La prosa e Catone il Censore

L'oratoria

L'eloquenza ebbe in Roma una lunga tradizione, che risaliva almeno ad Appio Claudio Cieco (secc. IV-III a.C.). Con la storiografia del resto essa era l'unica attività intellettuale degna di un aristocratico, necessaria per fare carriera nella vita politica. Non è giunto nulla delle orazioni di Cornelio Cetego (il primo di cui si ha testimonianza), censore nel 209 e console nel 204, di Scipione l'Africano Maggiore (236-183 a.C.), del console L. Emilio Paolo, il vincitore di Perseo a Pidna (168 a.C.), ma è probabile che l'oratoria si attenesse strettamente ai fatti, poco curandosi della forma espositiva. Dalla seconda metà del sec. II a.C. si moltiplicarono le occasioni di pronunciare discorsi: le frequenti campagne militari, l'accesa lotta politica, la questione agraria e i frequenti processi costrinsero gli uomini politici, per ottenere consenso, a meglio curare l'esposizione che diventò sempre più elegante e raffinata. Non è rimasto però nulla di Cornelio Scipione l'Emiliano, il distruttore di Cartagine (146 a.C.), del suo amico Gaio Lelio (ca 235-160 a.C.), dei due tribuni della plebe Tiberio (162-133 a.C.) e Gaio Gracco (154-121 a.C.), di Emilio Scauro, console nel 115, a eccezione di qualche sintetico giudizio di Cicerone, il quale sostiene che l'eloquenza aveva raggiunto la maturità con Marco Antonio (143-87 a.C.) e L. Licinio Crasso (115 ca-53 a.C.). Quest'ultimo, di tendenze conservatrici, come censore aveva fatto chiudere nel 92 a.C. la scuola di retorica di Prozio Gallo, perché troppo democratica. Probabilmente alla scuola era legata la Retorica ad Herennium, di autore ignoto, il cui testo è giunto completo in ogni sua parte.