel 383-385 e, infine, console nel 391. Personaggio tra i più illustri della nobiltà romana, rappresentò varie volte il Senato alla corte di Milano. Della sua attività di oratore, molto celebrata nell'antichità, rimangono solo frammenti di 8 discorsi: tre sotto forma di panegirici agli imperatori Valentiniano I e Graziano, uno di ringraziamento al Senato per la carica di console concessa al padre, quattro sulla carriera politica di personaggi importanti dell'ambiente senatorio. Lo stile è enfatico e pieno di pathos, tipico delle scuole di retorica. Meglio conservato è l'epistolario, pubblicato dal figlio Memmio dopo la sua morte, in 10 libri, contenente più di 900 lettere. Il decimo - lettere personali agli imperatori ­ è quasi del tutto perduto: rimangono solo due lettere a Teodosio e a Graziano. I destinatari delle epistole degli altri 9 libri sono, oltre ai familiari, i personaggi più in vista della vita politica e culturale e generali barbari, come Ausonio, Nicomaco Flaviano, Ambrogio, Silicone. Uno dei temi più trattati è quello dell'amicizia e dello scambio di favori che essa comporta; molte lettere, infatti, sono di raccomandazione: lo stesso sant'Agostino vi ricorre per avere un posto a Milano. Altre trattano temi quali l'edilizia, gli scandali, le tasse e costituiscono una documentazione storica preziosa per la conoscenza dell'epoca, anche quelle che hanno contenuto frivolo e leggero. Sono pervenute poi 49 Relazioni ufficiali all'imperatore, inerenti alla funzione di prefetto di Roma, su questioni giuridiche e amministrative. La più interessante e nota è la terza, del 384, in cui Simmaco, difensore del paganesimo morente, chiede all'imperatore Valentiniano II di ripristinare nella Curia l'altare della dea Vittoria che era stato rimosso due anni prima per ordine di Graziano: la petizione non fu accolta per l'opposizione di Ambrogio.