Modernizzazione ed esordi imperialistici del Giappone

Dalla fine dello Shogunato all'era di Meiji Tenno

Fino alla metà del XIX sec. il Giappone rimase completamente isolato dal resto del mondo. Dal 1603 il governo centrale era nelle mani dello Shogun (antico grado militare e titolo del capo del governo o bakufu), esponente della famiglia Tokugawa residente a Edo, città principale dell'Impero insieme a Kyoto. Egli, per quanto soggetto all'imperatore, era in realtà un vero e proprio monarca con pieni poteri. La sua giurisdizione, in teoria estesa a tutto il paese, in realtà non si spingeva oltre la regione centrale. Altrove le leve del potere erano controllate dai Daimyo, sorta di aristocrazia feudataria: un gradino più in basso di Shogun e Daimyo, erano i Samurai, impiegati particolarmente nella polizia e nelle forze armate. Nei secoli l'organizzazione in caste della società si cristallizzò a tal punto, da rendere improponibile qualsiasi possibilità di rinnovamento. I ceti sociali più elevati adottarono ogni mezzo per salvaguardare la propria posizione dominante nello Stato. La linea politica del paese fu quella dell'isolazionismo cui si accompagnò una ferrea difesa delle tradizioni. I commerci con gli stranieri erano vietati: solo a Nagasaki, ma con molte limitazioni, il porto era aperto agli operatori esteri. Cina e Olanda erano gli unici partners commerciali del chiuso arcipelago. Questa situazione di totale impermeabilità alle influenze provenienti da altre e più avanzate regioni del mondo, non era destinata a protrarsi oltre alla metà del XIX sec. Già in occasione della Guerra dell'oppio, i ceti dirigenti giapponesi iniziarono a prendere in esame la questione di un potenziamento delle difese nazionali, temendo un'eventuale spostamento sul loro arcipelago degli interessi occidentali. La questione sollevò forti contrasti interni, ma fu affrontata a ragione: nel 1853, infatti, il commodoro Perry al comando di una flotta americana intimò alle autorità imperiali l'apertura dei porti. In breve agli USA si associarono gli europei; le pressioni internazionali costrinsero il Giappone a cedere: nel 1854 lo Shogun Tokugawa Iesada sottoscrisse il Trattato di Kanegawa che stabilì l'apertura dei porti di Shimada e Hakodate e concesse agli Stati Uniti un rappresentante permanente; poco dopo analogo trattamento fu riservato a Gran Bretagna, Francia, Russia e Paesi Bassi. La firma degli accordi suscitò nell'arcipelago uno stato di crisi interna che sfociò in una vera guerra civile. Solo dal 1867 fu ristabilito l'ordine con la restaurazione del potere imperiale: salì al trono l'imperatore Mutsuhito (Meiji Tenno, 1867-1912) che non esitò a porre sotto il proprio controllo gli affari interni e la politica estera (era Meiji). Consapevole dell'arretratezza del suo Impero, egli stilò un programma di governo mirante alla modernizzazione. Tale processo fu favorito dal-l'introduzione delle tecnologie e dell'industria occidentali: Mutsuhito desiderava portare il paese su un piano di parità con le altre potenze mondiali. Egli, quindi intervenne nell'organizzazione interna della società: per legittimare la centralizzazione del potere nelle sue mani, ordinò la confisca delle proprietà dello Shogun (1868) e dei Daimyo. Nel 1871 i feudi furono aboliti. Due anni più tardi una riforma fiscale introdusse una tassa in danaro che portò nelle casse dello Stato un ricco flusso di liquidità. La casta nobiliare dei Samurai venne privata di ogni privilegio: ai suoi esponenti fu assegnata una pensione statale. L'amministrazione locale fu affidata a prefetti, mentre nel paese furono introdotte l'istruzione (1872) e la coscrizione (1873) obbligatorie.

Lo sviluppo economico e industriale. L'ascesa giapponese fu impressionante e presto l'Impero di Mutsuhito raggiunse una tale potenza, sia economica che militare e politica, da intimorire il resto del mondo. Per superare questi traguardi, il governo favorì i giovani dalle doti più spiccate inviandoli in Europa per studiare materie tecnico-scientifiche, amministrative, giuridiche e militari; d'altro canto furono chiamati in Giappone tecnici ed economisti occidentali affinché ponessero le basi per la costruzione di una moderna rete di trasporto ferroviario e di comunicazione telegrafica, per potenziare l'industria e porre le basi del sistema bancario. Lo sviluppo industriale fu gestito prevalentemente dallo Stato, unica forza economica a poter garantire commesse continuative agli insediamenti produttivi. Naturalmente, essendo il governo interessato al potenziamento dell'apparato militare, fu l'industria bellica a risentire dei maggiori benefici. Per concludere, una forte opera di modernizzazione fu effettuata anche in agricoltura: il settore fece registrare un consistente incremento dei raccolti.

Il Giappone negli ultimi anni del XIX sec. Furono proprio i capitali prodotti dall'agricoltura a favorire una progressiva privatizzazione dell'industria a partire dagli anni '80. Come nel mondo occidentale nacquero i trusts , così nell'Impero del Sol Levante furono creati gli zaibatsu con caratteristiche simili. Le ferrovie (gestite soprattutto da compagnie private) nel 1895 toccavano i 3.400 chilometri. Lo Stato potenziò l'esercito riformandolo secondo il modello prussiano (1878). Accanto a tutto ciò fu attuata un'opera di adeguamento dell'assetto politico: l'11 febb. 1889, l'imperatore concesse una Costituzione che rese il governo responsabile di fronte alla sua persona. Un Parlamento, suddiviso in Camera Alta (i cui membri erano scelti dall'imperatore) e da una Camera Bassa (eletta su base ristretta) ebbe esclusivamente ruolo consultivo. Ormai “grande potenza”, il Giappone iniziò a nutrire ambizioni imperialistiche. Ne risultò un crescente interesse per la Corea, in quel periodo sottoposta all'influenza cinese. Tra Giappone e Cina scoppiò immediatamente un conflitto che presentò al mondo la forte macchina bellica nipponica. Nel giro di un anno (magg. 1894 - apr. 1895), le forze armate di Pechino furono costrette alla resa: la Pace di Shimonoseki portò al Giappone vantaggi territoriali (Formosa, le Isole Pescadores, Liaotung) e commerciali, una forte indennità e la garanzia dell'indipendenza formale della Corea. I “trattati ineguali” del 1854 furono rivisti: i diritti di extraterritorialità e le tariffe preferenziali eliminate. L'espansionismo nipponico sul continente asiatico generò molti timori: Russia, Germania e Francia cercarono di frenare le ambizioni giapponesi imponendo all'Impero la restituzione della penisola di Liaotung. Per il paese fu un affronto imperdonabile: la politica militare subì un ulteriore impulso. La nuova potenza era ormai pronta a rivestire un ruolo di protagonista sulla scena mondiale.