amauròsi

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sf. [sec. XVIII; dal greco amáurōsis, oscuramento].

1) In medicina, diminuzione transitoria o permanente della vista che può giungere anche fino alla cecità, senza lesioni oculari apparenti. Oltre che essere trasmessa come carattere ereditario in alcune malattie congenite, può comparire durante il decorso del diabete, nell'isteria e, inoltre, in seguito a malattie renali e cerebrali, uremia, avvelenamenti. Il termine viene però utilizzato soprattutto come sinonimo di amaurosi congenita di Leber (ACL), una distrofia retinica a esordio prenatale. Si ritiene che circa il 10-20 per cento dei bambini ciechi soffra di ACL, dato questo che la rende una delle cause più frequenti di cecità nell'infanzia. Si pensa che sia responsabile del 5 per cento delle malattie retiniche ereditarie. I bambini affetti hanno difficoltà a mantenere lo sguardo fisso e a stare attenti, a causa della bassa o assente sensibilità della retina agli stimoli visivi. L'elettroretinografia dimostra una funzione retinica molto ridotta o assente. L'esame del fondo dell'occhio, nei primi mesi di vita, è spesso normale, ma in seguito si manifesta atrofia corio-retinica con migrazione intraretinica di pigmento. In alcuni pazienti è presente una lesione rilevata della macula. I pazienti presentano nistagmo e si strofinano frequentemente gli occhi. Viene trasmessa come carattere autosomico recessivo nella maggior parte dei pazienti; solo in rari casi è stata riportata un'eredità autosomica dominante. Anche se una cura non è al momento disponibile, sono stati ottenuti risultati incoraggianti con la terapia genica in un modello animale.

2) In veterinaria, perdita completa della funzione visiva, di origine extraoculare, senza reperto obiettivo.

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