La lotta per le investiture

La riforma ecclesiastica

Un effetto del sistema politico instaurato dagli Ottoni fu la formazione di una “Chiesa privata” e la sua feudalizzazione. Per iniziativa dei vescovi o dei ricchi proprietari furono costruite nuove chiese o cappelle a cui veniva assegnata una proprietà terriera e la cui direzione spirituale era affidata a persone scelte dal proprietario. Lo stesso avvenne anche per i monasteri e fu proprio da lì che maturò l'esigenza di una riforma. Due erano i mali della Chiesa: la simonia, ossia l'acquisto di cariche ecclesiastiche, e il concubinato, cioè la violazione del celibato ecclesiastico. Il monastero di Cluny in Borgogna (fondato da Guglielmo di Aquitania nel 910) diede il primo impulso riformatore alle riforme, con l'intento di riportare la Chiesa alle origini evangeliche. La regola benedettina fu applicata nella sua integrità, la preghiera divenne il centro della vita comunitaria, più importante dell'attività lavorativa. I monaci cluniacensi fondarono molti monasteri in Occidente costituendo una congregazione dipendente direttamente dall'autorità pontificia. A questa riforma corrispose, nel 1046, un intervento dell'imperatore nella vita ecclesiastica. Nel 1045 le grandi famiglie aristocratiche avevano eletto ben tre papi: Benedetto IX, Silvestro III e Gregorio VI. In un Concilio tenuto a Pavia l'imperatore Enrico III (della casa di Franconia succeduta a quella di Sassonia nel 1024 con Corrado II il Salico) condannò la simonia; in seguito depose tutti i papi in competizione e impose l'elezione (dietro suggerimento dell'abate di Cluny) di Clemente II. Il nuovo papa incoronò Enrico imperatore e gli conferì il titolo di “patrizio dei Romani” con cui riprese il diritto (detto principatus in electione papae) di designare per primo il candidato alla carica pontificia. Una grande opera riformatrice fu attuata, in accordo con Enrico III, da papa Leone IX, il quale depose i prelati indegni, condannò la simonia e il concubinato, riaffermò la supremazia della Chiesa romana e chiamò presso di sé molti riformatori tra cui Pier Damiani, Umberto di Moyenmoutier e Ildebrando di Soana (futuro Gregorio VII). A questi successi si contrapposero due fatti di enorme importanza: la sconfitta del papa a opera dei Normanni a Civitate e lo scisma della Chiesa orientale (1054). A Enrico III successe, ancora bambino e sotto la tutela materna, Enrico IV. In un Concilio tenuto nel palazzo del Laterano nel 1059 si stabilì che a eleggere il papa fosse il collegio cardinalizio e che l'elezione fosse poi acclamata da tutto il clero e dal popolo; fu condannata inoltre la simonia e fatto divieto agli ecclesiastici di ricevere cariche da un laico. Un impulso alla riforma venne anche da forze laiche tra cui la Pataria di Milano, i cui membri erano persone di umili condizioni o appartenenti al basso clero. L'arcivescovo Guido da Velate, risentito per la predicazione patarina contro la corruzione ecclesiastica, scomunicò i patarini, i quali furono però difesi da Roma e da Ildebrando di Soana. Tutto il clero simoniaco milanese fu costretto a confessare la propria colpa; coloro che si dimostrarono degni vennero in seguito reintegrati nella loro carica. Un nuovo Concilio tenuto in Laterano nel 1060 depose i simoniaci ma ritenne valide le ordinazioni da loro impartite gratuitamente.