Ruiz, Juan

poeta spagnolo più noto come Arciprete di Hita (forse Alcalá de Henares ca. 1283-Hita, Guadalajara, probabilmente 1350). Tra i maggiori poeti dell'Europa medievale, è una delle figure più gioiose e realistiche della letteratura iberica. Di Ruiz si sa soltanto quanto egli dice di se stesso nell'unica sua opera che ci è pervenuta, il Libro de buen amor, e pertanto è da accettarsi con molta cautela. Dal lungo poema, interpretato in chiave autobiografica, si è tratto che nacque ad Alcalá de Henares, dove si svolge l'opera; che si chiamava Juan Ruiz, nome tanto comune da indurre a crederlo quasi uno pseudonimo; che fu arciprete di Hita, nel cuore della Spagna mudéjar (ossia cristiano-arabo-ebrea); che fu tenuto per molti anni in prigione dall'arcivescovo di Toledo (ma è possibile che il carcere cui allude Ruiz sia solo un'allegoria della condizione dell'uomo sulla terra o delle pene che soffre l'amante). Il Libro de buen amor, al quale l'autore non dette alcun titolo, è una curiosa miscellanea di elementi disparati cui conferisce unità il potente e personalissimo talento dell'autore. Il poema, di carattere didattico-narrativo-lirico, ha una singolare struttura. All'invocazione a Dio e alla Vergine perché lo liberino dal carcere, Ruiz fa seguire un lungo prologo in prosa dove dichiara di voler far conoscere tutti i mali causati dal loco amor (amore pazzo) terreno e come gli si debba preferire il buen amor di Dio; quindi, dopo aver constatato che tutti gli uomini sono trascinati all'amore ed essersi riconosciuto peccatore come gli altri, il poeta inizia a narrare, in forma autobiografica e scegliendo il metro del mester de clerecía, alcune avventure amorose destinate all'insuccesso, finché, grazie ai consigli di Amore e di Venere e all'intervento della vecchia mezzana Trotaconventos (antecedente della Celestina) segue un'avventura amorosa conclusa col successo (storia di Don Melón e di Doña Endrina). Si inseriscono nella narrazione frequenti liriche sacre e profane, di grande varietà metrica e tematica (dai canti alla Vergine alle serranillas), apologhi e favolette di varia provenienza (da Esopo agli Arabi), una parafrasi dell'Ars amandi di Ovidio, una parafrasi in forma narrativa della famosa commedia in latino Pamphylus (sec. XII), una parodia epico-allegorica sul tradizionale scontro tra il Carnevale e la Quaresima, altre allegorie come il Trionfo d'amore, la bellissima descrizione dei mesi, varie satire dettate dall'indignazione (come quelle contro il denaro e i religiosi di Talavera), l'umoristico elogio delle donne piccole di statura (di derivazione araba), digressioni morali e ascetiche. La critica moderna ricusa sempre più la lettura autobiografica del Libro e tende a sostituirla con un'interpretazione allegorica, più rispondente al gusto poetico del sec. XIV, ponendo in rilievo il carattere di “commedia umana” dell'opera, cui conferisce singolare vivacità ed efficacia il ricorso alla narrazione in prima persona. Dotato di una profonda conoscenza delle più svariate fonti (classiche, orientali, medievali europee), padrone di un lessico vastissimo attinto sia alla letteratura sia alla lingua colorita del parlare quotidiano, infarcito di proverbi e di allusioni, Ruiz ha sempre intuizioni psicologiche acutissime, indici di una scaltrita conoscenza della vita umana.

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